CANENERO

settimanale anarchico - 4 ottobre 1996 - numero 33

questo giornale non ha prezzo e non teme imitazioni

Di nuovo mordace
Che volete farci, signori giudici: non siamo addomesticabili
Cronaca della rivolta
Di più, molto di più
I 29 mandati di cattura
Lampi
E se non bastasse l'inferno?
Le parole di un potere forte
Liberi di sposarsi
Gli anarchici federati accusano
L'anarchico buono
Gli esami non finiscono mai
La tradizione dei lupi
Lo spettacolo dell'ira
Diserzione e inciviltà
Ad armi pari
In tanga e reggiseno
La minaccia dell'innocenza
Quisquilie e manganellate
Troppa ingombrante giustizia
I rimedi della morale
Silenzi
Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto
Due giorni di incontri a Torino
Una manifestazione nazionale
Manifestazione contro la vivisezione

CANENERO - Casella Postale 4120 - 50135 Firenze -Telefono e Fax 055/631413

Tenuto conto della forma agile del giornale, i contributi scritti non devono superare lo spazio di una cartella, spazio 2. La redazione si chiude alle ore 22 di ogni lunedì, tranne che per notizie dell'ultima ora di particolare rilevanza. Le spedizioni partono mercoledì sera e arrivano a destinazione entro venerdì.

Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n. 18/89 del Tribunale di Cagliari


Di nuovo mordace

Eccoci qua di nuovo. Riprendiamo le pubblicazioni di questo settimanale che, oltre ogni nostra previsione, è riuscito a suscitare anche dopo la sua momentanea interruzione una vera ridda di emozioni e di preoccupazioni. Preoccupazioni in chi l'ha contemplato come un concorrente o come un pericoloso veicolo di sovversione. Emozioni in chi lo ha concepito o vi si è semplicemente imbattuto sentendosi poi visceralmente coinvolto fino al punto di avvertirne la mancanza durante il periodo di sospensione, complice anche la quasi generale assenza di stimoli che da troppo tempo traiamo persino dalla lettura delle pubblicazioni anarchiche.

Avremmo dovuto ricominciare in una nuova sede nel centro di Firenze, che peraltro avevamo già trovato, ma le recenti aggressioni della macchina repressiva che hanno portato all'arresto di diversi anarchici - fra cui alcuni redattori di Canenero - ci hanno suggerito di accelerare i tempi e di decidere di non affrontare ulteriori spese in vista delle necessità del momento. Per questi motivi Canenero continuerà ad essere realizzato in una delle "basi logistiche" segnalate premurosamente dagli odierni inquisitori, cioè doveva veniva redatto prima.

Così come avevamo concluso nell'incontro tenutosi a Carrara circa un anno fa, cercheremo di apportare alcuni cambiamenti a Canenero. Anzitutto il numero delle pagine non sarà più fisso, in modo che ogni foglio si colmi di parole che scaturiscono dai nostri desideri e non dal bisogno di riempire uno spazio. Per lo stesso motivo spariranno alcune rubriche fisse - come le recensioni, il carro funebre o il paginone centrale - a meno che di volta in volta qualcuno non abbia l'interesse e non senta l'esigenza di farle. Le uniche rubriche che manterremo saranno, ovviamente quella dei comunicati che annunciano iniziative e nuove uscite editoriali, e la tanto vituperata cronaca della rivolta. Infine, fermo restando il taglio di analisi dei fatti della settimana, proveremo ad approfondire alcuni di quegli argomenti che finora avevamo soltanto accennato sul giornale, benchè li avessimo sfumati volutamente, nel tentativo di stimolare una riflessione troppo spesso sopraffatta dai logori slogan, dagli immancabili luoghi comuni e dal timore di deviare dai sentieri più noti e rassicuranti. Parleremo anche di cose su cui prima, per una sorta di pudore, tacevamo. Volantini, manifesti e altro materiale elaborato per essere diffuso nelle singole situazioni, verranno riprodotti solo in parte, per evitare che Canenero si riempia di scritti che sono già veicolati con altre forme.

Canenero continuerà a non avere abbonati, sia per farlo pervenire con maggiore celerità, sia per contrastare l'abitudine di ricevere un giornale passivamente senza pensare di utilizzarlo come strumento proprio. Ecco perchè la distribuzione verrà ancora fatta direttamente da quei compagni interessati nelle singole situazioni. Inoltre continuerà ad essere "senza prezzo", così da lasciare liberi di decidere come darlo i diffusori stessi, che dovranno tuttavia farsi carico di inviarci un contributo per coprire le spese postali e di realizzazione. La richiesta minima per ogni numero non potrà essere inferiore alle quindici copie. Una redazione aperta, infine: quante volte ci abbiamo provato? Badate bene, non aperta a qualsiasi trovata "creativa", a qualsiasi capriccio, ma aperta a ricevere contributi differenti a partire da quei presupposti del giornale che insieme abbiamo deciso, così da consentire a chi ne abbia la voglia e l'intenzione di discutere e partecipare concretamente a un progetto come questo, indubbiamente pretenzioso. Quindi, non un semplice terminale, una casella postale dove ciascuno pensa di far affluire dati, volantini e notizie perchè vengano amplificati.

In questo numero, come è facile immaginare, daremo il più ampio spazio alle vicende repressive che stanno colpendo gli anarchici in questo periodo, inserendo eccezionalmente in maniera integrale un comunicato stampa che ci sembra particolarmente significativo ed accennando brevemente alle iniziative che si stanno estendendo un po' in tutta Italia. Ciò che più conta in questo momento è ridare voce ad uno strumento di critica dell'esistente, è ricominciare a spargere a piene mani il veleno della sovversione. Ed è importante farlo ora. Ora che l'inchiesta giudiziaria condotta contro decine di anarchici si è palesata. Ora che in seguito a questi arresti ancora una volta i mass media hanno presentato Canenero come il bollettino di una banda armata. Canenero riprende quindi, ben intenzionato a sostenere la rivolta, sia che questa assuma la forma della disobbedienza al potere, sia che abbia i tratti dell'attacco aperto contro lo Stato e l'autorità. Vogliamo un giornale vivo, bruciante, capace di sconvolgere e di coinvolgere senza sventolare bandiere, un'attività questa che consideriamo nefasta come un'istituzione e immobile come un monumento e che lasciamo volentieri ad altri. Canenero è una scommessa che ha un senso solo se c'è qualcuno disposto a giocare.


Che volete farci, signori giudici: non siamo addomesticabili

Martedì 17 settembre, prima dell'alba. Un folto numero di carabinieri guidati dai ROS irrompe nelle case di una settantina di anarchici in tutta Italia, dando il via in modo spettacolare alla seconda fase di un'operazione giudiziaria avviata ufficialmente il 16 novembre 1995. Su richiesta dei Sostituti procuratori di Roma Marini e Ionta, il G.i.p. Claudio D'Angelo firma 29 mandati di cattura contro altrettanti anarchici perché vengano custoditi cautelarmente. Le accuse per tutti sono di “banda armata, associazione sovversiva, detenzione di armi ed esplosivi”, qualcuno è accusato anche di “attentati a strutture di pubblica utilità e rapina”, qualcun altro di “omicidio e sequestro di persona”. Almeno cinque anarchici sono latitanti.

Gli uomini mascherati circondano le abitazioni con decine di auto e irrompono armi in pugno nelle case, sfondano porte e sfasciano ciò che gli capita a portata di mano. Frugano senza mezzi termini nelle abitazioni, che diventano “covi” e “basi logistiche”.

E' un sintomo evidente di come non si intenda affatto mascherare un'operazione così grottesca, anzi, l'azione appare studiata, preparata e messa in atto con una ricercata spettacolarizzazione.

Fin dal mattino i telegiornali parlano della smisurata operazione come di un blitz “antiterrorista” contro una pericolosa gang di criminali. Alle 11 appare, cotonatissimo, Marini in una conferenza-stampa, dove dà spiegazioni sulla “banda armata”, della quale fornisce un nome esotico - “ORAI” (Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica Insurrezionalista) - che richiama alla mente incomprensibili e misteriose trame. La sigla, ripetono i media, avrebbe firmato alcuni attentati, ma nessuno riesce a rammentarne le gesta.

La banda si sarebbe autofinanziata con rapine e sequestri di persona, tutti realizzati in connubio con criminali sardi, come folklore recita, specialisti nei rapimenti.

I soldi sarebbero serviti alla stampa di alcune pubblicazioni: Anarchismo, Provocazione, Canenero, ma l'accorto Marini specifica immediatamente che non si tratta di un attacco all'idea. Per carità, chi fa “politica” onestamente può stare tranquillo a casa propria. Ci si trova di fronte, spiega, a pericolosi criminali con una incomprensibile attitudine alla sovversione dell'ordinamento democratico. Come ogni “banda” che si rispetti, ha anche un “capo”: è il noto anarchico Alfredo Bonanno, la cui immagine campeggia in cima alla piramide gerarchica del gruppo “dirigente”.

La stampa elenca pedestremente la lista dei reati fornita dagli inquirenti, condendo il tutto con titoli ripescati dal bagaglio degli anni `70. I giornali della sinistra inchiodano la vicenda nell'ambito della cronaca nera.

Qualche giorno dopo cominciano gli interrogatori, seguendo un rito inusuale: non è il gip a condurli bensì gli stessi pm. Ma raccoglieranno ben poco, perché tutti gli arrestati si rifiutano di rispondere.

