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TIMOR ORIENTALE
SENTENZA DEL TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI
Lisbona 19-21 giugno 1981

INTRODUZIONE STORICA

Il Timor Orientale è un territorio con una superficie totale di circa 19.000 kmq., situato all'estremità orientale dell'arcipelago della Sonda. Qualche anno fa la sua popolazione era stimata sui 700.000 abitanti. Questa popolazione appartiene al gruppo etnico proto-malese-melanesiano.

Nel periodo precoloniale conosciuto, la giurisdizione su questa regione geografica, situata a est delle isole Celebes e Lonbok, viene rivendicata dagli imperi giavanesi che raggiungono il loro massimo splendore fra l'VIII e XII secolo. Tuttavia, questi imperi non hanno esercitato nessuna influenza culturale e religiosa sul Timor. Infatti, all'inizio dell'era cristiana viene introdotta nella regione la cultura indù e nel XI secolo è la volta della religione islamica che si diffonde nella zona, ma la popolazione del Timor resta animista.

Nell'isola, il territorio è diviso in vari regni che frequentemente combattono fra loro per ottenere l'egemonia. Verso il XVI secolo, dopo lo smembramento degli imperi giavanesi, il territorio viene diviso in due gruppi di regni: uno sotto la supremazia del regno di Sombay, nella parte occidentale dell'isola, l'altro sotto l'egemonia del regno di Behale, nella parte orientale. Quest'ultimo gruppo usa già in quest'epoca una lingua comune, il tetum, diventata oggi la lingua nazionale del Timor Orientale.

Verso il 1515, un primo gruppo di missionari domenicani portoghesi arriva nell'isola di Timor, introducendo i primi elementi di dominazione coloniale. Questo fatto determinerà il futuro confronto fra la religione cristiana e la religione islamica in espansione nella regione, essendo il cristianesimo un elemento della dominazione portoghese.

È solo a partire dal 1540 che il Portogallo intensificherà la sua presenza politica e militare a Timor, malgrado la continua opposizione dei numerosi regni, le cui rivalità interne saranno ben sfruttate dalle forze coloniali. In seguito gli olandesi espulsero i portoghesi dalle isole vicine, e si impadronirono della parte occidentale di Timor (sotto l'egemonia del regno di Sombay). Temendo un attacco olandese, i portoghesi spostano la capitale da Lifan (Oe-Cussi) a Dili, benché la popolazione di Oe-Cussi avesse sempre rifiutato la dominazione olandese restando così legata al "Timor portoghese".

Per più di tre secoli, il Portogallo manterrà la sua dominazione coloniale sul Timor Orientale. A più riprese questa oppressione provoca ribellioni locali, l'ultima delle quali ebbe luogo nel 1910, provocando una repressione coloniale con più di 3000 morti fra i timoresi.

Nel 1859, il Portogallo firma un trattato con l'Olanda, che delimita il confine fra il Timor Olandese e il Timor portoghese; il primo dei due era annesso alla colonia olandese delle Indie Orientali, che, dopo l'indipendenza raggiunta nel 1945, diventò la Repubblica dell'Indonesia.

La colonia portoghese di Timor, invece, nel 1951 divenne "Provincia d'oltremare" del Portogallo, poi nel 1972 fu trasformata in "Regione autonoma" della Repubblica portoghese.

L'insieme di questi fattori storici, sociali, culturali e religiosi, consolidati dalla dialettica di opposizione alla dominazione coloniale, ha contribuito alla formazione di una coscienza comune al popolo del Timor Orientale, cosicché si può parlare di una autentica entità nazionale e di una identità culturale propria, tanto più forti in quanto esse si conciliano con il rispetto delle tradizioni culturali locali.

MOTIVAZIONE

I. RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO INDONESIANO

A) I FATTI

a) - La proclamazione dell'indipendenza

Il 25 aprile 1974, un pronunciamento militare rovescia la dittatura portoghese. Per la caduta del regime sono state determinanti le lotte di liberazione dal colonialismo. La dinamica popolare messa in moto in quei giorni in Portogallo contribuì a che, il 27 luglio 1974, il Presidente della Repubblica riconoscesse formalmente il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza dei popoli delle colonie.

Questi avvenimenti permisero il fiorire dell'attività politica nel mar Orientale e la manifestazione aperta del nazionalismo timorese. Le forze sociali e politiche locali si organizzarono intorno a tre opzioni fondamentali riguardo al futuro del popolo: una minoranza molto ridotta, sostenuta da Giacarta, difende l'integrazione con l'Indonesia (APODETI); un'altra corrente (UDT), dominata da notabili legati al colonialismo, ha una posizione indecisa, caratterizzata dapprima dalla difesa di una situazione di dipendenza nei confronti del Portogallo e, in seguito, da una indipendenza differita e, infine, dalla richiesta di integrazione con l'Indonesia; una terza forza si identifica con l'ideale nazionalista (ASDT prima e poi FRETILIN).

Rispetto a queste correnti politiche, il Portogallo sceglie il negoziato in vista del trasferimento dei poteri ai Timoresi: una legge dell'11 luglio 1975 fissa il termine della sovranità e dell'amministrazione portoghese sul territorio del Timor Orientale, così come le modalità dell'esercizio del diritto all'autodeterminazione; conformemente all'articolo 2 di questa legge con l'applicazione del principio della sovranità popolare, lo stato portoghese conferisce a un'assemblea popolare rappresentativa del popolo del territorio la cura di decidere l'avvenire politico della nazione.

Tuttavia, numerose circostanze impediscono l'attuazione di questo piano di decolonizzazione. Da un lato, l'eterogeneità del potere in Portogallo, la complessità dei problemi che si pongono ai dirigenti portoghesi, nonché la mancanza di mezzi di intervento non permettono al Portogallo di seguire una politica coerente e ferma mirante ad assicurare un effettivo esercizio da parte del popolo timorese del diritto all'autodeterminazione.

Inoltre, a Timor Orientale gli avvenimenti prendono una svolta decisiva: l'11 agosto 1975, con la connivenza di alcuni ufficiali portoghesi e della polizia locale, viene effettuato un colpo di stato diretto dall'UDT che, fra gennaio e maggio del 1975 si era alleata al FRETILIN, coalizione rotta unilateralmente dall'UDT in seguito a pressioni di Giacarta. Questo colpo di mano delle correnti conservatrici scatena una reazione immediata del FRETILIN, sostenuto dalla maggioranza della popolazione e dall'adesione delle unità militari dell'esercito locale. Scoppia un conflitto armato che costa più di 3.000 morti.

Il predominio politico, popolare e militare del FRETILIN s'impone rapidamente. Verso la fine del mese di agosto, il FRETILIN controlla la quasi totalità del territorio. I dirigenti dell'UDT fuggono o vengono arrestati. Avendo perduto ormai il controllo della situazione, il governatore portoghese si rifugia nell'isoletta di Ataùro.

La situazione ormai creatasi oppone un potere "de iure" a un potere "de facto". La bandiera portoghese sventola ancora sul palazzo del governo, il FRETILIN riconosce ancora l'amministrazione portoghese e, a più riprese, propone a Lisbona negoziati che, a dispetto delle promesse fatte, non hanno mai luogo. Il potere reale è in mano al FRETILIN che amministra il territorio e intraprende riforme sociali. Numerosi visitatori stranieri testimoniano la realtà del consenso popolare intorno al FRETILIN. Solo gli incidenti di frontiera provocati dall'esercito indonesiano e da alcuni rifugiati nel Timor Occidentale turbano la pace.

Gli incidenti diventano sempre più gravi e arrivano ad attacchi di artiglieria pesante contro le città di Maliana e Balibò, preannunciando l'intenzione indonesiana di lanciare un'aggressione militare contro il territorio del Timor Orientale, in accordo con un piano stabilito da diversi mesi. Di fronte al rischio di un'invasione straniera imminente, di fronte all'impotenza delle autorità di Lisbona e a causa del vuoto di potere creato dalla mancanza del potere coloniale, tenendo inoltre conto del potere effettivamente esercitato e della sua legittimazione in virtù dell'adesione popolare, il FRETILIN prende la decisione di proclamare unilateralmente l'indipendenza.

