CANENERO

settimanale anarchico - 11 ottobre 1996 - numero 34

questo giornale non ha prezzo e non teme imitazioni

Il paravento della morale
Proprio come noi
Mercante della pioggia
Troppa sicurezza
Tuoni
Studenti, ma ben rasati
Cronaca della rivolta
L'ostinato rifiuto del Paradiso
Becchini dell'anarchia
Chiuso
Puzza di morto
Un mestiere come un altro
Ad ognuno il suo
L'efficienza dei muscoli
Istruzioni per l'uso
Palestina: tutto sotto controllo
E tutti risero
Piccoli germogli crescono
Sorvegliati
Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto
Dire, fare, baciare. E vendere
Briciole
Ai togati
Lampi
Comunicati

CANENERO - Casella Postale 4120 - 50135 Firenze -Telefono e Fax 055/631413

Tenuto conto della forma agile del giornale, i contributi scritti non devono superare lo spazio di una cartella, spazio 2. La redazione si chiude alle ore 22 di ogni lunedì, tranne che per notizie dell'ultima ora di particolare rilevanza. Le spedizioni partono mercoledì sera e arrivano a destinazione entro venerdì.

Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n. 18/89 del Tribunale di Cagliari


Il paravento della morale

Talebani, “studenti di teologia” - quindi inflessibili servitori di verità assolute ed incontestabili -, si chiamano alcuni guerriglieri afgani. Hanno conquistato il potere con le armi e con i denari, comprandosi letteralmente la resa della capitale Kabul. Per il momento a comandare sono loro. Stabilito il proprio accampamento presso il giardino zoologico della capitale, hanno iniziato, con ferocia, una campagna per il ripristino della morale. L'applicazione della sharia, la legge coranica, è estremamente rigida e discrezionale nell'interpretazione dei talebani che, in buona parte analfabeti, si affidano alle parole del loro leader Mohamad Humar. Enormi le restrizioni della libertà individuale, pesanti le pene inflitte ai trasgressori. Ne fanno le spese le fasce più deboli della popolazione, in particolar modo si tenta di annientare violentemente ogni residua libertà delle donne. Non ha senso stabilire se il diritto applicato sia effettivamente ortodosso, essendo questo null'altro che il paravento che giustifica la violenza di Stato. Come in altre situazioni martoriate da lunghi conflitti, alla fine il terrore crea la coesione del gregge necessaria ad embrionali forme di autorità, il cui ordine concepisce un'unica visione del mondo, applicata rigorosamente.

Funzionale strumento per il controllo di popoli e di interessi internazionali, il diffondersi dell'integralismo islamico non può essere travisato dietro l'improbabile ipotesi culturale del ritorno spontaneo di interi popoli alla barbarie. Proprio in quest'ottica invece la vicenda, nella visione della stampa, si riduce in gran parte ad una questione folkloristica. Si sa che costumi e tradizioni dei popoli vanno rispettate, qualche appello alla moderazione basta ed avanza a stabilire la distanza di questi rozzi macellai dai governanti occidentali. A questi ultimi, la sviluppata abitudine di una sapiente gestione della propria immagine consiglia usi senz'altro più urbani.

Anche uccidere richiede una certa correttezza, non certo la più completa mancanza di stile di chi impicca la gente ai lampioni, o ammazza di botte l'ex presidente, senza neppure averlo processato. Ma ci sono possibilità di miglioramento. Di già i più evoluti tra i fondamentalisti islamici le mani ai ladri le fanno tagliare da un chirurgo, così da evitare pericolose infezioni: come si vede, tutto un altro ragionare.

baraban


Proprio come noi

Andrei Lukanov, ex primo ministro del governo bulgaro, è morto mercoledì scorso davanti alla sua abitazione di Sofia, ucciso da due colpi d'arma da fuoco. Lukanov, non più in carica da circa un lustro, era diventato un ricco uomo d'affari e viveva senza guardie del corpo. Il parlamento bulgaro ha invitato alla calma la popolazione, che si presume sia rimasta sconvolta da quello che è stato definito il primo assassinio di un'importante personalità politica della storia recente della Bulgaria. Degli autori dell'omicidio - eseguito da un uomo vestito da mendicante - non si sa nulla, ma gli inquirenti pare sospettino la mafia internazionale, in particolare quella russa.