Salvatore Gugliara inizia immediatamente uno sciopero della fame per denunciare l'operazione repressiva.

L'inchiesta viene chiusa, il prossimo passo sarà l'udienza preliminare per stabilire il rinvio a giudizio dei 68 indagati.

Le contestazioni specifiche mosse riguardano episodi per i quali già si trovano in carcere alcuni anarchici; qualche processo non è ancora definitivo, come quello per due rapine in Trentino, come quello per il rapimento Silocchi. Un processo questo segnato dalla una strana matrice teoretica, quella del connubio tra “criminalità comune” e anarchici sovversivi. Nessun episodio aggiuntivo ha portato a questi mandati di cattura, se non quello della collaborazione di una ragazza che si autoaccusa per inchiodare altri e che fornisce a magistrati tanto ambiziosi quanto disperati il collante per imbastire un'unica gigantesca fola: c'è una banda con capo, soldati e fiancheggiatori.

Quale anarchico potrebbe mai sostenere la possibilità di una struttura paramilitare gerarchica e clandestina? Per individui che identificano nell'esistenza di ogni forma di potere un ostacolo verso la propria e l'altrui realizzazione, questa possibilità è impraticabile. Per anarchici che hanno sviluppato nel metodo - e non nel risultato da raggiungere a qualsiasi costo - le proprie condizioni di vita e di lotta, la “banda armata” non rappresenta solo una mostruosità, ma il nemico vero e proprio, non a caso incarnato concretamente in tesi, strutture e persone, dallo Stato.

Ma è proprio perché lo Stato non può ammettere l'esistenza di individui legati tra loro da rapporti di affinità, non contemplati dalla società dominante, che esso esplicitamente riconduce queste istanze di insorgenza individuale, quotidiana, dichiarata e praticata, alle sole forme che sa riconoscere e quindi combattere: un capo, un esercito, un nemico.

In questo contesto vanno inserite le mistificazioni che Marini e Ionta operano di concetti quali azione diretta, insurrezione, rivoluzione, affinità, organizzazione informale. Alla fine del suo brillante teorema l'anarchismo diventa un'ideologia, addirittura un credo.

Ma i due pm - dietro il cui disegno repressivo si erge la figura del più noto persecutore di anarchici, il procuratore capo di Firenze Pierluigi Vigna, da un ventennio in cerca del modo di incarcerarci definitivamente - non hanno la necessità di spiegare a fondo le basi delle proprie azioni. Possono chiudere l'operazione in un sol giorno.

Dal giorno seguente gli arresti, il silenzio di qualsiasi fonte di informazione è quasi totale, ad eccezione delle radio “di movimento” di alcune città, che continuano a seguire con attenzione la vicenda. Chi continua a sentirsi vicino agli inquisiti e chi ha ravvisato la pericolosità di simili azioni, che potrebbero colpire chiunque si dichiari e si muova in senso avverso allo Stato, interviene con mezzi propri rompendo la coltre di sbigottimento e di timore che è stata stesa. La tesi del “secondo livello”, elaborata negli anni `70, consente di accusare chiunque di occultare qualcosa di illecito, attraverso i rapporti di amicizia e di solidarietà, la pubblicazione e la diffusione di riviste e giornali, la frequentazione dei posti occupati, le lotte contro la repressione quotidiana. Tutte attività che forse molti non riconoscono nella propria quotidianità, o che ritengono futili, o di cui talvolta è bene non parlare.

Marini e Ionta hanno saputo interpretare le migliaia di parole sovversive versate da tanti nel corso degli anni, appunto come semplici parole, opinioni di cui discutere, nulla di più. Il resto come faranno ad afferrarlo?


Cronaca della rivolta

19 settembre - Vinovo (Torino). Bomba molotov ritrovata sul davanzale della sede della Lega.

21 settembre - Roma. Lo ingiuriano, gli strappano la camicia e poi lo mandano all'ospedale. Due automobilisti a un viglie urbano.

21 settembre - Città del Messico. Il capo della squadra anti-droga e tre suoi collaboratori sono stati legati malmenati ed uccisi.

23 settembre - Anzio (Roma). Un dodicenne ruba i soldi al padre e prende il treno per raggiungere l'agognata Gardaland.

23 settembre - Partinico (Palermo). Pargoli della locale scuola elementare assaltano i musicanti della banda municipale, a colpi di uova marce ed immondizia.

24 settembre - Diyarbakir (Turchia). Continuano le rivolte nelle galere: scontri tra detenuti e soldati all'interno del carcere di massima sicurezza. Quattordici i carcerati rimasti uccisi.

24 settembre - Verona. Mani ignote danno fuoco allo stand dell'associazione Orientamento Lavoro Veneto. Svariati i danni.

24 settembre - Rio de Janeiro. Settant'anni, bassa e grassa, entra in una banca; suona il metal detector, lei dalla borsetta tira fuori tranquilla un ombrellino e i vigilantes la lasciano passare. Poi, dalla stessa borsetta estrae una pistola, la passa al complice e cominciano la rapina.

25 settembre - Erevan (Armenia). Una manifestazione di protesta sfocia in un assalto al parlamento. Un morto negli scontri con le forze dell'ordine.

25 settembre - Dekalb (Georgia). Alla “Alternative School”, una scuola per reinserire i ragazzi difficili, poco dopo l'inizio della lezione un sedicenne ha vuotato il caricatore contro l'insegnante.

26 settembre - Corfù. Pirati albanesi assaltano lo yacht di un imprenditore inglese.

29 settembre - Diyarbakir (Turchia). Riprende lo sciopero della fame di 5.000 detenuti. Le donne si sono barricate nelle celle.

30 settembre - Campi Bisenzio (Firenze). Dopo essere stato costretto all'ennesimo Trattamento Sanitario Obbligatorio, brucia la macchina al medico che lo aveva ordinato.


Di più, molto di più

Gli amministratori della passività impongono da sempre la falsa alternativa: o immobilismo o banda armata. Chiunque esce dal ruolo della normalità deve a forza rientrare in quello dell'emergenza. Il gioco ha le sue regole: o si accetta il potere o lo si imita. Tutto questo, oltre ai potenti in carica, torna utile a coloro che, pur dichiarandosi rivoluzionari, vorrebbero edificare un nuovo Stato. “Non si ha potere politico se non si ha potere militare” era la parola d'ordine in anni non molto lontani. E potere militare non è solo un'organizzazione gerarchica e autoritaria che trasforma gli individui in soldati, ma è anche la recita di una contrapposizione tra Stato e partito armato che vorrebbe tutti spettatori, innocui tifosi pronti a fare numero attorno all'uno o all'altro dei contendenti, il più forte dei quali - lo Stato - alla fine si assicurerà la vittoria.

Il terreno comune di questo scontro rappresentato è quello del sacrificio e dello slogan, dello specialismo e dell'ideologia. é la perdita di ogni gioia e di ogni autonomia, la negazione di ogni progetto appassionante di sovversione. é la separazione avvenuta tra la vita quotidiana e la trasformazione dell'esistente, la frammentazione della totalità e la sua sostituzione con un presunto centro da conquistare e - immagine rovesciata - da contrapporre. Non si ha potere politico se non si ha potere militare. Appunto. E gli anarchici? Se si vuole distruggere il potere politico, che farsene di quello militare? Nulla. O meglio, farne la misura in negativo della coerenza della propria teoria e della propria pratica.

Ora, questi ragionamenti sembrano legati ad una realtà - quella degli anni settanta - ormai scomparsa. Esercizi di memoria storica, come la chiamano. E invece eccoli ripresentarsi di fronte alla buffonesca quanto infame operazione della Procura di Roma. Se lo scopo di questa costruzione giudiziaria fosse soltanto quello di reprimere gli anarchici arrestati e, più in generale, quelli indagati, il ragionamento servirebbe all'unico scopo di smontare le accuse palesemente assurde mosse dai giudici. Ma non è solo quello. I giudici sanno bene che non esiste l'organizzazione anarchica di cui parlano. Sanno che il modello della “banda armata” - ottenuto guardandosi allo specchio - non lo possono applicare ai rapporti reali tra gli anarchici. Individui che si incontrano sulla base delle proprie affinità, cioè a partire dalle proprie differenze, e sviluppano iniziative senza formalizzare le proprie unioni, individui che si organizzano, certo, ma mai in modo rigido e verticale, costoro non possono essere una “banda armata”. E questo non solo perché rifiutano la clandestinità (rifiuto comunque significativo), ma perché non accettano di intrupparsi - con tanto di sigla e di programma - in una struttura che fa dello scontro armato una realtà separata rispetto alla totalità sovversiva. Tutto ciò non cambia se qualche anarchico, individualmente e assumendosi tutte le proprie responsabilità, decide di usare le armi. Anzi, andando con la fantasia, se anche tutti gli indagati o addirittura tutti gli anarchici del mondo avessero - oltre che scritto, discusso, fatto l'amore, affisso manifesti, insultato i capi, disertato il lavoro, occupato gli spazi e saccheggiato le merci - usato le armi, nemmeno questo farebbe di loro una “banda armata”. é il potere che ha bisogno di inventarla. Ma, come dicevo, non sta solo qui la questione. Limitarsi a questo significa comprendere parzialmente il progetto repressivo dello Stato.

