meno orario più salario
La riduzione d’orario scollegata dalla difesa del salario non ha respiro di classe.
I salari sono identificati da anni come la fonte di ogni male: se l’inflazione aumenta è colpa dei salari e dei meccanismi automatici tipo la scala mobile, se le merci italiane non sono competitive è colpa dei salari troppo alti, se i capitali stranieri fuggono dall’Italia è colpa sempre dei salari ....
L’unico rimedio alla disoccupazione sembra essere quello di concedere ai padroni di assumere pagando sempre meno tasse e pagando sempre meno i lavoratori.
La tremenda sacca di disoccupazione è strategicamente utilizzata per ottenere il massimo di controllo sui lavoratori (flessibilità, precarizzazione, licenziamenti) e per ridurre i salari (contratti di area, apprendistato, formazione lavoro, contenimento del salario contrattuale). Mentre con il richiamo "a quelli che il lavoro non ce l’hanno" si tende a far passare il lavoro come un lusso e far sentire coloro che ce l’hanno dei privilegiati, liquidando come raffinatezze i tentativi di difendere le condizioni di lavoro, di opporsi all’aumento della fatica, dei ritmi, dei turni …, con il richiamo "a quelli che guadagnano meno" si tende a innescare un avvitamento verso il basso dei livelli salariali conquistati nei momenti alti.
Il rapporto tra salari e profitti è l'indice oggettivo che fotografa i rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra padroni e lavoratori.
L’attacco al salario condotto in questi ultimi vent’anni è stato sistematico: la scala mobile è stata prima ridotta e poi soppressa, nei rinnovi contrattuali i salari (vincolati all’inflazione programmata) sono stati condannati a una rincorsa perdente e sempre in ritardo rispetto al costo della vita, alla contrattazione decentrata è stato proibito di parlare di salario se non sotto la forma incontrollabile del "premio di rendimento", sono aumentati progressivamente i contributi e le tasse, per non parlare della rapina alle pensioni (una forma di salario differito). Con la conseguenza che le Aziende dispongono di una massa impressionante di soldi da poter gestire per aumenti individualizzati "di merito" e per comprarsi quel fiume di straordinari a cui i lavoratori sono sempre più costretti per difendere i loro salari.
La Confindustria sa benissimo che le 35 ore le saranno concesse esattamente come lei vuole: garantendo la produttività giornaliera pro capite, consentendo il calcolo dell’orario su base annua e ottenendo l’applicazione delle normative europee sull’orario giornaliero e settimanale che renderanno legale una settimana di 73 ore (come è avvenuto in Francia !). Oggi drammatizza e prende astutamente a pretesto le 35 ore ("che innalzerebbero il costo del lavoro") per avere in cambio nei prossimi rinnovi contrattuali un’ulteriore rinuncia a richieste di recupero salariale. Tutto questo si sta puntualmente realizzando nella ignobile vicenda del contratto dei chimici.
Solo rimettendo in campo la questione salariale, sia in termini di aumenti generalizzati che in termini di salario garantito per il disoccupato che si anniderà sempre di più in ogni occupato, (non a carico della fiscalità collettiva ma dei profitti e dalle rendite), si potrà lottare per una seria riduzione d’orario, che non vada a detrimento del salario e possa creare qualche beneficio anche sul fronte occupazionale.
La vergogna salariale dei contratti d'area

Ecco gli esiti salariali dei "contratti d’area".
Se un lavoratore di terzo livello ha un salario lordo mensile di 1.800.000, un apprendista, da contratto, riceve per i primi 30 mesi un salario decurtato. Se però l’apprendista ha la sfortuna di abitare, ad esempio, nella zona di Crotone o Manfredonia, per 4 anni il suo salario viene ulteriormente ridotto alla vergognosa cifra riportata nelle tabelle. E l’età per essere assunti come apprendisti è stata innalzata, nel sud, a 26 anni.