Non è poi così difficile imbattersi in notizie del genere. Personaggi come Lukanov, sul cui ruolo e sulle cui responsabilità penso e spero sia inutile dilungarsi, vengono tolti di mezzo: chi ha della vita e della libertà una concezione illimitata non ha motivi per piangere simili morti. Ma se in questi casi l'indifferenza è tollerata, non lo è il piacere. Chi non alza semplicemente le spalle di fronte a morti come queste, ma anzi le saluta apertamente (come ha fatto più volte Canenero, soprattutto nella sua criticatissima “Cronaca della rivolta”), viene guardato con riprovazione da tutti, compagni compresi. Ciò che irrita non è tanto e soltanto la condivisione di un gesto “estremo” come l'uccisione di un uomo, quanto l'approvazione di un atto che appare avvolto nell'ambiguità.

Chi ha ucciso Lukanov e perché lo ha fatto? Nessuno lo sa, quindi non è giustificabile salutarne la morte. Solo se ad averlo ucciso fosse stato un novello Gaetano Bresci, mosso da nobili ideali di uguaglianza e libertà, solo in questo caso l'apologia non verrebbe considerata fuori luogo. Altrimenti no. Altrimenti - ci viene detto, da compagni pieni di sano buon senso - correremmo il rischio di elogiare l'atto di un mafioso, di un pazzo, di un fascista, di un agente dei servizi segreti. La dietrologia è una malattia cronica dei politicanti, i quali, abituati a guardare la realtà con gli occhi dei propri contorti calcoli, scambiano semplicità per massimalismo e determinazione per fanatismo. E se ciò accade per le azioni che vengono rivendicate, come è accaduto per le bombe anarchiche di febbraio e marzo in Italia, figuriamoci per quelle che restano anonime.

Torniamo daccapo. Andrei Lukanov è stato assassinato. Non si sa chi l'abbia ucciso, per cui la tesi della mafia russa è solo una fra le tante. Ma allora, perché non potrebbe trattarsi di un singolo individuo che, armato della sua rabbia, è passato all'azione? Una ipotesi vale l'altra, almeno finché non ci saranno informazioni più precise.

Quindi, perché non attenersi ai fatti nudi e crudi, invece di coprirli con la foglia di fico del sospetto? Ed eccoli i fatti: uno sfruttatore è morto. Non ucciso dalla vecchiaia, sul suo comodo letto, ma ammazzato sull'uscio di casa da qualche individuo fatto di carne e di ossa. Proprio come noi. E questo, a chi non pare un avvenimento da salutare con gioia?

Aldo Perego


Mercante della pioggia

Alle promesse di mercante non credere. Così all'incirca recita saggiamente un detto popolare.

A Teresina, in Brasile, il candidato sindaco Alberto Silva, prima delle elezioni tenutesi il 3 ottobre, aveva promesso nel suo programma elettorale, a coloro che lo avessero premiato con il voto, di rendere la loro depressa città una splendida “Parigi del sertao” diminuendo la temperatura media - all'incirca di 35º - di quattro gradi, grazie a nebulizzatori posti sui pali della luce, e mutando il limaccioso fiume Poty in una “Senna del nord-est”. A nessuno è dato sapere quanto costerà tale fantasiosa impresa, su tale quesito si può facilmente sorvolare, l'importante per il sindaco era di spararla più grossa dei suoi avversari.

Ma i cittadini delle democrazie sono abituati da sempre ad ogni sorta di panzana: nessuna meraviglia se a tali promesse è stata corrisposta l'agognata fiducia. Il voto è merce di basso valore con cui i mercanti della politica sono convinti di fare il bello e cattivo tempo.

Speriamo che a dare una mano allo stregone del voto, oltre alla dabbenaggine dei suoi concittadini, non abbia contribuito pure la pioggia.

Eugenio Bonaccia


Troppa sicurezza

Gli incidenti sul lavoro non fanno più notizia. A meno che, per uno scherzo del destino, le vittime invece di cadere una alla volta crepano assieme. Allora una piccola strage quotidiana - come i sei uomini morti sulla petroliera a Genova - riesce a scuotere per un attimo ciò che il massacro di un anno intero non scalfisce nemmeno. Si piangono i morti, ma si rimane indifferenti di fronte alla morte, a quella fabbrica di morte che è l'odierna organizzazione sociale la cui colonna portante è il lavoro. Contro tutto ciò si prendono al massimo delle misure di sicurezza. Ma è proprio da queste misure, ideate per scongiurare incidenti, che sono stati uccisi i sei operai di Genova, asfissiati dall'anidride carbonica sprigionata per spegnere un incendio. Vittime del meccanismo che doveva proteggerli.