Quello che i giudici vogliono far passare è, ancora una volta, l'illusione che al di fuori della sopravvivenza e dell'attesa rimane solo l'organizzazione armata. In questo modo, essendosi già miseramente consumato lo spettacolo dei partiti combattenti, si mette fuori gioco qualsiasi discorso insurrezionale. Se chi vuole l'insurrezione in fondo è un leninista mascherato (e la teoria poliziesca del “doppio livello” è, al riguardo, una vera perla), il cambiamento può soltanto - pena il suo configurarsi come “terroristico” - essere graduale, insomma democratico. Ecco fatto. Dallo scopo immediato di ostacolare per quanto più tempo possibile qualche decina di anarchici, si passa a quello, ben più grave, di spegnere ogni tensione sovversiva, ogni attacco allo Stato e al capitale. Questo riguarda tutti, e nessun anarchico può dirsi al sicuro. Per fortuna l'insurrezione non è quello che gli organi repressivi vorrebbero.

In un mondo in cui le forze del dominio e dell'alienazione sono tra loro sempre più solidali; in cui la produzione di merci, il controllo totalitario dello spazio, la fabbricazione pubblicitaria di falsi bisogni e la negazione sistematica dei desideri sono elementi inseparabili di un identico processo - in un tale mondo del terrore l'insurrezione ha sempre più la concretezza della totalità e la gioia dell'impazienza. Dal momento che non esiste alcun centro in questa società del lavoro e delle classi, della gerarchia e del dovere, non esiste neppure alcun centro che possa darle l'assalto. Ed è per questo che in una banda vogliono rinchiuderci i padroni della separazione, per sostituire il cambiamento reale con la sua immagine menzognera.

Un progetto rivoluzionario è un movimento collettivo di realizzazione individuale, o non è niente. O comporta, come diceva Fourier, un innalzamento immediato del piacere di vivere, o è falso. Chi si pone come specialista delle armi è un nemico. La festa rivoluzionaria non è una “lotta armata”, perché è molto di più. Più ampia, cosciente e appassionante è la trasformazione sovversiva e meno necessario è lo scontro militare. é la passività che crea l'organizzazione armata, e viceversa. Il teorema dello Stato va dunque rovesciato. Dal controllo politico e sindacale, dal riformistico abbellimento della miseria quotidiana nasce il falso bisogno delle bande armate. Dalla teoria pratica dell'insurrezione nasce invece l'azione creatrice, la poesia della vita che liquida l'obbedienza ai capi, che unisce nella differenza e rende tutti armati contro il potere, il sacrificio e la noia. E i desideri armati rovesceranno il mondo.

Come vedete, signori giudici, il gioco è molto più pericoloso.

Massimo Passamani


Custodia cautelare

Questo è l'elenco dei 29 anarchici contro i quali è stata firmata l'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal Gip Claudio D'Angelo, su richiesta dei due Pm Antonio Marini e Franco Ionta:

Antonio Budini (già detenuto)
Karechin Krikorian (già detenuto)
Salvatore Gugliara (arrestato)
Guido Mantelli (libero)
Massimo Passamani (libero)
Stefano Moreale (arrestato)
Roberta Nano (libera)
Pina Riccobono (arrestata)
Carlo Tesseri (già detenuto)
Emma Sassosi (arrestata)
Antonio Gizzo (arrestato)
Pippo Stasi (arrestato)
Jean Weir (già detenuta)
Horst Fantazzini (già detenuto)
Alfredo Bonanno (arrestato)
Eva Tziutzia
Christos Stratigopulos (già detenuto)
Orlando Campo (già detenuto)
Rose Ann Scrocco (libera)
Francesco Porcu (già detenuto)
Giovanni Barcia (libero)
Tiziano Andreozzi (arrestato)
Apollonia Cortimiglia (arrestata)
Salvatore Condrò
Cristina Lo Forte (arrestata)
Paolo Ruberto (arrestato)
Angela Lo Vecchio
Francesco Berlemmi (arrestato)
Marco Camenisch (già detenuto)

Quasi tutti sono stati trasferiti nel carcere di Rebibbia per essere interrogati.

La sezione maschile si trova nel nuovo complesso di via Raffaele Majetti 165, 00156 Roma; quella femminile in via Bartolo Longo 72, 00156 Roma.


Lampi

Numerose le città nelle quali ci sono state iniziative di solidarietà nei confronti degli anarchici arrestati e contro l'azione repressiva: Foggia, Aosta, Pavia, Monaco, Trieste, Catania, Verona, Firenze, Andria , Milano, Roma, Napoli, Palermo, Modena, Bologna, Torino, Rovereto, Cagliari, Follonica, Pisa, Massa Marittima, Carrara, Mestre, Moncalieri. Tra le iniziative ricordiamo i numeri speciali di Canenero “settimanale anarchico del secondo livello” redatto a Moncalieri e de l'Evasione, foglio anarchico che è possibile richiedere alla casella postale 45, 38068 Rovereto.


E se non bastasse l'inferno?

Sia detta una volta per tutte, con chiarezza, il terrorismo è solo quello dello Stato, dei fascisti e dei padroni”.

Così teneva a sottolineare Alfredo Bonanno, improbabile capo della Banda Armata Anarchica, in uno scritto del `79. Gli anarchici non hanno capi, né mandanti, né rappresentanti. Sennò non sarebbero anarchici, ma cittadini.

Il terrorismo è una specifica forma di violenza mirata a perpetuare il Comando, non a distruggerlo, come sarebbe desiderio degli anarchici.

Distruggere Comando, Potere, Autorità, questo sì vogliono fare gli anarchici e di questa “colpa” continueranno a macchiarsi. Non occorrono prove, ve lo diranno loro stessi. Questa colpa è pubblica, ma non è sufficiente per essere sbattuti in galera; altrimenti non si spiegherebbero le molteplici iniziative pubbliche tollerate con cui si esprime l'azione antiautoritaria degli anarchici stessi. Il giudice Marini, boia di Stato, questo lo sa bene. Sa bene che ogni anarchico attacca le strutture del dominio da solo, coi mezzi di cui dispone, magari associandosi nell'azione, ma sempre mantenendo la propria unicità di singolo. é per questo che ha tirato fuori la favola dell'Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica Insurrezionalista. é per questo che gli ordini di custodia cautelare da lui vomitati sono 29 e non uno o due. L'unico modo di sbattere in galera un numero altissimo di nemici dello Stato e della servitù è quello di inventarli membri di una banda, di un'organizzazione tentacolare, concepita e strutturata come una cosca mafiosa. Automaticamente (secondo la logica di birri e magistrati) le abitazioni dei compagni diventano “covi”, le pubblicazioni “pericolosi piani teorici e pratici di eversione dell'ordine democratico”, le lettere ai detenuti “chiare dimostrazioni di complicità”, gli indirizzi, i numeri di telefono, le amicizie “prove di colpevolezza”.

Ciò di cui dispone il succitato sorcio di Tribunale, sotto la meschina regia dell'altro acchiappafantasmi Vigna, frutto di continue e infauste perquisizioni, intercettazioni, pedinamenti, false dichiarazioni di pentiti-fantoccio, non è altro che una rete di rapporti fra anarchici. E vorrei vedere che non esistessero rapporti fra gli anarchici.

Niente di tutto ciò che il boia scartabella prova l'esistenza di un'organizzazione. Anche, ed è prezioso sottolinearlo, perchè non c'è. I reati più truci (strage, omicidio, sequestro) che vengono contestati ad alcuni indagati, secondo la linea dell'accusa, sono tutti collegati. Rapine e sequestri per finanziare tipografie; tipografie usate dall'organizzazione per diffondere fondamentali teorie rivoluzionarie e illustrarne la messa in pratica col confezionamento di ordigni esplosivi. Un cerchio perfetto che porterebbe gli imputati a subire condanne macroscopiche. Condanne riservate a “terroristi”. E, come già è stato detto, terrorista è lo Stato. Lo Stato che arma i ventenni, che fabbrica e vende armi alle guerre, che mette bombe nei momenti critici per impaurire i suoi servitori e circondarli ancor più di militi e birri.

L'insurrezione di ogni anarchico, quella rabbiosa, individuale, armata di consapevolezza e determinazione, va contro questa reale forma di sopraffazione; non è interpretabile da nessun codice. é per questo assai più pericolosa.

Commedie, menzogne, infamie e violenze sono il pane che lo Stato offre ogni giorno. I poveri d'audacia si recano alla mensa, i liberi cacciano da soli e s'abbuffano di rivolta.

Vogliamo tutti fuori subito. Faremo in modo che Marini, Ionta, Vigna e tutti i vermi come loro vadano a cercare gli orizzonti di gloria fra le fiamme dell'inferno.

Il notturno


Le parole di un potere forte

Aprendo oggi qualsiasi giornale non è possibile evitare di sentirsi sommersi dalla marea montante di considerazioni, prese di posizione, critiche, elogi, accesi e interessati dibattiti intorno all'operato della Giustizia e al ruolo specifico che dovrebbero ricoprire i magistrati.

Si leggono interessanti teorie che cercano di risolvere il problema della accresciuta potenza giudiziaria. Talora considerata inevitabile per affrontare adeguatamente i guasti della società civile - d'altronde è manifesta a tutti la delega concessa da più parti alla magistratura negli ultimi anni, giustificata dalla ineludibile lotta alle emergenze sociali. Talaltra ritenuta eccessiva e foriera di guai ancora più preoccupanti che fanno intravvedere una deviazione pericolosa da quello Stato di diritto auspicato dai democratici.