Così, il 28 novembre 1975, nasce la Repubblica Democratica del Timor Orientale, con una sua Costituzione, un Presidente della Repubblica, un suo Governo, un programma politico e una forza militare, espressione istituzionale di una generalizzata volontà di indipendenza.

La Repubblica Democratica del Timor Orientale viene riconosciuta immediatamente da dodici Stati, tra i quali tutte le ex colonie portoghesi dell'Africa e poi da altri due Stati. Il Portogallo non riconobbe il nuovo Stato.

b - L'intervento indonesiano

Alla proclamazione della Repubblica Democratica del Timor Orientale rispose il 29 novembre, una dichiarazione di alleanza dei partiti contrari al FRETILIN, nella quale si affermava che quest'ultimo con quel gesto aveva messo fine alla sovranità portoghese a Timor. Dall'esterno del territorio del Timor Orientale e con il solo appoggio dell'Indonesia, questi partiti proclamano l'integrazione del Timor Orientale al territorio indonesiano. Ma anche questa volta il Portogallo non riconobbe quella pseudo dichiarazione di integrazione.

L'esercito indonesiano invade la Repubblica Democratica del Timor Orientale il 7 dicembre. Quello stesso giorno, il Portogallo rompe le relazioni diplomatiche con l'Indonesia, definendo il suo intervento "atto di aggressione".

Il 17 dicembre si installa a Dili un "Governo provvisorio", composto da rappresentanti dell'UDT, dell'APODETI, della KOTA e del Partito Trabalhista.

Le truppe indonesiane si trovano di fronte a una resistenza imprevista: l'8 gennaio 1976, l'agenzia di stampa ufficiale indonesiana ANTARA deve riconoscere che il "Governo provvisorio" controlla solo un terzo del territorio del Timor Orientale. L'aggressione indonesiana si rivela un massacro; secondo testimonianze indipendenti e degne di fede essa provoca la morte e la scomparsa di circa 200.000 persone. Questa eliminazione fisica del popolo timorese è stata affiancata da una volontà di annientamento delle sue peculiarità culturali. Viene proibito l'insegnamento del tetum, come era già avvenuto al tempo della colonizzazione portoghese e si cerca con ogni mezzo di imporre la religione mussulmana a un popolo composto in prevalenza da animisti e da cristiani.

Il 31 maggio 1976, il "Governo provvisorio" crea un'"Assemblea popolare" rappresentativa composta da 37 membri. Detta assemblea prepara una petizione che sollecita dal presidente Suharto l'integrazione del Timor Orientale all'Indonesia.

Il 17 luglio 1976 il parlamento indonesiano approva all'unanimità una "legge di integrazione" del Timor Orientale alla Repubblica Indonesiana, come 27a provincia della stessa.

Viene così ratificata un'aggressione che l'Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza dell'ONU avevano già apertamente condannato nelle risoluzioni 3485 (XXX) del 12 dicembre 1975 e 384 (1975) del 22 dicembre 1975.

Questa condanna sarà ripresa ancor più vigorosamente nella risoluzione 389 (1976) adottata dal Consiglio di Sicurezza il 22 aprile 1976 e nelle risoluzioni adottate dall'Assemblea Generale il 1 dicembre 1976, il 28 novembre 1977, il 13 dicembre 1978, il 21 novembre 1979 e l'11 novembre 1980.

Dopo gli scontri di frontiera con le truppe del FRETILIN verificatisi fin dall'autunno, il 7 dicembre 1975, alcuni giorni dopo la Dichiarazione di Indipendenza, il governo indonesiano scatenò l'invasione massiccia, attaccando prima Dili e poi Baucau.

Nonostante i sistematici tentativi degli indonesiani di passare sotto silenzio ciò che stava accadendo nel Timor Orientale (bisogna a questo proposito ricordare da una parte l'uccisione di 5 giornalisti australiani nell'ottobre del 1975, e dall'altra, il fatto che il Comitato Internazionale della Croce Rossa sia stato tenuto lontano dall'isola fino all'estate del 1979 e anche in seguito la sua attività sia stata molto limitata, e sopratutto non abbia potuto eseguire alcun controllo sul rispetto delle norme di guerra); numerose testimonianze concordi parlano di atrocità commesse fin dall'inizio dei combattimenti, continuate poi sia contro i combattenti che contro la popolazione civile.

Per esempio, al momento dello sbarco a Dili, la mattina del 6 dicembre, le truppe indonesiane spararono indistintamente anche sui civili, che non opponevano resistenza.

Alle nove del giorno dopo, oltre 27 persone, per lo più donne, vennero fucilate nel porto di Dili, alla presenza di una grande folla che fu obbligata a contare le vittime. Alle due del pomeriggio, 59 uomini furono fucilati sullo stesso posto.

Nella stessa circostanza, 30 cinesi vennero fucilati vicino all'ex quartiere generale della polizia militare di Dili. Secondo diverse testimonianze vennero poi uccisi numerosi altri cinesi.

c - La repressione

Le violenze contro la popolazione sono continuate dopo l'invasione. Infatti, il 17 agosto 1977, molte persone vennero fucilate per non aver voluto partecipare a una manifestazione in occasione della festa nazionale indonesiana. È un dato di fatto che le truppe indonesiane non hanno cessato, fin dal primo momento dell'invasione, di creare un clima di paura e di insicurezza totale, procedendo a esecuzioni sommarie e ad arresti arbitrari. È stato anche accertato che le truppe indonesiane hanno eseguito sistematiche esecuzioni di prigionieri di guerra. Tale circostanza è confermata dal Comitato Internazionale della Croce Rossa che, nel settembre del 1979 informa che "... esistono rapporti sufficientemente numerosi per il periodo 1976/79 (che fra l'altro parlano di tortura e di lavaggio del cervello) da giustificare forti dubbi sul rispetto delle Convenzioni di Ginevra e da provare che esse non vengono rispettate"; e più avanti: "in generale sembra che i capi del FRETILIN e i loro familiari (fino alla terza generazione, secondo un rapporto), uomini istruiti e in buona salute venuti dalle montagne per arrendersi, come pure altre persone importanti, siano stati uccisi (anche se ci sono state delle eccezioni a questa regola)".

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa parla di una famiglia di Timor che fu assassinata nel luglio del 1979 a Fahi-Nehan (tra Same e Alas). Sette persone, padre, madre, cinque figli, di età compresa tra i 12 e i 17 anni, furono uccise perché parenti del capo del FRETILIN, Lobato.

Quando non vengono uccisi, i prigionieri vengono tenuti in condizioni atroci. Secondo un documento elaborato dal Dipartimento degli Affari Esteri del parlamento australiano, pubblicato l'8 marzo 1978, "oltre 1.000 prigionieri politici timoresi sono in prigione a Dili, in condizioni disumane... vengono picchiati, torturati, privati di cibo e di cure igieniche in celle superaffollate".

Un rapporto pubblicato nel 1979 dall'Australian Council for Overseas Aid, riteneva che esistessero circa 40 prigioni sparse nel territorio del Timor Orientale. La Lega Internazionale per i Diritti dell'Uomo informa, nella sua petizione sul Timor Orientale presentata alle Nazioni Unite in data 14 dicembre 1980, sulle pessime condizioni delle prigioni dell'isola.

Numerose testimonianze parlano della tortura, soprattutto la Lega per i Diritti dell'Uomo nella petizione suddetta. Secondo il rapporto del diplomatico australiano Jim Dunn, dell'11 febbraio 1977, basato su interviste a rifugiati timoresi in Portogallo, esisteva all'epoca un centro di tortura nell'hotel Tropical, a Dili, diretto dal comandante Yusman.

Alcune testimonianze, raccolte dal diplomatico australiano Jim Dunn nel suo rapporto dell'11 febbraio 1977, parlano anche di saccheggi sistematici commessi contro civili e istituzioni ecclesiastiche. Le testimonianze su atti di saccheggio, abbinati a veri e propri atti di guerra, fanno pensare che il saccheggio sia, almeno in parte, coperto dalla complicità di ufficiali superiori, se non addirittura da loro ordinato. È bene riferire a questo proposito che le automobili i trattori: praticamente tutti i veicoli che si trovavano a Dili erano stati caricati a bordo di navi dai soldati indonesiani dopo l'invasione. Molte case di Dili sono state saccheggiate dopo l'evacuazione provvisoria degli abitanti.