Una fine paradossale, che mostra con sufficiente chiarezza l'incongruità delle polemiche che hanno seguito quell'episodio. Come è potuto accadere, ci si ostina a chiedere. Colpa delle condotte? Non avevano sentito l'allarme per via dei tappi nelle orecchie? Il sistema di sicurezza è stato avviato senza che ce ne fosse davvero bisogno? O forse i soccorsi sono giunti troppo in ritardo? Tutte domande legittime, ma che non pongono l'unico quesito che meriti una risposta immediata.

L'attuale organizzazione sociale ha raggiunto un livello tale di complessità da sfuggire ad ogni controllo. Le strutture, le macchine, le istituzioni create dall'uomo per vivere la propria esistenza si sono dimostrate nocive, e altrettanto nocivi sono i sistemi di sicurezza adottati per correggere i guasti prodotti. Davanti a una situazione del genere, togliere i tappi dalle orecchie degli operai e imporre la presenza a bordo di un medico non basta. Nulla di ciò che esiste merita di essere salvato. Contro il potere non esistono sistemi di sicurezza.

L.S.


Tuoni

Queste sono le novità degli anarchici incarcerati su richiesta dei Pm Antonio Marini e Franco Ionta.

Nel corso di questa settimana il Tribunale della “libertà” sta esaminando i ricorsi presentati dagli avvocati degli anarchici.

Salvatore Gugliara ha sospeso lo sciopero della fame.

Ad Apollonia Cortimiglia sono stati concessi gli arresti domiciliari.

I compagni sono quasi tutti detenuti presso il carcere di Rebibbia.

La sezione maschile si trova nel nuovo complesso di via Raffaele Majetti 165, 00156 Roma; quella femminile in via Bartolo Longo 72, 00156 Roma.


Studenti, ma ben rasati

Ricordate quei tempi lontani - molto lontani - in cui la sola parola studente evocava, nelle menti dei benpensanti, immagini di lotta e di barbe fluenti, profili di barricate e terrore di rivoluzione?

Niente di più lontano dalla realtà dei nostri giorni. Gli universitari di oggi contestano - ben rasati - il ministro della pubblica istruzione a Firenze, vengono spintonati dalla polizia e il ministro, il pidiessino Berlinguer, li difende.

“Mi hanno fischiato, e allora?”. “La contestazione è uno dei momenti del confronto democratico.” “Sono fieramente contrario alla repressione di contestazioni civili”.

Gli studenti possono, civilmente, contestare il ministro, democraticamente invocare qualche riforma della riforma e, garbatamente, esprimere riserbi sullo stato di cose presente. Purché si limitino ad essere studenti, a parlare della scuola, dei programmi, del numero chiuso. E se così è potranno anche permettersi, talquando, di alzare la voce, di mostrare qualche cartello: il ministro, sornione, sorriderà.

Il signor ministro, poi, ha la vista lunga. Tanto che nel pacchetto di proposte per la scuola propone, tra l'altro, di lasciare gli istituti aperti il pomeriggio - e, perché no, la domenica - per lo svolgimento di attività “complementari e integrative”, anche autogestite.

Gli studenti potranno, così, essere studenti a tempo pieno, al contrario di quello che desidererebbe il cardinale Biffi, che li vorrebbe - stando alle sue più recenti dichiarazioni - studenti soltanto la mattina perché si trasformino poi in parrocchiani, volontari o quant'altro il pomeriggio.

Niente da dire, dunque. Gli studenti gridano, il ministro sorride e il povero prete si lamenta. A ciascuno il suo mestiere.

S.V.


Cronaca della rivolta

4 ottobre - Chicago (USA). “Non dimenticatevi di votare per me”, ha dichiarato, travestito da Bob Dole - il candidato repubblicano alle presidenziali americane -, un rapinatore uscendo dalla banca.

4 ottobre - Predappio (Forlì). Con mazza e scalpello tenta di sfregiare la tomba di Mussolini.

4 ottobre - Coltano (Pisa). Devastato il cippo in memoria dei morti della Repubblica Sociale.