Interessanti teorie, sì, ma per chi? Si dice che l'Italia sia l'unico paese democratico in cui le funzioni giudicanti e quelle requirenti vengono esercitate dallo stesso corpo di magistrati indipendenti, e questo finisce col danneggiare l'immagine di imparzialità del giudice nel processo penale. Qualcuno si sforza allora di spiegarci che basterebbe organizzare un riequilibrio fra accusa e difesa, ad esempio attraverso la “separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici”, qualcun altro replica che sono le “funzioni” a dover essere separate, se non si vuole correre il rischio che sul pubblico ministero venga esercitato un ingombrante controllo politico, ma forse - si illustra - è il “sistema processuale” che va riformato. Comunque tutti concordano che bisogna intervenire attraverso meccanismi di aggiustamento interno che salvaguardino la stabilità e la “funzionalità del sistema giudiziario”.

Parole. Parole dietro cui tenere celata l'intangibilità dell'unico potere forte del paese, l'unico - dicono - ad avere il diritto di rimanere al di fuori da ogni controllo.

Pressato da più parti, il ministro di grazia e giustizia Flick finge di fare la voce grossa e si limita a individuare come unico elemento di disturbo quei magistrati che violano i doveri di riservatezza, ammonendo il Consiglio Superiore della Magistratura che agirà contro questo malcostume ormai inveterato, fatto di esibizioni davanti alle telecamere e ai microfoni da soubrettes lanciate sulla ribalta giudiziaria. Ma non si tratta soltanto di smania di protagonismo da parte di alcuni magistrati, no, lo spettacolo approntato da questi moderni giustizieri serve a ben altro. Col pretesto di una maggiore efficacia per debellare il flagello della criminalità organizzata, si utilizzano strumenti giudicati più adatti della ormai antiquata costruzione della “prova”, che non consente di andare oltre il giudizio del reato specifico, che non permette di affrontare e risolvere i fenomeni che possono favorire la diffusione del rigetto delle istituzioni. Così preparano il terreno migliore alla recezione dei “teoremi” che via via vanno elaborando, anche attraverso l'esibizione dell'azione spettacolare studiata in modo da garantire il miglior effetto e il maggiore consenso pubblico, succeduta da interviste e conferenze stampa abilmente predisposte. Nella fase inquirente i nostri accusatori possono poi sbizzarrirsi, giacché non devono necessariamente arrivare al dibattimento con tutte le prove già confezionate. D'altronde, come negarlo? possiamo dire che non stanno a guardare in faccia a nessuno, nemmeno i propri colleghi, dato che chiunque può essere chiamato a rendere conto delle proprie male azioni e persino incarcerato cautelarmente.

Salvo beninteso casi eccezionali. Dopo che la procura militare di Padova ha avviato indagini relative a falsi traslochi e ai relativi rimborsi avvenuti nelle forze armate, immediato lo sdegno dei generali alle accuse di corruzione si è levato, e immediata la lavata di capo con relativa denuncia del pubblico ministero è partita.

Ma qui entriamo in ben altri territori. é chiaro che la sanità dell'istituzione militare nelle sue strutture e nelle sue fondamenta non può essere messa in discussione.

E su questo punto saranno sicuramente tutti d'accordo, anche l'attuale presidente della Camera Luciano Violante che ha spinto e poi sostenuto il “partito dei giudici” e quello “dei collaboratori” fin dagli anni Ô70, da quando cioè si dava un gran daffare per debellare la lotta armata diffondendo questionari pubblici per denunciare vicini di casa sospetti di connivenza con sovversivi o simili. Erano i tempi in cui lavorava gomito a gomito con Giancarlo Caselli, oggi stretto collaboratore di Pierluigi Vigna nella lotta alla criminalità. Con loro pare intendersi alla perfezione anche sul problema dei collaboratori di giustizia. Ma questo che cosa significa? Cosa può interessare a persone come noi, gli anarchici intendo, che di codici non si occupano e di leggi non ne vogliono sapere? Il fatto è che i magistrati - inamovibili per Costituzione - possiedono privilegi ad altri negati, possono disporre direttamente della polizia giudiziaria cui agevolmente rivolgersi per privare della libertà qualsiasi individuo in ogni momento. Parlano un linguaggio cupo che agita minacciosamente indici e manette. Loro sì, che sanno parlare bene. In maniera efficace e sbrigativa, attraverso ordinanze, avvisi di garanzia, sentenze.

Maria Zibardi


Liberi

Niente più celibi, nubili e divorziati; e nemmeno vedove e vedovi. Prossimamente, chi non ha contratto il vincolo del matrimonio, chi l'ha sciolto o chi si è visto morire il coniuge, sulla carta d'identità sarà “libero”.

Magia delle parole.

Ma che vorrà significare questo cambiamento? Forse oramai il matrimonio è comunemente visto come un vincolo troppo gravoso, tanto che chi ne è fuori può essere definito gioiosamente libero. Forse perché, al contrario, sposarsi è una cosa talmente bella che i celibi sono liberi sì, ma liberi di sposarsi, i divorziati liberi di rimaritarsi, e i vedovi liberi di compiangere le buonanime.

O chissà cos'altro ancora, oppure nulla di tutto questo. Perché libero, finché sta su quella carta, non può voler dire proprio niente.

S.V.


Gli anarchici federati accusano

I recenti fatti repressivi amplificati dalla stampa, sulla base dei comunicati della magistratura e dei R.O.S., rappresentano un'articolazione furbesca delle nuove tecniche di controllo sociale, basate sull'invenzione di appartenenze, congressi, espulsioni che non si sono mai verificati, attribuendo alle varie componenti del movimento anarchico ruoli di comodo. In particolare la F.A.I. non ha tenuto un Congresso a Forli' nel 1988, nel proprio patto associativo non prevede l'espulsione, a maggior ragione nei confronti di chi non ha mai aderito ad essa.

I protagonisti di questi episodi, i P.M. Marini e Ionta e i reparti speciali dei carabinieri, incriminano gli imputati per reati particolarmente infamanti: sequestri di persona e stragi.

Vale la pena ricordare che Marini e' stato il primo P.M. nell'inchiesta sulla strage di Ustica, attivissimo nell'evitare ogni coinvolgimento dei vertici dell'Areonautica Militare, e ha dato il suo contributo al tentativo di insabbiamento dell'inchiesta sui "desaparecidos" di origine italiana, rendendo un ottimo servigio ai macellai argentini.

Per quanto riguarda i carabinieri, le stragi succedutesi in Italia da Piazza Fontana ad oggi hanno registrato pesanti coinvolgimenti dei vertici dell'Arma (come per Peteano e Bologna). La "filosofia" dell'inchiesta affonda le sue radici nella contestazione agli imputati del reato di associazione sovversiva. Questo reato, introdotto nel Codice Penale al tempo del fascismo, non colpisce specifici fatti criminosi, ma e' una minaccia nei confronti di quelle associazioni che aspirano all'eliminazione dell'oppressione e dell'ingiustizia attraverso un cambiamento radicale della societa', minaccia messa in pratica a seconda degli interessi politici del momento. L'associazione sovversiva viene usata anche a supporto delle azioni repressive contro l'autorganizzazione dei lavoratori, come dimostra la recente sentenza contro i diritti sindacali dell'Unione Sindacale Italiana, sulla base delle aspirazioni trasformatrici contenute nel suo Statuto.

False e strumentali appaiono quindi le affermazioni dei responsabili dell'istruttoria sul buonismo della F.A.I.: il reato di associazione sovversiva potrebbe tranquillamente essere esteso ad un'organizzazione come la nostra, che aspira all'abbattimento dello Stato e al comunismo anarchico, come ad ogni altro settore dell'opposizione sociale. L'ordinamento giuridico quindi garantisce la liberta' di associazione solo a chi accetta la societa' del dominio e dello sfruttamento. Gli anarchici federati praticano la coerenza tra mezzi e fini, quindi riconoscono come proprie soltanto quelle regole liberamente assunte e rifiutano ogni forma di eteronomia, ossia ogni pretesa di ingerenza autoritaria da parte di qualsiasi organismo statale (leggi, magistratura, polizia, ecc.).

Con la stessa determinazione con cui lottano contro lo Stato, gli anarchici federati rifiutano ogni accostamento a pratiche che perpetuano e specularmente riproducono l'autoritarismo: la violenza indiscriminata, la costrizione nei casi di sequestri di persona che richiama tristemente alla mente i sequestri operati dallo Stato nelle carceri.

Rifiutiamo il mito dell'illegalismo, e cioe' che le azioni illegali siano di per se' rivoluzionarie, poiche' esso rimane subordinato alle scelte dell'ordinamento giuridico su cio' che e' o non e' legale, senza porsi il problema del superamento rivoluzionario dell'ordinamento stesso, quindi tale mito si rivela intrinsecamente riformista.

Gli anarchici federati riaffermano il loro impegno nelle lotte sociali, nel movimento per l'autogestione e in quello per l'autorganizzazione dei lavoratori, identificando nelle pratiche dell'azione diretta e non delegata, dell'organizzazione federalista, della solidarieta' con le lotte degli sfruttati di tutto il mondo gli strumenti per un'effettiva liberazione dell'umanita'.

Convegno della Federazione Anarchica Italiana
Carrara 21 e 22 settembre 1996


L'anarchico buono

l consumo dei ruoli non conosce barriere. In democrazia ognuno può recitare la parte che vuole, compresa quella di criticare la regola delle parti. Purché la partita continui.