A causa della forte resistenza del FRETILIN l'Indonesia ha intensificato i suoi sforzi bellici lanciando massicce offensive a partire dal settembre 1977 e ancora nel maggio 1978.

Da allora hanno avuto luogo bombardamenti massicci all'interno dell'isola, che hanno distrutto interi villaggi. Il testo preparato dal Dipartimento degli Affari Esteri del parlamento australiano, già citato, rende nota la confessione di una personalità ufficiale indonesiana, resa in privato, secondo la quale centinaia di villaggi erano stati "cancellati dalla faccia della terra dai bombardamenti e che, sulla carta di Timor Orientale, molti nomi di località erano scomparsi".

Questi bombardamenti massicci avevano lo scopo di sterminare una popolazione che sosteneva il FRETILIN o di cacciare questa gente dalle proprie case e obbligarla a sottoporsi al controllo stretto delle truppe indonesiane. Per questo sono state create 150 "rasettlement areas", nelle quali, secondo il Vice Segretario di Stato Holbrooke, circa 200.000 persone, 300.000 secondo altre fonti, nel 1979 vivevano sotto rigida sorveglianza.

La distruzione sistematica delle case e il trasferimento della popolazione verso la pianura si aggiungono alla distruzione, altrettanto sistematica e massiccia, al fine di affamare o perlomeno di scacciare dalla regione montuosa una popolazione recalcitrante.

I bombardamenti delle case e le distruzioni dei raccolti sono stati gli elementi di una strategia che mirava al raggruppamento della maggior parte della popolazione nelle già ricordate "rasettlement areas", nelle quali la gente viene strappata al proprio ambiente sociale e tradizionale, votata alla fame. Gli esperti hanno osservato che le popolazioni così raggruppate dipenderanno inesorabilmente da un aiuto alimentare esterno, poichè non è possibile avere una produzione sufficiente nelle aree del raggruppamento. A causa della distruzione delle antiche strutture sociali e produttive, questa strategia non solo ha attentato gravemente alla salute fisica e psichica del popolo maubere, ma anche più profondamente alla sua identità sociale e culturale.

Quanto al numero delle vittime della guerra, dell'occupazione e della strategia della fame, non esistono possibilità di indicazioni precise, perché le autorità di fatto, gli indonesiani, hanno impedito il libero accesso a tutte le regioni del Timor Orientale. È possibile tuttavia fare alcune stime molto incerte a partire da numerose testimonianze. La popolazione prima dell'invasione era di 655.000 persone, inclusi le vittime e i rifugiati della guerra civile.

Un rapporto della chiesa indonesiana di cui il diplomatico australiano Jim Dunn è venuto a conoscenza alla fine del 1976, già in quel periodo parla di 100.000 vittime dell'invasione e dell'occupazione.

Il 1 aprile 1977 il Ministro degli affari esteri dell'Indonesia, A. Malik parlò alla radio australiana di 50.000 o 80.000 morti. Secondo un'informazione data a Jim Dunn da una personalità di rilievo indonesiana, alla fine del 1980 la popolazione era scesa a 400.000 persone.

La strategia della fame ha provocato la morte di moltissime persone. Così, il rapporto di una delegazione del CICR che ha potuto finalmente visitare il Timor Orientale nel luglio del 1979 e vedere una popolazione di 75.000 persone, in 13 villaggi, ha concluso che 60.000 persone erano in uno "stato allarmante di denutrizione, che per 20.000 di esse la morte era imminente e che nessun aiuto poteva più salvarli". Da notare che i delegati del CICR non poterono visitare le regioni più provate e quelle militarmente critiche.

Numerose constatazioni, soprattutto quelle di Jim Dunn, concludono che dall'invasione in poi è già morto da un sesto a un terzo della popolazione timorese.

B) IL DIRITTO

1. Confutazione delle giustificazioni date alla presenza militare indonesiana

a) Legame storico

Al di fuori della continuità geografica della parte orientale dell'isola di Timor con la parte occidentale, il governo indonesiano non ha fatto valere alcun legame storico significativo anteriore alla colonizzazione fra le popolazioni che occupano le due parti dell'isola di Timor, né, a maggior ragione, quindi, come è stato constatato sia dalla Corte Internazionale di Giustizia che dal Tribunale Permanente dei Popoli nella controversia sul Sahara occidentale a proposito del legame addotto dal governo marocchino fra questo territorio e l'impero Cherifien e, non sono mai esistiti fra l'Indonesia e il popolo della parte orientale del Timor i legami storici che avrebbero potuto giustificare la reintegrazione di questo territorio in un presunto insieme indonesiano. Inoltre, come ha deciso il Tribunale permanente dei popoli nel suo già ricordato parere consultivo dell'11 novembre 1979, "la ricostituzione dell'unità nazionale, che sarebbe esistita prima della decolonizzazione, deve essere fatta nel rispetto del principio fondamentale della decolonizzazione e cioè del diritto all'autodeterminazione" (n.22).

b) Rispetto delle frontiere coloniali

In base al principio uti possidetis che risale alla decolonizzazione dell'America Latina, le frontiere dei nuovi Stati uscite dalle lotte di liberazione nazionale coincidono con quelle dei possedimenti coloniali anteriori. In base a questo principio, che sembra espressione del diritto internazionale positivo, di cui la stessa Indonesia ha usufruito per riunire tutti i territori facenti parte delle Indie Orientali Olandesi, l'Indonesia non potrebbe far valere nessuna pretesa sui territori attribuiti al Portogallo in base al trattato concluso a Lisbona il 20 aprile 1859 fra i Paesi Bassi e il Portogallo, alla Convenzione dell'Aja del 1 ottobre 1904 e alla sentenza arbitrale emessa in esecuzione del compromesso arbitrale firmato all'Aja il 3 aprile 1913 dagli stessi Stati.

c) Dichiarazioni unilaterali del governo indonesiano

Alla IX sessione (1954) dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, durante il dibattito della 1a Commissione, il rappresentante indonesiano dichiarava: "L'Indonesia è il nome politico nazionale delle antiche Indie Orientali olandesi, ivi compreso Timor Occidentale... Non è questione di sapere se Timor Occidentale ha legami culturali con gli altri Indonesiani... Le frontiere di questo Stato (Indonesia) non possono essere che quelle delle antiche Indie Orientali olandesi, all'interno delle quali il movimento nazionale (per l'indipendenza) ha esercitato la sua autorità".

Per il rappresentante indonesiano esiste dunque una coincidenza fra le frontiere delle antiche Indie Orientali olandesi e le frontiere nazionali dell'Indonesia. Nell'argomentazione del governo indonesiano esiste dunque una sorta di automatismo nel trasferimento di sovranità completamente indipendente da ogni caratteristica culturale o etnica. Alla XV sessione dell'Assemblea Generale (1960), nella seduta plenaria, il rappresentante indonesiano dichiarava: "Non rivendichiamo nessuna altra parte dell'arcipelago indonesiano. L'Indonesia si astiene espressamente dal rivendicare qualsiasi territorio che - pur trovandosi localizzato nell'arcipelago indonesiano - per esempio nel Borneo o nel Timor, non faccia parte delle Indie Orientali olandesi".

Stessa posizione molto decisa alla XVII sessione (1962): "Non soltanto non abbiamo fino ad oggi presentato alcuna rivendicazione territoriale, ma dichiariamo anche categoricamente che non abbiamo alcuna intenzione di farlo in avvenire", precisa il loro rappresentante, sig.ra Supeni.

Il Timor portoghese è espressamente visto in questa dichiarazione come escluso da ogni rivendicazione territoriale. Non si poteva essere più chiari.

La Corte Internazionale di Giustizia, il 20 dicembre 1974, nella controversia sugli esperimenti nucleari francesi che ha opposto l'Australia alla Francia, ha d'altronde tratto le sue conclusioni da un simile atteggiamento.