5 ottobre - Tempio Pausania (Sassari). Una testa di vitello con una miccia accesa è stata ritrovata di fronte alla scuola media. Pare fosse indirizzata al preside.

6 ottobre - Caraffa (Catanzaro). Attacco incendiario contro la caserma dei Carabinieri.

7 ottobre - Belfast. Due bombe sono esplose nel quartier generale dell'esercito britannico. L'azione non è stata rivendicata.

7 ottobre - Londra. Continuano le iniziative degli ecologisti inglesi per protestare contro il progetto di un canale lungo il Vallo di Adriano, che dovrebbe unire il Mare d'Irlanda e il Mare del Nord.

7 ottobre - Ostia (Roma). Gomme tagliate a preside e professori. Nei giorni precedenti sassate e colpi di fucile sui vetri della locale scuola media. Da parte, pare, di alcuni ex alunni.

7 ottobre - Germania. Si susseguono i sabotaggi degli anti-nuclearisti contro le linee ferroviarie per impedire il passaggio dei “Castor”, contenitori di scorie radioattive, verso la discarica di Gorleben. In Bassa Sassonia, Brandeburgo, Baden-Wuerttemberg e nella regione di Berlino, ignoti hanno bloccato le linee agganciando arpioni ai cavi elettrici sospesi sui binari. Nei pressi di alcune linee sabotate sono stati ritrovati alcuni volantini che spiegano i motivi delle azioni.

7 ottobre - Avezzano (L'Aquila). Una partecipata manifestazione, seguita da otto giorni di sciopero: è la risposta di alcuni studenti delle scuole medie superiori ad un preside che aveva preso a schiaffi uno di loro per farlo entrare a scuola.


L'ostinato rifiuto del Paradiso

Si mormora in giro che noi - un "noi" non meglio definito e la cui indefinibilità torna utile agli interessi di bottega dei "mormoratori"- non abbiamo nulla a che fare con l'anarchismo, essendo in realtà nichilisti camuffatisi per penetrare nel sacrario dell'anarchia con male intenzioni. E' noto che a furia di fare il mestiere di custodi del tempio si finisce per vedere ladri dappertutto, e forse è giunta l'ora di tranquillizzare i "nostri" agitati detrattori.

Innanzitutto dovrebbero chiarire cosa intendono per "nichilismo". Personalmente guardo con sospetto chiunque mi decanti le gioie del nichilismo perché credo che il nichilismo, in quanto sostanzializzazione del nulla, sia un inganno. Quando l'incompiutezza del tutto viene colta con un sentimento di pienezza, è difficile resistere alla tentazione di sostituire il vecchio assoluto col suo momento più astratto, nel quale il nulla si trasforma immediatamente in tutto e quindi furtivamente si totalizza. Il nichilismo mi appare insomma come una astuzia della ragione, che respinge tutto l'edificio del sapere nel buio del Nulla solo per ricevere, attraverso questa spettacolare negazione radicale, ancora di più la luce del Tutto.

Ma probabilmente il "nichilismo" di cui si mormora consiste in qualcosa di molto più semplice, e cioè in una presunta mancanza di propositività. In altre parole, si è nichilisti quando ci si rifiuta ostinatamente di promettere il futuro paradiso terrestre, di prevederne il funzionamento, di studiarne l'organizzazione, di elogiarne la perfezione. Si è nichilisti quando invece di cogliere e valorizzare tutti quei fermenti libertari presenti nella società li si nega radicalmente, preferendo concludere drasticamente che nulla merita di essere salvato. Insomma si è nichilisti quando invece di proporre qualcosa di costruttivo si riduce la propria attività ad una "ossessiva esaltazione della distruzione di questo mondo". Se così è, si tratta davvero di una misera argomentazione.

Per cominciare, altro è l'anarchismo (cioè l'Idea), e altro è il movimento anarchico (cioè l'insieme di uomini e donne che sostengono questa Idea); e non mi sembra corretto far dire all'Idea ciò che in realtà affermano alcuni anarchici. Ora, l'Idea dell'anarchismo è l'affermazione dell'assoluta incompatibilità fra la libertà e l'autorità, da cui ne consegue che si può godere della libertà assoluta solo in assenza di potere. E poiché il potere esiste e non ha alcuna intenzione di scomparire volontariamente, bisognerà pur far qualcosa per eliminarlo. Qualcuno mi corregga se sbaglio.