L'essere anarchici dovrebbe rappresentare la dimostrazione vivente che ogni potere ha un difetto, la consapevolezza vissuta che il gioco illusionista della soggezione contiene le possibilità concrete della propria rottura. Il giudice o il politico, il carceriere o il burocrate, il filosofo o il giornalista, il mercante d'arte o l'urbanista dovrebbero nominare l'anarchico sottovoce, stizziti e paurosi, con la testa concentrata sulle proprie certezze e la mano fissa al portafogli. Unica salvezza, la polizia.

A meno che. A meno che il politico non veda nell'anarchico la prova della propria democraticità, il giudice il valore delle garanzie legali, il carceriere la propria differenza rispetto al collega che tortura in Cile, il burocrate la conferma dell'ineluttabilità dell'ingranaggio, il filosofo un metodo non dogmatico per continuare a difendere il mondo, il giornalista materiale su cui scrivere, il mercante d'arte l'ideologia della creatività e l'urbanista un suggerimento per rendere più colorate le città e più provocatori i cartelli pubblicitari.

Insomma, a meno che egli non sia un contributo all'abbellimento della baracca. A queste condizioni anche l'anarchico può dire la propria, essere interpellato a proposito di un film di successo, riunirsi e parlare di autogestione. La sua identità è accertata.

Se invece è proprio con queste condizioni che egli vuole rompere, per iniziare la festa che brucia gli ordini e realizza la vita, allora è un “anarchico”. Gran bella cosa l'anarchia. Peccato per gli “anarchici”. Parola di giudice.

Massimo Passamani


Gli esami non finiscono mai

Le varie proposte presentate negli ultimi dieci mesi sulla scuola pubblica convergono in modo preoccupante - certo non sorprendente - sul tema dell'occupazione dei giovani. Nel giugno scorso, è stata presentata quella di aumentare di un anno la durata della scuola dell'obbligo; adesso, propongono di abbassare l'età d'entrata di un altro anno. In pratica, si entrerebbe a scuola a cinque anni per uscirne a quindici: dieci anni di scuola forzata.

La proposta è stata accolta positivamente da più parti e in molti non si sono neanche curati di nascondere gli scopi reali dell'operazione: intanto, si potranno parcheggiare anticipatamente i propri figli, levandoseli dalle scatole, così entrerebbero nel fantastico mondo degli adulti un anno più tardi, ritardando la congestione del mercato del lavoro. In secondo luogo si ridurrebbero ulteriormente i rischi di lasciare in giro, senza controllo, bambini e adolescenti che potrebbero magari farsi venire in mente qualche nuovo gioco o qualche modo non proprio ortodosso di fare esperienza. In sostanza, per tutti, per un motivo o per l'altro, la scuola si riconferma uno dei mezzi ideali per controllare, educare e reprimere. Le simpatiche e avvenieristiche proposte - guarda caso provenienti dai nuovi leader della sinistra europea - parlano di “un computer ad ogni bambino”, di specializzazione, e soprattutto di maggiore responsabilizzazione dei più giovani. Hanno fatto scuola in questo senso gli agghiaccianti teatrini allestiti in collaborazione con scuole ed enti pubblici, in cui i giovani virgulti sperimentavano in anticipo le gioie della vita democratica, indicendo mini elezioni e piccoli parlamentini. In alcuni Comuni si celebra la “Giornata del Bambino”, in cui un piccolo mostro si esibisce in veste di sindaco. Non ci stupisce che i presidi di diversi istituti superiori abbiano, in apertura dell'anno scolastico, ribadito il proprio e l'altrui ruolo, proibendo minigonne, jeans sdruciti sul culo, magliette attillate, fumate nei bagni e altre diavolerie del genere.

Per meglio abituare i giovani alla gestione comune della res publica, un altro preside ha imposto loro la pulizia dei bagni. La democrazia parte da qui, dall'obbedienza. Dopodiché, il diritto all'opinione è garantito per tutti.

Maria Carmela


La tradizione dei lupi

Chi dice che tradizione e razionalità non vanno d'accordo? La “necessità dell'esercito di razionalizzare la propria struttura” dovrebbe portare allo scioglimento del comando militare della regione Tosco Emiliana. Non preoccupatevi però di veder sparire i soldati, anzi, le milletrecento persone - fra cui settecentosettantacinque civili - impiegate nelle strutture militari della sola Firenze verranno ricollocate nelle altre istituzioni militari che rimarranno: Consiglio di Leva, Stabilimento Chimico Farmaceutico, eccetera. Inoltre sono richiesti altri centosettanta addetti, per la gioia di tutti i disoccupati. Non solo. Per una che ufficialmente se ne va, due sono le neonate strutture militari a Firenze: l'Eurofor, installata nella caserma “Predieri” (fatta oggetto del fallito attentato che insieme a quello che danneggiò il ministero dell'Aeronautica a Roma fu rivendicato da anarchici che intendevano porgere “un regalo a Marini e uno a Vigna”) e il Comando della VI divisione che sostituirà la FIR (Forza d'Intervento Rapido).

Così, per le medesime esigenze, i “Lupi di Toscana”, “glorioso corpo della nostra regione”, erano stati sciolti il 20 settembre dello scorso anno. Ma come poteva una lunga e orgogliosa tradizione di assassini in divisa essere in contrasto con la razionalizzazione dell'esercito? Così il nobile reggimento di servi rinascerà promosso a Divisione insediandosi nella caserma di Scandicci, mentre il Comando sarà nella via Cavour 49 a Firenze. Poche sono le considerazioni non scontate. In particolare è simpatico il modo in cui qualche giornalista apprende commosso della rinascita delle carogne di Toscana: pare un novello De Amicis che racconta di una vecchietta che rischia lo sfratto dalla sua casa natia. Più interessante sarebbe riflettere sull'esigenza, per un esercito moderno, di avere una forza di intervento rapida specializzata efficiente e flessibile da utilizzare nei “piccoli” e diffusi interventi di polizia internazionale.

A questo riguardo il PDS, diminuendo la leva a dieci mesi e rendendosi disponibile ad un progetto di esercito esclusivamente professionale, dimostra di recepire bene le attuali esigenze economiche e di dominio del capitale internazionale. Certo con un esercito di soli professionisti il PDS dovrebbe rinunciare a quell'esercito di “volontari” per legge che sono gli obiettori di coscienza e che ha dimostrato di saper gestire così bene in tanti anni di opposizione parlamentare, censurando e recuperando qualsiasi pratica di reale opposizione al militarismo.

Ma con qualche buona legge si potrà superare questo inconveniente. In fondo anche il PDS ha una razionalità antica e autorevole e una tradizione che affonda le sue radici. Nella merda.

Federico


Lo spettacolo dell'ira

Un'operazione di polizia volta a sgominare bande di pericolosi “terroristi”, come possono essere ad esempio i militanti dell'IRA, è cosa indubbiamente rischiosa; ogni agente sa che durante una perquisizione può trovarsi di fronte un uomo non certo arrendevole ma disposto, armi in pugno, a far valere il proprio diritto alla privacy.

Per evitare simili inconvenienti è bene mantenere il sangue freddo e, per maggiore cautela, aprire il fuoco appena il malcapitato si affaccia sull'uscio. La stampa e la televisione faranno il resto: per esempio parlando di una feroce sparatoria ed inserendo l'omicidio nel contesto di una serie di irruzioni in alcuni “covi” dell'IRA, che portano al ritrovamento di parecchie tonnellate di esplosivo, armi e detonatori ed all'arresto di 5 persone.

Ma se si scopre che l'irlandese assassinato in questione era disarmato e non aveva neanche una fionda artigianale in casa?

E se qualcuno si domanda come sia mai possibile che in un conflitto a fuoco a distanza ravvicinata nessun agente rimanga ucciso o quantomeno gravemente ferito? Certo, si possono sempre tirar fuori le “circostanze poco chiare”.

Ancora meglio se si colpisce l'immaginazione del pubblico: l'esplosivo serviva per fare una strage o per gettare nel caos la nazione magari bloccando con l'attentato l'erogazione d'energia elettrica all'Eurotunnel; ovviamente il malcapitato faceva i sopralluoghi.

I metodi e gli scopi dell'IRA sono discutibili, tuttavia, accusarli di voler colpire nel mucchio è palesemente falso. Ma è in casi come questo che l'azione di concerto tra polizia e organi d'informazione dimostra l'apice della sua laida efficienza.

Davide


Diserzione e inciviltà

Lunedì 19 agosto a Torino veniva arrestato Marzio Muccitelli, anarchico disertore. Dopo essere stato fermato nei dintorni dello squat di via Alessandria dove da mesi viveva, è stato condotto in caserma dai CC e quindi tradotto nel carcere delle Vallette. Marzio è stato raggiunto da due ordini di cattura: uno per i due mesi di condanna per l'occupazione dell'ex Aurum di Pescara, l'altro della Procura Militare di La Spezia che lo condannava a otto mesi per diserzione.