Per la Corte, lo Stato che agisce in questo modo "intende essere legato conformemente ai suoi termini e questa intenzione conferisce alla sua presa di posizione il carattere di un impegno giuridico, essendo lo Stato interessato ormai vincolato a seguire una linea di condotta conforme alla sua dichiarazione". (CIG - 20 dicembre 1974 - controversia sugli esperimenti nucleari - Australia e Francia, Recueil 1974, p.257).

E la Corte aggiunge: "Un impegno di tale natura, espresso pubblicamente e con l'intenzione di vincolarsi, anche al di fuori del quadro dei negoziati internazionali, ha un effetto vincolante". (Ibid. p.257).

Certamente, lo scopo fondamentale perseguito dall'Indonesia non era quello di impegnarsi per il futuro a proposito di Timor, ma di precisare alla comunità internazionale l'ampiezza e i limiti delle sue rivendicazioni territoriali.

È certo che una simile dichiarazione doveva avere come effetto quello di sostenere il fondamento della tesi secondo cui "l'Indonesia è il nome politico nazionale delle antiche Indie Orientali olandesi"

(A 6 - IX sessione - Prima commissione, 725a sessione).

Comunque, a partire dal momento in cui la parte di una simile dichiarazione poteva essere di natura tale da provare il fondamento di una tesi, l'effetto sfavorevole di questa stessa dichiarazione - un impegno che vincola lo Stato per il futuro - deve essere ugualmente accettato dall'Indonesia in virtù della regola dell'ESTOPPEL.

In una data così vicina ai fatti sottoposti al Tribunale come il 17 giugno 1974, il signor Adam Malik, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica indonesiana, confermava in una lettera indirizzata al signor Josè Manuel Ramos Horta, rappresentante dell'ASDT, che il suo governo riconosceva il diritto all'indipendenza del popolo di Timor e negava qualsiasi rivendicazione territoriale dell'Indonesia sul Timor Orientale (Citato da P. Hastings, The Timor problem I, Australian Outlook, vol.29, n.1).

d) Intervento tendente a ristabilire la pace e la sicurezza nella parte orientale dell'isola di Timor.

Secondo un documento elaborato dal Dipartimento degli Affari Esteri della Repubblica indonesiana, dell'agosto 1976, intitolato "La decolonizzazione del Timor Orientale", la Camera dei rappresentanti dell'Indonesia, il 6 dicembre 1975, cioè alla vigilia dell'invasione, aveva adottato all'unanimità una risoluzione concernente il Timor Orientale. Secondo detta risoluzione il governo indonesiano era pregato di "prendere delle misure per ristabilire la pace e la sicurezza nella regione per permettere alla popolazione del Timor Orientale di esercitare il suo diritto all'autodeterminazione nella libertà e nell'ordine" doc. cit. (p.41).

Se anche si dovesse ammettere questa versione dei fatti, cioé l'appoggio dato dal governo indonesiano ai partiti minoritari per aiutarli a eliminare il FRETILIN (Vedi anche: La decolonizzazione nel Timor Orientale, redatto dal Ministero degli Affari Esteri della Repubblica dell'Indonesia, agosto 1977, pp.42-43), bisognerebbe considerare la situazione allegata dal governo indonesiano come una situazione di guerra civile. Ora, il diritto internazionale contemporaneo proibisce qualsiasi intervento armato di un governo in una guerra civile, anche in appoggio al governo legittimo. Ben lungi dall'avere questa caratteristica, l'intervento armato indonesiano tendeva al contrario a mettere fine al processo di decolonizzazione intrapreso dalla potenza amministrante e avrebbe portato alla rottura delle relazioni diplomatiche fra il governo portoghese e quello indonesiano.

e) Impossibilità di sopravvivenza della Repubblica democratica del Timor Orientale.

Nel corso dei dibattiti alle Nazioni Unite alcune delegazioni hanno sostenuto la posizione del governo indonesiano esprimendo dubbi sulla capacità economica del territorio del Timor Orientale, una volta diventato indipendente.

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dedicato una particolare attenzione al problema dei "micro" territori. Per questo nel 1973 chiese (risoluzione 2908 - XXVII) al Comitato Speciale "di continuare ad accordare un'attenzione particolare ai piccoli territori e di raccomandare all'Assemblea Generale i metodi più adatti nonché le misure da adottare per permettere alle popolazioni di tali territori di esercitare pienamente e senza alcun ritardo il loro diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza.

Tale risoluzione è, d'altra parte, conforme a un'altra risoluzione dell'Assemblea Generale, meno recente, la risoluzione 2105 (XX), del 20 dicembre 1965. La domanda alla quale doveva rispondere l'Assemblea Generale era la seguente: "Il principio del diritto dei popoli a disporre di se stessi, principio che ritroviamo nella Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi e popoli coloniali, è considerato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite come un principio fondamentale applicabile ai piccoli territori non autonomi"?

La risposta fu ampiamente affermativa. L'ONU tuttavia ammise che "potevano sorgere difficoltà quando il territorio fosse stato troppo esiguo o troppo isolato per poter far fronte alle proprie esigenze economiche".

Questo non ha però impedito che alcune piccole isole (delle Antille, per esempio, o dell'Oceano Indiano, come l'isola Mauritius) ottenessero l'indipendenza, dopo che il loro caso era stato esaminato dal Comitato di Decolonizzazione delle Nazioni Unite.

Per quel che riguarda il caso particolare del Timor Orientale, James Dunn, la cui testimonianza è stata ascoltata in questo Tribunale, durante la 35a sessione dell'Assemblea Generale ha dichiarato:

"Il Timor Orientale è stato descritto come un paese sottosviluppato che non potrà mai avere una sua indipendenza economica. In realtà questo territorio è sottosviluppato, ma grazie a un grande sforzo dell'amministrazione coloniale portoghese, nel campo dell'istruzione, nel 1974 esisteva già una élite preparata, sufficientemente numerosa da garantire una base di autonomia.

La terra stessa è stata sfruttata poco, ma con le ricche valli montane e le vaste pianure dove l'agricoltura cominciava a svilupparsi, il Timor Orientale sarebbe potuto diventare autosufficiente in campo alimentare con buone prospettive di esportazione. C'erano anche prospettive incoraggianti nel campo dello sfruttamento del petrolio e di altri minerali del sottosuolo...

Dopo la decolonizzazione, il Timor Orientale sarebbe potuto diventare in cinque anni uno dei casi più riusciti della storia della decolonizzazione del dopoguerra..."

f) L'esercizio del diritto di autodeterminazione mediante l'integrazione con l'Indonesia.

Nel suo parere consultivo sul Sahara Occidentale, il Tribunale Permanente dei Popoli ha riportato un passo della Corte Internazionale di Giustizia riguardante lo stesso argomento, passo ispirato alla risoluzione 1514 XV dell'Assemblea Generale per descrivere le possibilità principali che ha un territorio non autonomo per raggiungere la piena autonomia, e cioè:

a. diventare uno stato indipendente e sovrano;

b. associarsi liberamente a uno Stato indipendente;

c. integrarsi in uno Stato indipendente.


(parere consultivo dell'11 novembre 1979, n.15)

Il governo indonesiano ha inteso presentare l'integrazione del Timor Orientale nella Repubblica indonesiana il 17 luglio 1976 come il coronamento dell'esercizio, da parte del popolo timorese, del suo diritto all'autodeterminazione. "I desideri della popolazione del Timor Orientale sono stati realizzati, il processo di decolonizzazione è terminato e il diritto all'autodeterminazione è stato esercitato secondo le modalità determinate dalla stessa popolazione e conformemente al suo sistema tradizionale" (La decolonizzazione nel Timor Orientale, doc. del Dip. degli Affari Esteri, Repubblica dell'Indonesia, agosto 1976).

Come è stato chiaramente sottolineato dalla Corte Internazionale di Giustizia nel suo parere relativo al Sahara Occidentale, è al popolo che compete decidere il destino del suo territorio e non al territorio che compete di decidere il destino del popolo. Quali che siano i motivi storici addotti, è la libera scelta del popolo il fattore decisivo nell'autodeterminazione.

Secondo il governo indonesiano, questa libera scelta sarebbe stata effettuata tramite la consegna di una petizione in favore dell'integrazione ad opera dell'Assemblea rappresentativa popolare", istituita il 31 maggio 1975 dal "governo provvisorio", installato dopo l'invasione indonesiana.

Ma, come si deduce dalla risoluzione 1541 (XV) del 15 dicembre 1960, adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU, perché l'integrazione possa essere accettata, deve essere il risultato della volontà liberale espressa dalle popolazioni del territorio; e questo non è stato il caso di Timor: la petizione di cui sopra fu opera di organizzazioni politiche che agivano in esilio, senza appoggio popolare nel Timor Orientale e sostenute solo nell'Indonesia. L'integrazione appare come un atto unilaterale della potenza occupante e deve essere dunque condannata come il prodotto del ricorso all'uso della forza, vietato dall'art.2, par.4 della Carta delle Nazioni Unite, ricorso ancor più condannabile per aver privato un popolo dell'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione.

2. Caratteristiche dell'aggressione indonesiana

Dopo il ritiro dell'amministrazione portoghese (28 aprile 1975), il FRETILIN, rappresentante del popolo a Timor Orientale, che controllava tutto il territorio dell'ex colonia portoghese, proclamò la Dichiarazione di Indipendenza e l'istituzione della Repubblica Democratica del Timor Orientale (28 novembre 1975). Il fatto che l'invasione indonesiana, scatenata il 7 dicembre 1975 con l'attacco alla capitale Dili, abbia impedito al nuovo Stato di affermare concretamente la sua effettività non può essere addotto come pretesto per negare il carattere statale di questa Repubblica al momento dell'aggressione. L'occupazione del territorio ad opera dell'esercito indonesiano distrusse solo progressivamente le strutture create dal nuovo Stato.

Se oggi questo Stato ha in parte perso la concreta fisionomia che possedeva durante i primi anni seguiti alla proclamazione, tale fatto è dovuto a un'aggressione distruttrice di cui lo stesso governo indonesiano è responsabile e di cui quindi esso non può valersi per minimizzare l'aggressione compiuta.

Questo Tribunale non pensa che ci sia una dicotomia che obblighi a scegliere, per dichiarare valide le regole del diritto, fra il principio di effettività, che tiene conto della conformità della condotta della popolazione con le regole che le sono destinate e del controllo esercitato dal governo su tutta l'area del territorio nazionale, e il principio di legittimità, che riguarda l'ipotesi per cui una regola fa intervenire un valore a titolo di elemento costitutivo. La sua opinione è che la considerazione della sola legittimità, lasciando da parte l'effettività, può condurre a dichiarare valide pretese norme giuridiche che, non riflettendosi nella condotta effettiva della popolazione, non sarebbero che "lettera morta"; mentre d'altra parte, la sola considerazione dell'effettività, lasciando da parte il valore che i destinatari della norma giuridica le accordano liberamente, avrebbe come risultato di considerare valide delle norme imposte alla popolazione dalla paura ad essa ispirata dalle violazioni ripetute e sistematiche dei diritti dell'uomo, la cui importanza nel diritto internazionale contemporaneo non ha bisogno di dimostrazioni.

In concreto, il regime giuridico uscito dalla dichiarazione di Indipendenza della Repubblica Democratica del Timor Orientale, il 28 novembre 1975, è stato costituito da norme giuridiche che la maggioranza della popolazione del paese riconobbe liberamente, fin dall'inizio, come valide e che si tradussero in una effettività che non si può mettere in dubbio.

Dopo l'invasione indonesiana, la resistenza del FRETILIN alle nuove strutture imposte con la forza dall'invasore, è sufficiente per dimostrare che tali strutture non sono state riconosciute come valide e quindi non accettate dalla popolazione del Timor Orientale.

È quindi a titolo sussidiario che bisogna considerare un'altra caratteristica dell'aggressione indonesiana: ammesso che il carattere statale della Repubblica Democratica del Timor Orientale potesse essere ritenuto fragile, l'aggressione avrebbe maggiormente trasgredito il fondamentale diritto di un popolo all'autodeterminazione, con la circostanza aggravante che esso aveva appena intrapreso un processo di decolonizzazione.

3. Sulle violazioni del diritto di guerra e sul genocidio

Il governo indonesiano non solo ha commesso contro il Timor Orientale il crimine di aggressione così come inteso dal diritto internazionale, ma ha anche condotto una guerra contro quella giovane Repubblica nel disprezzo delle regole più elementari del diritto umanitario di guerra e ha amministrato i territori occupati ignorando i principi fondamentali della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.

La sua condotta può in definitiva essere qualificata come genocidio, crimine contro il diritto delle genti così come esso è definito dalla Convenzione Internazionale del 9 dicembre 1948.

a) Sul modo di condurre la guerra

Il diritto umanitario di guerra costituisce un sistema di regole che le parti in conflitto devono rispettare nei confronti sia dei combattenti che delle popolazioni civili. Queste regole sono enunciate in diversi trattati e convenzioni, le principali delle quali sono le Convenzioni dell'Aja del 1899 e del 1907 sulle leggi e le consuetudini di guerra e le Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, completate dai protocolli aggiuntivi del 1977.

L'articolo 1°, par.4 del 1° Protocollo aggiuntivo del 1977 ha esteso la sfera di applicazione delle Convenzioni di Ginevra nei seguenti termini:

"Nelle situazioni previste dal paragrafo precedente sono compresi i conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale, contro l'occupazione straniera e contro i regimi razzisti, nell'esercizio del diritto dei popoli a disporre di se stessi, consacrato nella Carta delle Nazioni Unite..."

Non si tratta qui di ricordare nei particolari il diritto umanitario di guerra che segue tre direttrici fondamentali: le armi e gli strumenti di guerra, i prigionieri di guerra e le popolazioni civili non combattenti. È proprio con il riguardo al trattamento dei prigionieri di guerra e delle popolazioni civili che va valutato il comportamento delle autorità indonesiane nella condotta della guerra.

Secondo le Convenzioni di Ginevra i prigionieri di guerra devono essere trattati con umanità e internati fino alla fine delle ostilità, in condizioni regolari e controllabili, in particolare, ad opera della Croce Rossa Internazionale.

Nel Timor Orientale non esiste niente di tutto questo. Nessuna notizia di prigionieri di guerra che possono essere visitati dalla Croce Rossa o da qualsiasi altra organizzazione neutrale. I prigionieri vengono uccisi al momento della cattura o detenuti in condizioni atroci.

Quanto alle popolazioni civili, esse devono, secondo il diritto umanitario di guerra, essere salvaguardate da ogni sofferenza che non derivi da strette necessità di guerra e in modo particolare dai bombardamenti massicci e indiscriminati e dalla fame che sia prodotta soprattutto dalla distruzione delle fonti di rifornimento. Ora, tutte le testimonianze convergenti riunite nella documentazione sottoposta al Tribunale permettono di affermare che numerosi villaggi sono stati sistematicamente distrutti dai bombardamenti che hanno provocato la morte di gran parte della popolazione.

Quanto al saccheggio economico e agli spostamenti della popolazione che hanno ridotto alla fame i sopravvissuti, anche questi sono dimostrati da numerosi fonti.

b) Sull'amministrazione dei territori occupati

È oggi ammesso che i principi fondamentali della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, completata dai due Patti Internazionali del 1966, creano fra gli Stati obblighi nei confronti della comunità internazionale.

È quindi evidente che l'occupazione del Timor Orientale da parte delle forze indonesiane viene portata avanti nel disprezzo totale delle fondamentali libertà pubbliche e dei diritti dell'uomo proclamati dai testi già citati.

È quasi inutile riferire che le libertà fondamentali di circolazione, di espressione, di associazione e di riunione sono state puramente e semplicemente soppresse.

Per ciò che riguarda le norme sulla sicurezza personale, che vietano gli arresti arbitrari e accordano a ogni persona perseguitata il beneficio di un processo regolare e pubblico nel quale siano garantiti i diritti della difesa, è evidente che anch'esse sono totalmente disattese.

Non c'è un solo articolo della Dichiarazione Universale o dei Fatti Internazionali che non venga quotidianamente trasgredito dalle autorità indonesiane nel Timor Orientale.

c) Sul genocidio

Il Tribunale si può rendere conto che sono ben fondate le varie voci autorevoli che hanno accusato il governo indonesiano di commettere, nel Timor Orientale, un genocidio contro il popolo maubere.

Il genocidio è un crimine contro il diritto delle genti, di cui la Convenzione del 1948 ci dà una definizione e organizza la prevenzione e la repressione.

Perché ci sia genocidio, non è sufficiente che ci si trovi in presenza di atti massicci di omicidio, di attentati all'integrità fisica, di deportazioni, ecc. È necessario anche, come prevede la Convenzione, che tali atti siano stati commessi "con l'intenzione di distruggere parzialmente o totalmente un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale".

Nel caso del Timor Orientale, il Tribunale è a conoscenza della vastità dei massacri dei quali è stata vittima la sua popolazione. Conosce anche, grazie alle prove addotte, l'intenzione di annientare l'identità culturale e nazionale del popolo maubere. È questo, "in quanto tale", che si vuole distruggere.

Sommando ai massacri fisici la distruzione culturale si dimostra, senza possibile contestazione, che si tratta effettivamente di genocidio.

La volontà delle autorità indonesiane non è solo quella di distruggere l'identità nazionale e culturale del popolo maubere, ma anche quella di obbligarlo, con i metodi barbari ricordati, a un'assimilazione forzata con la nazionalità indonesiana.

Il Tribunale ritiene che le autorità indonesiane debbano essere condannante per il crimine di genocidio, oltre che per quello di aggressione.

II. RESPONSABILITÀ DI ALTRI GOVERNI

A) IL GOVERNO DEGLI STATI UNITI

1) Considerazioni generali

L'aggressione indonesiana di Timor, per le gravi e flagranti violazioni dei più elementari principi che reggono i rapporti internazionali, solleva il problema della responsabilità di altri governi e soprattutto di quelli che hanno notevoli interessi nella regione. Infatti, in un mondo dominato dall'interdipendenza delle nazioni e dalla politica dei blocchi e in una regione dove i rapporti internazionali sono segnati da una fitta rete di alleanze e di accordi militari, l'intervento indonesiano non può essere ritenuto il risultato di una decisione presa singolarmente dal governo di quel paese. Così si pone in primo luogo il problema del ruolo avuto dagli Stati Uniti, potenza economica egemonica in quella regione.

Soprattutto a partire dal 1945, secondo una linea già abbozzata all'inizio del secolo, i dirigenti politici e gli uomini d'affari degli Stati Uniti considerano il Sud-Est asiatico un'importante fonte di materie prime e, in seguito, di manodopera a basso prezzo. Inoltre gli strateghi americani gli attribuiscono un'importanza fondamentale nel quadro della strategia del confronto globale est-ovest.

In questa logica - che mira a impadronirsi delle ricchezze del Sud-Est asiatico, a costruirvi alleanze anticomuniste, a mantenere il prezzo delle materie prime al livello più basso possibile, a controllare le rotte marittime strategiche e gli altri obiettivi militari - si può iscrivere l'aiuto fornito al regime coloniale francese in Indocina, più tardi l'intervento in Vietnam e le iniziative prese a rovesciare il regime di Sukarno in Indonesia.

Dopo la caduta di Sukarno, l'Indonesia diventa la punta di diamante della strategia nord americana nel Sud-Est asiatico e il governo americano garantisce al nuovo regime militare forniture di armi sempre più consistenti, oltre ad un massiccio aiuto economico. Esso si è assunto anche la preparazione degli ufficiali e dei quadri della polizia indonesiana per poter contare su personale amministrativo fedele e preparato. Tra il 1967 e il 1974, Washington ha fornito a Jakarta un miliardo e mezzo di dollari sotto forma di aiuto economico e più di 94 milioni di dollari sotto forma di aiuto militare.

I legami politici tra i due paesi diventano sempre più stretti e in questo contesto è difficile pensare che l'aggressione indonesiana contro il Timor Orientale sia stata presa senza il consenso degli USA. Questo presupposto di ordine generale è stato confermato da una serie di fatti precisi presentati al Tribunale.

2) Intensificazione dei rapporti bilaterali

I rapporti bilaterali tra gli USA e l'Indonesia si intensificano gradualmente con l'avvicinarsi dell'invasione del Timor Orientale. Nel luglio del 1975, il presidente Suharto fa uno scalo di cinque ore a Washington e riceve dal presidente Ford l'assicurazione che gli USA sono fermamente decisi ad aumentare l'aiuto militare all'Indonesia. Dopo questa visita, Suharto dichiara, per la prima volta pubblicamente, di opporsi all'indipendenza del Timor Orientale. Particolarmente importante fu la visita di una delegazione indonesiana negli Stati Uniti, dal 14 al 23 ottobre 1975. Il capo della delegazione è il generale Alì Murtopo, vice capo dei Servizi segreti del presidente Suharto, che, in seguito, avrà un ruolo decisivo nel piano d'invasione del Timor Orientale e che, oggi, è ministro dell'informazione. Infine, il 6 dicembre 1975, il presidente Ford e il segretario di Stato Kissinger sono ricevuti a Jakarta. Il 7 dicembre, dodici ore dopo quell'incontro, inizia l'aggressione. Un telegramma pubblicato quello stesso 7 dicembre dal "Los Angeles Times" riferisce di una dichiarazione di Kissinger rilasciata alla stampa di Jakarta.
Secondo quel telegramma, Kissinger avrebbe affermato che gli Usa non riconosceranno la Repubblica Democratica del Timor Orientale e che "comprendono la posizione dell'Indonesia in tale questione".

3) L'aumento dell'aiuto militare

Il coinvolgimento degli Stati Uniti nell'aggressione al Timor Orientale è provato ancor meglio dall'esame dei dati che quantificano e qualificano l'aiuto militare americano all'Indonesia, la cui potenza militare dipende quasi totalmente dagli Stati Uniti. Tutto induce a credere che l'aiuto aumenti considerevolmente nella seconda metà del 1975, dal momento che, in seguito alla caduta di Lon Nol in Cambogia, il presidente Ford trasferisce all'Indonesia una parte - il cui ammontare non è mai stato precisato - dei 475 milioni di dollari del Fondo d'urgenza destinato alla Cambogia.

In ogni caso, gli Stati Uniti hanno dato all'Indonesia, durante il 1975, un aiuto militare superiore del 450% rispetto all'anno precedente. Il materiale fornito era destinato al Timor Orientale e comprendeva soprattutto 16 aerei antiguerriglia OV-10, 45 carri blindati V-150 e tre aerei da trasporto C-130.

Secondo una fonte militare americana, l'ammiraglio La Roque, "...i Rockwell OV-10 sono particolarmente importanti per gli indonesiani. Sono aerei che si dislocano a bassa velocità, studiati soprattutto per missioni antiguerriglia contro un nemico che non dispone di difesa antiaerea" e "i carri blindati V-150 sono molto efficaci nelle operazioni antiguerriglia quando il nemico non ha che armamento leggero...".

Durante il 1976 l'aiuto militare americano aumenta ancora di più e raggiunge i 54 milioni di dollari. L'aumento continua negli anni seguenti e, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, l'assistenza militare fornita all'Indonesia, dall'aggressione di Timor fino al 1979, raggiunge e oltrepassa i 250 milioni di dollari (Dipartimento Americano della Difesa; Le vendite militari all'estero e i dati sull'assistenza militare, Washington, dicembre 1979).

È unicamente grazie a questo aiuto massiccio che l'esercito indonesiano, il quale per tutto il 1976 e gran parte del 1977 non controllava che la capitale Dili e la fascia costiera, scatena con successo un'offensiva militare in tutto il territorio del Timor Orientale e riesce a stanare dalle montagne oltre 200.000 timoresi, nell'ambito dell'operazione "Search and Destroy" ("Ricerca e Distruzione"), come riferisce il "New York Times" del 19 aprile 1978.

Tali operazioni vengono effettuate con l'appoggio di 4 aerei Skyhawk ed elicotteri Bell, consegnati dagli Stati Uniti nel 1977-1978; provocano la distruzione totale dei raccolti e di tutte le risorse alimentari. Gettano nella fame centinaia di migliaia di timoresi.