Ebbene, non capisco perché da una simile premessa, che nessun anarchico "nichilista" si è mai sognato di negare e criticare, si passi necessariamente a postulare nuovi ordinamenti sociali. Non capisco perché per "fare parte" dell'anarchismo sia necessario prima prendere una laurea in architettura del nuovo mondo, e non siano sufficienti l'amore per la libertà e l'odio per ogni forma di autorità, con tutto quel che ciò comporta. Tutto questo non solo è assurdo dal punto di vista teorico, ma è anche falso dal punto di vista "storico" (so quanto fervore mostrano per la Storia gli anarchici mormoratori). Uno dei punti su cui si scontravano regolarmente Malatesta e Galleani era proprio quello sulla necessità o meno di prevedere cosa fare dopo la rivoluzione. Malatesta sosteneva che gli anarchici fin da subito devono avere bene in mente come organizzare la vita sociale, poiché questa non ammette interruzioni; Galleani invece sosteneva che compito degli anarchici è solo quello di distruggere, che a ricostruire ci penseranno le future generazioni del tutto immuni dalla logica del dominio. Malgrado le divergenze di idee in merito, non per questo Malatesta accusava Galleani di essere nichilista, accusa questa che sarebbe stata gratuita perché ciò che li differenziava era soltanto l'aspetto costruttivo della questione, non quello distruttivo su cui entrambi concordavano pienamente. Malatesta infatti - anche se la cosa viene omessa da molti suoi esegeti - era un insurrezionalista, convinto sostenitore della necessità di una insurrezione violenta capace di abbattere lo Stato.

Oggi invece basta far notare come chi detiene il potere non si spoglierà dei suoi privilegi volontariamente e trarre le dovute conclusioni, per essere tacciati di nichilismo. All'interno del movimento anarchico, come in ogni luogo, i tempi cambiano. Se una volta il dibattito fra anarchici verteva sul modo di concepire la rivoluzione, oggi sembra che tutte le discussioni abbiano come oggetto il modo di evitarla. Mi domando quale altro scopo abbiano tutte le disquisizioni sull'autogoverno, sul municipalismo libertario, o sull'utopia dotata di buon senso. E' chiaro che una volta respinto il progetto insurrezionale in sé, l'ipotesi distruttiva finisce coll'assumere contorni spaventosi. Ciò che per Malatesta era soltanto un errore - il limitarsi alla demolizione dell'ordine sociale - per molti anarchici odierni rappresenta un orrore.

Le anime pie quando sentono i latrati di un cane pensano sempre che si avvicini un lupo feroce, ed il soffiare del vento diventa per loro un ciclone in arrivo. Così, a chi ha affidato alla sola persuasione il compito di trasformare il mondo, la parola distruzione sconvolge l'animo, evoca immagini dolorose e sgradevoli. Tutte cose che fanno una brutta impressione sulla gente la quale, per essere convertita e affluire infine nei ranghi della ragione, ha bisogno di una religione che prometta un eden di pace e fratellanza. Si tratti del paradiso, del nirvana o dell'anarchia, poco importa. E chi osa mettere in discussione una simile religione non può venir considerato semplicemente un non-credente, deve per forza di cose venir dipinto come un pericoloso blasfemo.

Ed è per questo che "noi" (ma noi chi?) veniamo chiamati "nichilisti". Ma il nichilismo, in tutto ciò, che cosa c'entra?

Penelope Nin


Becchini dell'anarchia

L'anarchia è diventata un'impresa monumentale? Pare proprio di sì, visti gli sforzi notevoli con cui alcuni anarchici si dedicano alla realizzazione dell'Idea.

E pare essere diventata un'idea pesante ed ingombrante, alta tre metri e larga 190 centimetri, del peso di 28 tonnellate. Un'impresa granitica si potrebbe aggiungere. Scolpita nella dura roccia in modo che possa diventare immortale, o farsi monumento.

Il 5 ottobre nei pressi di Ascona, in Svizzera, durante la giornata internazionale per Michail Bakunin, pare abbia visto la luce il monumento al rivoluzionario anarchico russo che visse per anni sul suolo elvetico. L'artefice di questa opera - un non monumento, ha tenuto a precisarlo - sarà lo scultore Enrico Baj. Il marmo, come tradizione vuole, è arrivato da Carrara, donato generosamente dal noto industriale del settore Alfredo Mazzucchelli, figlio di quel Mazzucchelli che fece erigere il cippo a Gaetano Bresci. Un vizio di famiglia, insomma.