Il suo arresto, maturato in un clima di tensione per i posti occupati di Torino che durava dall'inizio del mese - appostamenti, pedinamenti, controlli, fermi - ha pesato come una provocazione gratuita della polizia (Marzio non si nascondeva e la polizia era a conoscenza del suo status da mesi). Fin dalla stessa notte dell'arresto, la città si è riempita di scritte in sua solidarietà; oltre ai muri sono stati imbrattati anche monumenti e luoghi particolarmente significativi, tra i quali il nuovo Palazzo di giustizia, svariate caserme e la facciata del Duomo di Torino (dove viene conservato quella specie di preservativo biblico che chiamano Sacra Sindone). Proprio dopo quest'ultima azione di rappresaglia sono stati fermati quattro ragazzi, due dei quali tratti in arresto, grazie a l'allarme dato da un solerte cittadino. I due, Marco di Cuneo e Dennis dello squat di via Alessandria, sono stati processati per direttissima il giorno dopo, accompagnati dal gran clamore dei giornalisti che, sdegnati, hanno stigmatizzato il “gesto di inciviltà dei due teppisti verso la comunità tutta”. Il processo si è subito rivelato come un linciaggio nei confronti dei due: dal reato di “imbrattamento” si è passati a quello di “danneggiamento”. L'arresto stesso, secondo gli avvocati inammissibile (Dennis è incensurato e ha meno di ventuno anni), è stato effettuato affibbiando a Marcus il tipico reato di “resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale”.

Dennis ha patteggiato una condanna di un anno, mentre per Marcus nulla è valso a fargli riguadagnare la libertà, neanche una ventilata offerta simbolica di denaro: si trova tutt'ora in carcere a Torino. In solidarietà con gli arrestati si sono succedute le iniziative, fra cui un concerto davanti alle carceri, una sfilata non autorizzata dal Balòn alle porte del Tribunale Militare (dove è stato deposto un enorme cazzo di circa sette metri) ed infine, il 14 settembre, un corteo in centro con concerto finale.

Lo scatenarsi del moralismo perbenista torinese che ci ha nauseato per giorni sui quotidiani, con interventi di preti, giudici, opinionisti ed assessori, è lo stesso di coloro che ululano di fronte alla TV per le immagini di lontani massacri e che quotidianamente scavalcano cadaveri sul marciapiede per prendere l'automobile. Le pacate critiche di chi, certo, ha compreso le motivazioni “ma sant'iddio, non si poteva fare in altro modo?”, si levano dalle stesse persone che mai spenderebbero una briciola delle proprie capacità per intervenire. Pacate opinioni di chi ha sempre qualcosa di intelligente da dire, dopo.

Mario Spesso


Ad armi pari

Anche le donne si potranno arruolare nelle forze armate.

Per il momento solo come volontarie e in determinati ruoli, ma ormai la strada verso la conquista della pari opportunità tra i sessi anche in questo campo è definitivamente aperta. Il potere, i pregiudizi all'occorrenza li lascia volentieri ai discorsi da bar, al chiacchiericcio delle comari; guarda la realtà, fa i suoi calcoli, agisce come meglio può per la costituzione di un esercito moderno e funzionale.

Cosa ha di particolare questa notizia, se non il mostrare la parabola di chi - limitandosi alla difesa dei diritti specifici di parità di una categoria, senza analizzare e criticare globalmente l'esistente - finisce per essere uno strumento più o meno volontario dei processi di creazione delle nuove forme del dominio? Cosa cambia questa novità? Assolutamente nulla; oggi, esattamente come prima, è impossibile appiattire in rassicuranti categorie chi, nella propria imprevedibile diversità, le vuole disertare infischiandosene di supplicare la concessione di qualche di- ritto per prendersi la vita tutta intera.

Baraban


In tanga e reggiseno

Il perbenismo è una brutta malattia, ma offre alle coscienze intorpidite una sulfurea pace che permette di sopravvivere nel degradante caos di cui è succube la nostra epoca. Se l'aberrante procedere della nostra esistenza quotidiana viene scalfito da un evento inaspettato, esso ci evita di mettere in discussione i presupposti che regolano la nostra vita.

Michele Musumeci, stimato medico di Acireale, viene trovato morto dalla moglie nella sua abitazione ad Aci Sant'Antonio: niente di strano, se avesse avuto la decenza di morire così com'era vissuto. Di fronte ad un uomo impiccato e con le mani legate dietro la schiena coperto da tanga e reggiseno, scarpe con tacchi a spillo ai piedi, si potrebbe anche tacere. Ma la comunità non può permettersi questo lusso, difendendo la rispettabilità del morto si difende da un pericoloso dubbio: e se per caso conducessimo una vita di merda?

Non passa per la testa a questi santi cristiani che quel suicidio o forse quel gioco erotico con cui un uomo sfida come un pargoletto quel mostro estremo che è il senso del ridicolo, può significare un seppur minimo gesto di dignità in una vita caratterizzata dalla rinuncia e scandita dall'assiderato ritmo delle convenzioni. Si ama chiacchierare di una doppia vita, mentre la vita è unica ed indivisibile - quale meravigliosa distanza dal quadrante di un orologio - fatta di miseria e contegno, di segreti e menzogne, di insospettabili aperture. Ma queste sono riflessioni inconsistenti; suvvia, santissimi cristiani, un po' di concretezza, nonostante la paura siam capaci di stare ancora in piedi. Tant'è - un uomo integerrimo - sarà stata la mafia. Per sfregio.

Stonchiti


Bambini

Un mondo a parte si potrebbe dire, luogo enigmatico ed incomprensibile per chi ormai bambino non lo è più. In esso un adulto vede, come in tutte le cose a cui non sa dare una razionale spiegazione, il male e le ombre delle paure profonde e delle sedimentate inquietudini che la scomparsa dell'innocenza fanciullesca gli ha irrimediabilmente lasciato.

Il fantasma - quello della molestia sessuale, dello stupro o della perdita dell'illibatezza - scatenato dal semplice gesto, vivo e spontaneo, di un bacio sulla guancia donato da un bambino di sei anni ad una sua coetanea in una scuola di Los Angeles, è apparso con orrore agli occhi della solerte e vigile educatrice, che ha fatto infliggere al bimbo una punizione esemplare per “comportamento inappropriato ed assolutamente inaccettabile”, sospendendolo dalla scuola per un giorno, escludendolo dalle lezioni di disegno per una settimana e costringendolo a trascorrere da solo l'ora di ricreazione.

La madre del piccolo, indignata e sorpresa per questa punizione, nella sua immensa cecità ha chiesto dal canto suo che la nozione di “molestia sessuale” contemplata dal manuale di comportamento consegnato agli scolari fosse applicata solo ai bambini più “vecchi”, quelli dalla terza elementare in su. Quanta abominevole lungimiranza.

Al piccolo Jonathan la cosa sarà apparsa più grande di lui; e come poteva essere altrimenti, visto da chi è stato partorito questo “caso”.

Qualcuno forse impressionato e preoccupato dalla durezza di tale provvedimento disciplinare potrebbe obiettare che sarebbe stato meglio cercare di spiegare al bimbo la sua “colpa”, persuaderlo con il dialogo a non ripetersi.

In modo da ridurre le distanze, sempre più grandi ed incolmabili, tra questi due mondi - quello della spontaneità infantile e quello della “matura ragione” così incapaci di comprendersi - annullando così ogni conflitto.

Invece da tale preziosa separazione ci si può solamente augurare che il bimbo in questione continui a non comprendere “la gravità” del suo gesto e che alla ferocia ed all'ottusità dei “più grandi” contrapponga i suoi teneri baci, grande pericolo e grave minaccia per la stabilità psichica e per l'ordine delle cose di chi della stupidità ha fatto virtù.

Tempesta


Quisquilie e manganellate

Dopo gli sgomberi delle case occupate di via del Pratello, di via Mascarella e della sala studio di via Zamboni preparati con cura da Questura e amministrazione, sembrava proprio che Bologna-fogna dovesse godere del tanto agognato ripristino del torpore democratico. Non sia mai! Gnocchi, peperonata, vino e un tavolone ed ecco che piazza Maggiore vede gli anarchici ingozzarsi e ruttare alla faccia del sindaco. Tutti i presenti erano invitati e veniva spiegato loro che la cena era un'iniziativa antimilitarista e contro il carcere in solidarietà a Marzio e Marcus, arrestati a Torino. Durante l'abbuffata in piazza, la chiesa dai rosei marmi pregiati e il palazzo del Comune sono abbelliti da furoreggianti scritte con lo spray. Dulcis in fundo, inneggiando alla diserzione, se ne va a fuoco un pupazzone di due metri appositamente confezionato raffigurante un generale. Tutto bene, troppo.

La festa si sposta al Cassero di porta S. Stefano, sede anarchica. Alcool e musica abbondano. Le auto che passano là davanti vengono fermate e i conducenti invitati a bere. Si chiede pure qualche soldo da spedire poi ai due incarcerati. Succede anche che qualche individuo prenda qualcosa da un'auto senza passare dalla formalità della richiesta, incurante delle conseguenze del gesto. Presto detto: le persone “infastidite” chiamano gli eroici tutori dell'ordine e questi ultimi interrompono la festa caricando e trasformandola in guerriglia. Gli antimilitaristi, dopo aver provato a rispondere alle manganellate, sono costretti dentro al Cassero. Qualcuno, dal tetto, risponde tegolate a sbirri e fasci che sotto sono diventati più di un centinaio, qualcuno barrica.

Dopo due ore d'assedio, durante le quali affluisce un cospicuo numero di persone solidali, tutto è finito, o quasi. Due denunce subito e dieci il giorno seguente: le prime “a caso”, le altre “a vista”. La stampa, integerrima voce della Questura, tuona contro i vandali responsabili di aggressioni, rapine, truculenze e monta un caso degno per tre giorni delle prime pagine. Si chiede la testa degli anarchici, frattanto denominati “insurrezionalisti”. Si chiede agli anarchici “storici” del Cassero di prendere le distanze dagli scalmanati, pena il ritiro dei locali. La richiesta viene accolta con celerità. Due comunicati, uno del circolo Berneri e uno della FAI, si dissociano da “certi atti teppistici e provocatori, lontani dall'etica anarchica, che hanno messo a repentaglio l'incolumità della sede”. Nessun accenno alle pesanti cariche, solo brevi riferimenti agli arrestati di Torino, ma soprattutto una preoccupata e preoccupante premura di discolparsi, tesa ad affievolire l'aperta conflittualità sorta a seguito degli eventi.