Bisogna sottolineare che la maggior parte di questo materiale è stato consegnato agli indonesiani in seguito agli impegni assunti dal vicepresidente degli USA, Mondale, in occasione della sua visita in Indonesia, alla fine del 1977.

4) L'appoggio diplomatico e la propaganda a favore dell'Indonesia

Sul fronte diplomatico il governo degli USA svolge un'intensa azione volta a dar copertura all'aggressione indonesiana. Cominciando dai dibattiti che precedevano il voto della risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1 dicembre 1976 che chiedeva la ritirata delle truppe indonesiane dal territorio del Timor Orientale, gli USA si sono completamente allineati sulle posizioni dell'Indonesia e hanno votato sistematicamente contro tutte le risoluzioni a favore dell'autodeterminazione e dell'indipendenza del Timor Orientale. In conformità con questo atteggiamento, i rappresentanti degli USA hanno sempre tentato di minimizzare il problema del Timor Orientale, dichiarando ripetutamente che quel paese faceva parte dell'Indonesia e che il problema consisteva non già nel vedere se "erano state violate le norme o i principi internazionali", bensì anzitutto nell'accettare il fatto compiuto, dal momento che gli USA "avevano riconosciuto dal punto di vista politico l'annessione del Timor Orientale e la legittimità dell'esercizio della sovranità da parte del governo indonesiano" (George Aldrich-Hearing, giugno-luglio 1977). Inoltre il portavoce del governo americano cerca costantemente di deviare l'attenzione dell'opinione pubblica americana dalla responsabilità indonesiana, attribuendo la perdita di vite umane al conflitto armato tra FRETILIN e UDT e tacendo completamente sulle distruzioni di villaggi e di raccolti, sui massacri, sulle deportazioni di centinaia di migliaia di persone e sui saccheggi provocati tra la popolazione dalle campagne del 1977-78. Da notare che l'ambasciatore degli Stati Uniti in Indonesia è andato in visita nel Timor Orientale nel 1978.

Poiché tali elementi sono indizi univoci e concordanti, il loro insieme costituisce per il Tribunale la prova che il governo degli Stati Uniti ha favorito e appoggiato l'aggressione dell'Indonesia contro il Timor Orientale.

5) Le ragioni dell'appoggio degli USA all'aggressione indonesiana

L'atteggiamento americano nei confronti del Timor Orientale si colloca nell'ambito della politica estera di quel paese che subordina sistematicamente le esigenze e i diritti di tutti gli altri popoli agli interessi della sua politica imperialistica. Nel caso del Timor Orientale ragioni di ordine strategico, politico e ideologico rendono pericolosa per gli Stati Uniti la creazione di uno stato libero e indipendente in questa area del globo.

Il Timor Orientale ha un'importanza strategica cruciale per la sua posizione geografica. Infatti, la rotta più diretta di collegamento tra le due basi navali americane di Guam e Diego Garcia è quella che passa per lo stretto della Sonda, controllato dalla marina di chi governa il Timor Orientale.

Oltre a queste ragioni strategiche e militari, gli Stati Uniti non possono tollerare che un paese, in questa regione del mondo, possa costruire il suo destino in modo autonomo rispetto all'imperialismo, fuori del suo controllo e da quello dei suoi gendarmi locali; non possono tollerare che possa esistere uno Stato indipendente, che si ispiri a un modello socio-economico diverso da quelli che l'imperialismo culturale dell'occidente impone o cerca di imporre ai paesi in via di sviluppo. È evidente che un simile Stato, anche se piccolo, povero pacifico e disarmato, potrebbe costituire un germe esplosivo di disintegrazione del sistema di dominio imperialista, in quanto potrebbe diventare un esempio per le decine di milioni di persone che formano la popolazione contadina sfruttata e potenzialmente ribelle del Terzo Mondo e concretamente di questa parte del globo.

Il primo paese minacciato da una realtà del genere sarebbe l'Indonesia, con le sue vaste masse rurali oppresse dai generali di Jakarta. Creare non lontano dalle sue frontiere un modo diverso di vita e di rapporti umani non potrebbe non avere ripercussioni non solo in Asia, ma anche in Africa e in America Latina, alle porte stesse degli Stati Uniti. Da questo punto di vista, la tesi del pericolo comunista e della destabilizzazione rappresentata da un Timor Orientale libero, è analoga alla tesi sostenuta dal governo degli USA a proposito del Salvador. Nel linguaggio diplomatico americano, è di fatto comunista tutto ciò che può mettere in pericolo il controllo esercitato dall'imperialismo sui popoli e tutto ciò che può creare brecce nel sistema di dominazione degli Stati Uniti.

Paradossalmente, persino la piccolezza e la lontananza del Timor Orientale aumentano il potenziale che sarebbe costituito da uno Stato libero in questa parte del mondo. Questo dimostrerebbe che il progetto imperialista non è invincibile e che i miti e le speranze accarezzate da gran parte dell'umanità possono essere trasformate in realtà concreta, anche nelle situazioni più difficili e più lontane, dalla solidarietà anti-imperialista. Allo stesso modo, la tesi della mancanza di autosufficienza economica del Timor Orientale rispecchia, da una parte, un imperialismo culturale dominato dal mito dell'industrializzazione totalizzante e dall'altra, la paura che il successo di un'esperienza originale, che si sviluppi al di fuori dei limiti tracciati dall'imperialismo, rappresenti una sfida intollerabile per il modello da esso imposto.

B) IL GOVERNO AUSTRALIANO

Le considerazioni sopra esposte spiegano a sufficienza il coinvolgimento degli Usa nell'aggressione al Timor Orientale, ma mettono anche in evidenza l'atteggiamento assunto nei confronti del dramma del popolo maubere da tutti i paesi legati all'imperialismo nordamericano. Tra essi dobbiamo ricordare, anzitutto, l'Australia, la quale, per la sua posizione geografica, è direttamente interessata alla situazione del Timor Orientale. I rapporti presentati al Tribunale evidenziano il fatto che l'Australia ha concesso all'Indonesia, dopo l'invasione del Timor, un aiuto militare che si aggira intorno ai 35 milioni di dollari. Non è stata chiesta alcuna garanzia sull'utilizzazione di tale aiuto. Gli stessi rapporti hanno messo in luce una costante della politica estera australiana alla ricerca di un'intesa sempre più stretta con il regime di Jakarta. Infatti, già all'inizio del 1973, l'allora primo ministro australiano, il laburista Gough Whitlam, dichiarava a proposito dell'Indonesia:

"Il futuro dei nostri paesi è legato per sempre e i nostri rapporti diventeranno un fatto cruciale nella determinazione del futuro della nostra regione fino alla fine del secolo" (Hyde, The Asian Connection, p.61).

Lo stesso Whitlam nel 1975 respinse la proposta portoghese che l'Australia convocasse le parti in conflitto in vista di una soluzione della guerra, e questo nonostante l'opposizione del Dipartimento degli Affari Esteri del suo governo e di una parte considerevole dell'opinione pubblica australiana.

La stessa linea è stata seguita dal governo liberale che è succeduto a quello laburista. Infatti, nel gennaio 1978, il primo ministro Malcon Fraer, riconosce de facto l'annessione del Timor Orientale da parte dell'Indonesia. Dodici mesi più tardi quello stesso governo intavola trattative con l'Indonesia al fine di stabilire una frontiera marittima tra il Timor Orientale e l'Australia, il che implica un riconoscimento de iure della sovranità che l'Indonesia pretende di esercitare sul Timor Orientale.

C) I GOVERNI APPARTENENTI ALL'IGGI

Il Tribunale ha anche valutato la posizione di altri governi, con interessi meno immediati nella regione, ma che in modo indiretto sono implicati nell'aggressione indonesiana. Si tratta concretamente dei seguenti paesi: Giappone, Francia, Olanda, Germania, Nuova Zelanda, Canada, Inghilterra, Belgio, Italia, Danimarca e Svizzera i quali, insieme agli Stati Uniti e all'Australia, alla Banca Mondiale e alla Banca per lo Sviluppo dell'Asia, fanno parte dell'Inter-Gouvernamental Groupe of Indonesia (IGGI), e da sedici anni forniscono al governo indonesiano aiuto finanziario per un valore di circa 2 miliardi di dollari l'anno, sotto forma di prestiti con interesse.