I monumenti mi hanno sempre affascinato, vorrei timidamente confessare. In essi vi ho sempre scorto il fatto divenuto rappresentazione, la vita e l'azione fattisi inutile oggetto di contemplazione. La caduta e la morte di un'idea. Un comodo ed insostituibile cacatoio per i piccioni posto in qualche triste giardinetto.

Non mi scandalizzo se alcuni anarchici vorranno erigere una “stele che - a detta di Baj - vuole essere un semplice pensiero, quello libertario, da sempre distruttore di ogni glorificazione ufficiale. L'opera è di tutti quelli che hanno il culto della libertà”. Però nessuno mi può togliere quella sensazione funerea e di decadenza che l'oggetto mi rappresenta.

Questo monumento, anzi non monumento, ha di certo la sua importanza cioè quella di essere “un ritorno alla memoria”, un monito - vorrei aggiungere - ed il rimpianto di qualcosa o qualcuno che non c'è più, giustamente un oggetto di culto.

Dalle secche di un lago svizzero si ergerà “il pensiero di Bakunin che penetra la materia dura come un cuneo”, futura meta turistica di chi con la Storia ha scolpito, utilizzando il marmo “anarchico” di Carrara, una pesante pietra tombale , fulgido e nostalgico rifugio nel passato. Perciò sull'anti-statua ci vedrei scritta solamente una parola: defunto.

E che certi becchini, di anarchia, non parlino più.

Tempesta


Chiuso

Chiudere una fase della nostra storia”, questa sembra essere la preoccupazione comune di tutti quelli che - tra dibattiti, film e proposte di legge - spingono per l'indulto: ex-combattenti delle organizzazioni armate, parlamentari, giornalisti e uomini di spettacolo.

Sono passati tanti anni, le istituzioni democratiche sono solide, non ha più senso che i detenuti scontino quelle pene comminate grazie alla legislazione d'emergenza. Così dicono.

Ma quella di chiudere non è soltanto una loro preoccupazione. Anche quelli che in questo dibattito sono sul fronte opposto, vogliono chiudere. Perché, tra chiudere un periodo di lotte - “Scusate tanto, ci siamo sbagliati, e poi i tempi sono così diversi” - e chiudere i chiavistelli delle galere, in fondo non ci passa una grossa differenza. Se gli anni delle lotte sono chiusi, ancora più chiusi nelle loro celle saranno coloro che quelle lotte non le ritengono chiuse e che per quelle lotte sono finiti in galera. Non per nulla, difatti, quelli che più spingono per l'indulto sono gli stessi che - pur non togliendosi dalla bocca la parola rivoluzione - negano che la rivoluzione sia un problema ancora aperto, una scommessa ancora tutta da giocare. E allora chi si ostina ad accettare questa sfida non può che essere un pazzo fuori del tempo; e chi poi questa sfida la pensa fuori da ogni logica di banda, infinitamente diversa da quella vissuta dai partiti armati di tanti anni fa, non può che essere un comune criminale con qualche strano vezzo intellettuale. Tutti questi sono da chiudere in gabbia, insomma, mentre si dichiara concluso un periodo.

Non c'è da stupirsi allora che a battersi in prima fila per l'indulto sia proprio Il manifesto: chiudere un periodo, chiudere qualche raro esagitato in galera e continuare a tifare per qualche rivoluzione, la più lontana possibile. Ma forse le scommesse e le ipotesi di ribaltamento del mondo dovremmo riprenderle in mano, riaprirle, e con loro riaprire ogni gabbia.

S.V.


Puzza di morto

Come al solito, l'apertura della stagione venatoria ha visto i maggiori quotidiani toscani disputarsi le interviste di illustri personaggi, pronti a dichiararsi seguaci cultori di Diana e a far sfoggio di virilità. Anche il giudice Vigna si compiace nel farsi ritrarre senza l'abituale cravatta e, indossata la cacciatora, con doppietta e carniere recita la parte di conoscitore dei boschi nostrani.

Peccato che non sia così convincente nei panni del vero uomo di caccia. