Liberare Federare
  Nordest:Solidarietà, Ambiente, Diritti 
Federalismi a sinistra

di NICOLA ATALMI
segretario di Rifondazione comunista di Treviso

Il dibattito che si è aperto in questi giorni anche sul manifesto sul tema dei federalismi a sinistra rischia di trasformarsi nell'ennesima guerra di religione sulla quale contarsi e tentare di contare.
Le note prese di posizione di alcuni esponenti dei centri sociali del nordest, ma anche le considerazioni e gli approfondimenti di voci autorevoli delle sinistre ambientaliste e sindacali, hanno scatenato risposte a reazioni anche molto dure che però rischiano di rimuovere molte delle reali questioni in campo. Veti ed invettive non servono.
Trovo più interessante iniziare un percorso di discussione affinché i comunisti veneti del Prc possano verificare i reali contorni della questione federalista, possano approfondirne i temi perché di federalismo, volenti o nolenti, si parlerà e si praticherà nei prossimi mesi ed anni.

Mi permetto per questo di aprire la discussione a partire da alcune considerazioni che spero possano essere utili allo scopo di sgomberare il campo da equivoci più o meno malevoli.
La presentazione del cosiddetto manifesto federalista di Massimo Cacciari ha aperto un dibattito politico interessante, creando un terreno di confronto reale ed intelligente, per quanto contraddittorio. Questo terreno è quello di un federalismo visto dal Veneto, visto da una terra in cui i propositi secessionisti non sono solamente degli spettri, in cui i fenomeni di intensa accelerazione dei processi di globalizzazione del capitalismo si intrecciano radicalmente con le trasformazioni sociali, culturali e politiche.

Il preteso interclassismo e le proposte trasversaliste della fase costituente federalista ipotizzate da Cacciari (che saranno immancabilmente sottoposte alla verifica dei fatti in tempi brevissimi) erano inevitabili in un progetto che ha lo scopo di esplicitare una dimensione ed un luogo del confronto che sarà invece, ovviamente, tra voci e punti di vista sanamente di parte ed antagonisti tra loro.
A partire dalle enormi differenze che emergeranno dopodomani tra partitini catalani filo-confindustriali e la prospettiva di costituire una rete del federalismo di sinistra, radicale ed antagonista.
La politica vive, ed è sempre vissuta, del binomio confronto e scontro, confronto dialettico e scontro di classe. Altrimenti chi lancia allarmi sostenendo che non potrebbero esistere "spazi politici dove confluirebbero idee di società tanto diverse da essere antitetiche" dovrebbe spiegarci come è possibile invece che questi spazi esistano altrove: dalla Bicamerale al sindacato confederale, dalla giunta di Venezia alla maggioranza parlamentare che sostiene il governo Prodi.

Il federalismo è un termine sputtanato? Le attuali vulgate del federalismo sono costruite sulle parole e le mistificazioni strumentali di ceti egemoni, siano essi imprenditoriali che politici.
E sono sostanzialmente due. Il primo federalismo è quello leghista, che maschera e giustifica il secessionismo de facto dell'imprenditoria da qualunque vincolo e regola del vivere sociale. Il secondo federalismo è quello, speculare, polista e/o ulivista, di una classe politica depressa e delegittimata che si offre per garantire la professionalità che serve a quella stessa imprenditoria e per gli stessi scopi del primo. La differenza è in gran pare nel savoir-faire.
Ma che i comunisti nel prendere in considerazione una dimensione, più o meno importante, dell'agire politico si autolimitino alle declinazioni ed alle vulgate che di questo spazio ci vengono offerte da chi in questa regione, in questo paese ed in Europa, comanda e detta legge, mi sembra francamente la testimonianza di una nostra resa incondizionata nel campo dell'analisi e dell'intervento politico.

Il federalismo sarà uno strumento indispensabile per rispondere ai processi di trasformazione che attraversano la società veneta, solo se sarà strumento di massa, strumento democratico, strumento di conflitto e di cambiamento. In una realtà dove per troppi anni il conflitto è stato orizzontalizzato (con la connivenza di chi tra i partiti, le organizzazioni dei lavoratori e le istituzioni avrebbe dovuto svolgere ben altro mestiere), può essere il federalismo uno strumento di riverticalizzazione?
In una regione dove anche tra i lavoratori dipendenti (e figuriamoci tra gli indipendenti) l'individuazione dell'avversario, delle resistenze al cambiamento, all'emancipazione, alla liberazione soggettiva e collettiva, sono state poste fuori da noi ed individuate nello stato centralista romano (come tra gli immigrati e tra tutto ciò che non si vede, non si capisce e non si omologa alla macchina della produzione) può essere il federalismo uno strumento di ricomposizione di classe? Di come la composizione di classe è andata trasformandosi nei nostri territori?
Potrebbe essere il federalismo, l'autorganizzazione dal basso, una pratica utile anche per  democratizzare e riorganizzare l'agire politico di tutte e tutti?

A queste domande non ho risposte certe ed è per questo che mi piacerebbe discuterne.
La "questione federalista" potrà essere una risorsa se a sinistra non verrà aborrita nelle due possibili ipotesi peggiori. Quella di considerarla l'unica e ultima speranza della sinistra veneta, o quella di considerarla un cavallo di Troia del nemico, costruito sui personalismi e gli opportunismi di qualche compagno non propriamente di provata fede.
Nel primo caso il rischio di un impoverimento di un dibattito che forzi le differenze per strumentali necessità organizzative ed elettoralistiche che non paiono peraltro così urgenti.
Nel secondo caso l'aberrazione di una sinistra incapace di praticare linguaggi e terreni nuovi e forse più efficaci, per la paura, francamente infondata, di smarrire in questo percorso la propria identità ed alterità di classe.