E i paradossi si accatastano: c'è perfino chi, totalmente estraneo ai fatti, grida al provocatore e invoca una maggiore vigilanza interna.

Alla Fiera dell'autogestione di Pietra-santa due partecipanti all'iniziativa di sabato vengono pesantemente offesi e invitati ad andarsene. A quanto pare il vociare su questa vicenda è ben lungi dal volgere alla fine. Quisquilie e pin-zillacchere.

Night Workers - Bo


Troppa ingombrante giustizia

Fuochi fatui a Bologna. Mercoledì 25 settembre, contro gli sgomberi, un corteo rumoroso ed arrabbiato ha percorso le strade del centro cittadino: cassonetti ribaltati ed incendiati; slogan della vecchia autonomia operaia; scritte sui muri e petardi esplosi per strada hanno caratterizzato la manifestazione.

Quello stesso giorno due occupanti sono stati condannati ad un anno e tre mesi per “istigazione a delinquere ai fini di occupazione” ed altri nove sono stati prosciolti dall'accusa di aver costituito “un'associazione organizzata, che studiava mossa dopo mossa le strategie per sviluppare un piano più ampio ed organico di occupazioni”.

La storia è sempre la stessa ed ormai relegata nello spazio della cronaca: sgomberi a ripetizione nei mesi estivi, manifestazioni, tentativi di dialogo con l'autorità comunale, i processi ed infine la rabbia. Come nel rispetto delle regole delle parti.

Rimangono però due pesanti condanne ed il tentativo di creare reati associativi - quali “associazione a delinquere”, “associazione sovversiva”, “banda armata” - ultima moda degli inquisitori, al fine di provare a sbarazzarsi di qualsiasi individuo scomodo e fastidioso.

La legge comunque ha fatto il suo corso.

Nessuno stupore da parte di chi vi scrive; solo un leggero smarrimento, una certa indolenza nel comprendere l'incapacità di molti individui ad abbandonare i propri ruoli, annullare le regole del gioco e rinunciare volentieri a qualsiasi pretesa di giustizia, in questo caso quella proletaria e rivoluzionaria rivendicata dai manifestanti contrapposta a quello dello “Stato borghese” ostentata attraverso le forze dell'ordine ed i processi.

Rinunciare alla Giustizia, in quanto faccia della stessa medaglia, ed arrivare invece a quella gioia distruttrice, a quella tensione permanente che sovverta l'esistente.

C'era un buon odore quel giorno a Bologna, puzza di bruciato, peccato che a generarlo sia stato un fuoco fatuo.

Bruno Giovannetto


I rimedi della morale

Da qualche tempo sembra sia in voga, per gli organi di informazione, parlare del degrado degli ospedali psichiatrici.

I notiziari propongono puntualmente un'immagine di sofferenza: uomini ammassati nelle corsie degli ospedali in mezzo alla sporcizia, notizie di maltrattamenti e di abbandoni. é ritornato alla cronaca, qualche giorno fa, anche il caso dello psichiatrico di Agrigento, per via delle nuove accuse di omicidio che vanno ad aggiungersi a quelle di “abbandono di incapace” mosse da un sostituto procuratore nei confronti della vecchia gestione dell'ospedale. Tutta questa violenza indigna l'opinione pubblica.

Come si può trattare degli esseri umani, anche se “pazzi”, in tal modo? La risposta c'è, la forniscono di nuovo i mass-media che ci spiegano che è una questione di “malasanità”, di cattiva amministrazione, che ci vorrebbero più controlli e che, se le leggi venissero applicate, gli ospedali psichiatrici funzionerebbero meglio.

Ma il problema non sarà poi nella legge stessa? La violenza più forte non sta forse nel definire un uomo “incapace di intendere e di volere”, come sta scritto sui codici?

Non sarà, forse, che l'errore sta nell'esistenza stessa degli ospedali psichiatrici?

Ciò che spaventa gli uomini cosiddetti normali è il fatto che qualcuno possa stravolgere con i propri comportamenti tutte le certezze, tutte le regole che ci sono state dettate e inculcate durante tutta la vita. Si è sempre cercato di reprimere e distruggere qualsiasi cosa che non sia comprensibile nell'ottica del potere.

Ci dicono che si vuole curare chi soffre, chi sta male; ma colui che vaga per strada senza dimora, parlando con entità a nostro dire immaginarie, non sta certo soffrendo, non ha certo male; quello che ci urta è il fatto di non riuscire a capirlo.

Ciò basta per giustificare il fatto che questa persona venga presa, rinchiusa e sottoposta a trattamenti che ne annullano la volontà; tutto questo, ci dicono, per il suo e il nostro bene.

La questione non sta tanto nel gesto, quanto nel fatto che qualcuno abbia potuto compierlo. Il problema dell'efferatezza di un assassinio, non sta nell'assassinio ma nel fatto che un uomo come tanti abbia potuto compierlo apparentemente senza un motivo plausibile.

A questa cosa dobbiamo dare una spiegazione, e se a seconda dei canoni di giudizio della morale del potere non la si trova, quest'uomo deve essere per forza “non normale”.

Ma qual è la linea che delimita la normalità dalla non normalità?

Perché colui che uccide un bambino è pazzo, mentre il pilota che obbedendo ad un ordine sgancia una bomba su una città è un eroe?

Questa è l'ennesima prova della truffa che sta dietro la psichiatria. é la scienza stessa che dà al dominio il potere di sbarazzarsi di tutti gli individui che non accettano il comandamento: obbedisci, produci e consuma.

Luca


Silenzi

C'è un vasto paese, l'Argentina che richiama alla memoria spazi giganti nei quali è facile perdersi, spazi ovattati che hanno inghiottito anche uomini e donne spariti nel silenzio che il potere prova ad erigere fin dentro i cuori per renderli sordi, spazi discreti per i loro carnefici, servizievoli strumenti di morte. A Roma il pubblico ministero Antonio Marini, sempre impegnato a proteggere lo Stato dai suoi nemici, ha chiesto l'archiviazione del processo intentato dai parenti dei desaparecidos italiani contro militari argentini. A Roma il tribunale militare, al processo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ha ritenuto di non dover procedere nei confronti dell'ex ufficiale tedesco Priebke, estradato dall'Argentina, dove, come numerosi altri nazisti, per anni ha vissuto indisturbato, non è dato sapere facendo cosa.

Il potere giudicante riconosce in questi imputati servi fedeli, le cui azioni non sono che esempi di fedeltà alla patria, alla bandiera, ed alla ragion di Stato: inutile lo stupore di chi, abituato a sovrapporre alla sua volontà la giustizia dei tribunali, si spreca in suppliche e proteste. Non solo sepolta da un pesante silenzio la vita è negata, anche quando abbindolata da un miraggio viene trasportata nella dimensione assurda dei codici e delle leggi. In fondo queste sentenze rassicurano chi, vedendo nel diritto null'altro che una giustificazione del dominio, coniugando a tribunali e galere solo il desiderio delle fiamme, riporta a se stesso l'ordine della propria vita, ed alle proprie braccia.

Pixie


Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto

Salvo Vaccaro
Anarchia e progettualità.
Per l'autogoverno extra-istituzionale
Zero in condotta, Milano 1996
pagine 80, lire 5.000

Ecco un libro la cui lettura è decisamente da consigliare. Non è una lettura facile poiché Vaccaro ama crogiolarsi nella propria cultura universitaria, ostentando un linguaggio buono per fare spalancare la bocca ai villani, come direbbe Malatesta. Ma il contenuto dei saggi qui raccolti, solo in parte già apparsi sulla stampa anarchica, merita indubbiamente uno sforzo in tal senso. Non capita tutti i giorni infatti di trovarsi di fronte a un piccolo compendio di come elaborare una strategia per eliminare il potere senza fare la rivoluzione.

é questo un problema che tormenta i sonni di molti anarchici contemporanei, anzi si potrebbe dire che per loro questo rappresenta il problema. In quanto anarchici, costoro non possono affermare chiaro e tondo che l'autorità è un male inevitabile, e che quindi è meglio farla finita con i progetti volti alla sua liquidazione; né possono ammettere che le “oggettive” analisi con cui dichiarano superata l'ipotesi rivoluzionaria siano il frutto delle loro “soggettive” decisioni. Così vengono a trovarsi davanti ad un imbarazzante quesito: cosa poter dire per continuare a sentirsi anarchici, cioè nemici dell'autorità, senza però dichiararsi favorevoli a una rivoluzione?