Questi prestiti sono specificamente destinati a progetti sociali per combattere la miseria e la denutrizione. In pratica, tali progetti non sono stati attuati e le masse contadine indonesiane continuano a vivere al di sotto del livello di sussistenza. Per di più, per alcuni anni, gli scambi dell'Indonesia con l'estero hanno registrato un saldo attivo del quale, secondo gli esperti, si sarebbe potuta impiegare una parte, del valore di 6 miliardi di dollari l'anno, nello sviluppo del paese. Questa possibilità e il fatto che, in seguito all'aiuto fornito dall'IGGI, l'indebitamento con l'estero dell'Indonesia tocchi attualmente i 23 miliardi di dollari, hanno indotto gli esperti della Banca Mondiale a sollevare dubbi sulla validità di tale forma di aiuto che, in realtà, sembra sia stato utilizzato soprattutto per incrementare il potere militare indonesiano con l'acquisto di equipaggiamento militare sempre più sofisticato.

Anche se non è possibile affermare che l'aiuto fornito dall'IGGI sia stato direttamente utilizzato dal governo indonesiano nella sua aggressione contro il Timor Orientale, è certo che indirettamente tale aiuto ha contribuito fortemente a rendere possibile l'aggressione. Anzitutto esso ha rafforzato la capacità di acquisto di materiale bellico sofisticato da parte dell'Indonesia e, inoltre ha favorito la creazione di rapporti tra il regime indonesiano e le industrie dei paesi membri dell'IGGI. Molte volte queste industrie, contravvenendo alle rispettive legislazioni nazionali che vietano l'esportazione di armi, ottengono le necessarie autorizzazioni per esportare. Così il governo britannico ha autorizzato l'esportazione di aerei Hawk, l'Australia di aerei Nomas e Land-Rovers per la lotta antiguerriglia, la Francia ha venduto elicotteri e la Germania sottomarini, mentre il governo olandese ha autorizzato la vendita di Fokker per il trasporto delle truppe del Timor Orientale. Di recente è stata data notizia in Olanda di nuovi contratti per la vendita di aerei.

Il fornitore numero uno, tuttavia, continuano a essere gli Stati Uniti, la loro industria aeronautica e, in genere, la macchina industriale bellica nordamericana. Sembra, per esempio, che un consistente prestito della Banca Mondiale, destinato al trasferimento di contadini dell'isola di Java, superpopolata, alle isole periferiche, sia stato utilizzato, in parte, per l'acquisto di aerei Lockeed Hercules C-130, utilizzati per il trasporto di truppe.

La politica di aggressione dell'Indonesia non è quindi solo il prezzo che l'imperialismo deve pagare per mantenere lo status quo nella regione, ma diventa anche una componente del sistema, integrandosi coerentemente nell'ingranaggio economico, il cui funzionamento e il cui sviluppo essa contribuisce ad alimentare.

I buoni affari, lo sviluppo delle industrie, il livello occupazionale diventano le attenzioni principali dei membri dell'IGGI. Questo spiega perché questi stessi governi, - alcuni dei quali si sono astenuti nella votazione sulle risoluzioni dell'Assemblea Generale dell'ONU sul Timor Orientale, e tra questi soprattutto il governo olandese, che presiede la Conferenza annuale - non si preoccupino di sollevare il problema in seno all'Assemblea Generale annuale dell'IGGI, né di esigere la cessazione dell'aggressione come condizione previa per il proseguimento dell'aiuto finanziario. In altre parole, l'annientamento del popolo maubere deve passare in secondo piano di fronte alle esigenze degli affari.

La crisi del diritto internazionale e dei principi della Carta delle Nazioni Unite si rivela in tal modo strettamente legata a un sistema economico che ha nell'imperialismo nordamericano il suo centro motore e in esso trova un baluardo che impedisce ad altri paesi di tentare vie diverse per un nuovo ordine internazionale.

Di fronte a questa situazione, l'obbligo che compete a tutti i paesi del mondo di opporsi alla distruzione del popolo maubere diventa particolarmente vincolante per i paesi industrializzati, ai quali è necessario chiedere non solo un atteggiamento chiaro sul piano politico e diplomatico, ma anche prese di posizione coerenti negli organismi economici internazionali, quali l'IGGI, la Banca Mondiale, il FMI, ecc. e, in modo più generale, in tutte le organizzazioni nelle quali l'imperialismo opera a spese dei popoli che cercano di affermare pienamente il proprio diritto all'autodeterminazione.

D) IL GOVERNO PORTOGHESE

Un obbligo del tutto particolare ha il Portogallo il quale, in qualità di ex potenza coloniale, aveva la responsabilità primaria di operare perché diventasse effettivo il diritto del popolo timorese all'autodeterminazione, responsabilità solennemente riconosciuta nella legge n.7/75 del 27 luglio 1975 e nell'articolo 307 della sua nuova Costituzione, che recita:

"Il Portogallo è tenuto, in conformità al diritto internazionale, a far fronte ai suoi obblighi di promuovere e garantire il diritto all'indipendenza del Timor Orientale".

DISPOSITIVO

IL TRIBUNALE

- considerando che il ricorso alla forza nelle relazioni internazionali costituisce una violazione grave delle norme del diritto delle genti e una minaccia alla pace;

- considerando il diritto imprescrittibile del popolo del Timor Orientale all'autodeterminazione;

- considerando che, dal 7 dicembre 1975, le truppe indonesiane sono penetrate in modo massiccio nel territorio della Repubblica Democratica del Timor Orientale;

- considerando le gravi violazioni del diritto umanitario di guerra commesse dalle truppe indonesiane e le continue trasgressioni dei diritti dell'uomo commesse dalle autorità di occupazione;

- considerando che sussistono sia l'elemento materiale (massacri, deportazioni, fame programmata, ecc.) che l'elemento intenzionale (distruzione dell'identità nazionale e assimilazione forzata) del crimine di genocidio nei confronti del popolo maubere;

DI CONSEGUENZA DECIDE

- La penetrazione e il mantenimento delle truppe indonesiane sul territorio della Repubblica Democratica del Timor Orientale è, ai sensi del diritto internazionale, un'aggressione vietata dall'art.2, 4 della Carta delle Nazioni Unite, definita come tale dalla risoluzione 3314 (XXIX) dell'Assemblea Generale dell'ONU.

- Il governo indonesiano si è reso colpevole di un crimine contro la pace internazionale in base alla qualifica data alla guerra di aggressione dalle risoluzioni 3314 (XXIX) e 2625 (XXIX) dell'Assemblea Generale e una simile aggressione comporta responsabilità internazionale.

- Il governo dell'Indonesia si è reso colpevole nei confronti del popolo maubere del Timor Orientale di violazione dell'art.5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli, relativo al diritto all'autodeterminazione.

- Il governo dell'Indonesia con le gravi e continue violazioni delle leggi e degli usi di guerra si è reso colpevole di crimini di guerra.

- Il governo dell'Indonesia, commettendo una serie di atti gravi con l'intenzione di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo nazionale in quanto tale, nella fattispecie il popolo maubere, si è reso colpevole del crimine di genicidio.

- Il governo degli Stati Uniti, fornendo al governo indonesiano un aiuto e un'assistenza decisivi, si è reso colpevole di complicità nell'aggessione.

- Qualsiasi altro governo o organizzazione che fornisca aiuto e assistenza al governo dell'Indonesia si rende colpevole di complicità nell'aggressione. All'inverso, qualsiasi governo o qualsiasi organizzazione che presti aiuto o assistenza al Timor Orientale, vittima dell'aggressione, non fa che adempiere al suo dovere internazionale.


NOTE
(1) Vedi P.D.Elliot, The East Timor Dispute, 271 C.L.O. (1978), 247 e riferimenti.



Questo documento è tratto dal libro TRIBUNALE PERMANENTE DEI POPOLI Le sentenze: 1979 - 1991
E' possibile richiederlo direttamente alla NCE o all' ASICUBA