Vaccaro si aggiunge alla lunga lista di quelli che hanno tentato di trovare una risposta a questa domanda. Senza invero troppa fantasia, ci invita alla “fondazione di un mondo diverso attraverso la sottrazione”, attraverso cioè un “esodo”, una “diserzione di massa” capace, a suo dire, di dissolvere il potere. Come a dire che se tutti i soldati disertassero non ci sarebbe più un esercito; se tutti i cittadini abbandonassero lo Stato non si sarebbe più potere. Ma, di grazia, di fronte a questa “diserzione di massa” lo Stato non prenderà i suoi bei rimedi, facendo fucilare i traditori? Vaccaro, sordo da questo orecchio come tutti i suoi compari, non risponde. E poi questi disertori dove potrebbero mai andare, dove li conduce il loro esodo dal deserto del potere? Qui Vaccaro ha la risposta pronta: in un “mondo nuovo” già in formazione e pronto ad accoglierli, un mondo costituito da piccole comuni, imprese no profit, scuole autogestite, centri sociali e simili. A questo punto l'obiezione è fin troppo evidente: non esistono due mondi, ma solo uno. Il mondo alternativo è inserito in quello istituzionale, ne deve rispettare i limiti ed osservarne le regole, se vuole sopravvivere. Vogliamo forse accontentarci di quel che lascia passare il convento? Sentite come risponde Vaccaro: “Beninteso, vivere singolarmente e collettivamente la differenza in atto, significa vivere contraddittoriamente e parzialmente le proprie aspirazioni, i propri desideri, entro limiti materiali e simbolici che confinano sovente il pensabile-altrimenti, l'agibile-ora. Più che di schizofrenia programmatica, come potrebbe essere intesa, parlerei di lucida tensione fra vincoli e utopia”. Potere delle parole! Senza tema di coprirsi di ridicolo, ecco Vaccaro ribattezzare il realismo del buon senso, quello che fa dire che chi si accontenta gode, nientemeno che “lucida tensione fra vincoli e utopia”.

Ma sarebbe ingiusto affermare che Vaccaro ha rinunciato ad una trasformazione sociale totale, nossignori. Semplicemente pensa non sia il caso di preoccuparsene. Meglio pensare all'autogoverno, poiché “anche se le condizioni al contorno non sembrano oggi favorevoli, la ginnastica mentale e la pratica minimale d'autogoverno torneranno utili quel momento in cui, per mille eventi in parte non prevedibili né determinabili dall'agire umano, sarà la stessa costellazione dei fatti ad urgere una soluzione ai problemi”. Insomma, le cose cambieranno, ma da sole. Perché mai crearsi troppe complicazioni? In attesa del sol dell'avvenire, che come nelle migliori favole deterministe spunterà un bel giorno da dietro la collina, è meglio andare tutti in palestra a fare la salutare ginnastica dell'autogoverno.

Su cosa consista la pratica dell'autogoverno, è meglio lasciar parlare lo stesso Vaccaro: “L'approccio strategico che ci stiamo dando è radicalmente graduale sia come sviluppo delle tematiche teorico-progettuali vere e proprie, sia come implementazione politica, dal punto di vista cioè della messa in moto dell'idea stessa nella sfera sociale. Iniziando da quest'ultimo punto, l'affermazione di un progetto, in pratica, necessita di alcune fasi intermedie, come l'allargamento della fascia di coinvolgimento attraverso idonee strutture ed iniziative; oppure la messa a fuoco dei rapporti, nolenti volenti, con le istituzioni, con una dose opportuna di elasticità nell'aggirare gli ostacoli, da un lato, e nel vivere, dall'altro, con sufficiente distacco quegli spazi di forzato connubio insiti nel fatto stesso del progetto in cantiere (oltre alla presenza radicata, capillare e diffusa dell'occhio dello stato in buona parte della sfera sociale); oppure, inoltre, l'aspetto della pubblicizzazione dell'iniziativa, che serve ad acquistare credibilità, credito e legittimità pubblica alla nostra idea, con alcuni passaggi di confronto-competizione con analoghi concorrenti di altre idee politiche, per fare un esempio abbastanza lampante, naturalmente senza esaurire gli sforzi in dibattiti”.

No, non è uno scherzo, avete letto proprio bene. Vaccaro teorizza apertamente di coltivare rapporti con le istituzioni, cosa ovvia per un democratico, un po' meno per un anarchico. Non che la cosa gli piaccia poi molto, ma “nolenti volenti” è così che vanno le cose. Basta farlo in maniera elastica e distaccata. Poi, per pubblicizzare la propria merce politica, auspica dibattiti, che definisce “competizioni”, con “concorrenti di altre idee politiche”. Se la forma non è slegata dal contenuto, se l'uso delle parole è indicativo delle idee che vengono espresse, allora Vaccaro è pronto a prendere la tessera di un partito, uno qualsiasi a sua scelta. Nel bel mondo della politica istituzionale troverà tanti di quei concorrenti politici con cui competere da soddisfare tutte le sue voglie.

N.P.


Due giorni di incontri a Torino

Vista la pesante situazione venutasi a creare con gli arresti del 17 settembre, pensiamo sia necessario approfondire collettivamente, all'interno dell'ambito anarchico, alcune tematiche. Il disegno repressivo del giudice Marini tenta di trasformare i progetti insurrezionali in programmi politici, i rapporti tra gli anarchici in organigrammi, le affinità tra gli individui in rivolta in rapporti da banda. Ci pare importante riprendere una discussione chiarificatrice su questi temi, anche se probabilmente continuare a parlare apertamente di insurrezione, di questi tempi, per molti potrà sembrare un inutile e pericoloso eccesso. Ma l'insurrezione è cosa eccessiva e non si lascia ingabbiare in facili schemi.

Questa discussione dovrebbe essere il primo stimolo per concordare iniziative adeguate all'attuale situazione.

Gli anarchici riuniti a El Paso Occupato venerdì 27 settembre indicono per Sabato 5 e Domenica 6 Ottobre un incontro nazionale anarchico su questi temi.

Approfitteremo dell'occasione per incontrarci e discutere anche con i sostenitori del Comitato Difesa Anarchici, incontro previsto inizialmente per la fine di Settembre.

L'incontro si svolgerà presso l'Asilo Occupato di Via Alessandria 12 (in caso di maltempo ci trasferiremo a El Paso, via Passo Buole 47) dalle ore 14 di sabato.

Per informazioni rivolgersi ai numeri: 0360/554094 oppure

0347/2426177 (solo da venerdì sera).


Una manifestazione nazionale

Venerdì 27 settembre, a seguito di un primo incontro nazionale, si è tenuta presso il Cassero di S.Stefano a Bologna una riunione tra alcuni anarchici per discutere una proposta di manifestazione nazionale a Roma contro gli arresti del 17 settembre e l'azione repressiva degli inquisitori Ionta e Marini.

Sono stati brevemente analizzati gli episodi repressivi e la loro origine. Il quadro è apparso chiaro a tutti: i magistrati dopo anni di tentativi, alcuni falliti altri no, hanno inteso porre un freno a quegli anarchici che da sempre manifestano la loro aperta ostilità contro lo Stato, rifiutando ogni sorta di ammiccamento con le pratiche ed i luoghi istituzionali, e che con lo sviluppo di concetti quali insurrezione, gruppi di affinità, organizzazione informale, azione diretta conducono la loro quotidiana lotta. Individui incontrollabili ed imprevedibili ai quali bisogna dare una lezione. L'azione repressiva è parsa non limitarsi alle persone arrestate ed inquisite, ma allargarsi a macchia d'olio secondo il teorema di un supposto “secondo livello” che “ammantato di cinico perbenismo” appoggerebbe logisticamente in spazi occupati e non, con iniziative pubbliche, questa inesistente “banda armata”.

Questa pratica riscoperta dagli inquisitori - prendere diversi fatti scollegati tra loro e ricondurli in un'unica organizzazione così da poter formulare le accuse di “associazione sovversiva, banda armata, organizzazione terroristica, associazione a delinquere” - siamo convinti non intenda colpire solo gli anarchici, perché dà anche un segnale preoccupante di un ulteriore sviluppo repressivo che può coinvolgere chiunque abbia posto il proprio agire fuori dei luoghi consentiti dalla politica.

Invitiamo i singoli e le realtà interessate a riflettere su questa proposta destinando a tempi brevi, in altra data e luogo da definire, la discussione. Luogo e data che verranno comunicati.


Manifestazione contro la vivisezione
Pisa - 5 ottobre 1996

Pisa con la sua grande storia universitaria non poteva che essere tra le grandi capitali italiane della vivisezione. Innumerevoli gli istituti pubblici e privati dislocati a Pisa e provincia dove vengono concentrate centinaia e centinaia di animali per ogni genere di tortura.

Un piccolo sguardo ad una realtà seppur circoscritta come quella pisana può far entrare e capire ulteriormente l'enorme vastità del fenomeno vivisezione in Italia e soprattutto del sempre crescente rafforzamento delle multinazionali. Presto sarà terminata l'area di ricerca del C.N.R. in S. Cataldo; 180 metri di sotterranei sono quasi pronti a nascondere gli orrori di quello che sarà il mattatoio scientifico tra i più grandi d'Europa.

E' ora di dire basta a queste atrocità.
No allo sfruttamento dell'uomo, dell'animale, della natura
No alla vivisezione
Partecipa alla manifestazione pubblica

Sabato 5 ottobre 1996 - Pisa
* concentramento h. 15,00 P.zza S. Antonio (accanto alla stazione FS)
* partenza del corteo h. 16,00 per finire presso Largo S. Zeno alle h. 19,00 circa

Domenica 13 ottobre 1996
La nostra associazione presiederà le sedi di McDonald's a Bergamo con volantinaggio; siete invitati a fare lo stesso nelle vostre città, organizzandovi come meglio credete. Inviateci successivamente documentazione delle iniziative svoltesi

16 ottobre 1996
Giornata Internazionale di azione contro McDonald's

Comitato Liberazione Animale di Bergamo
Gruppo Animalista Pisano


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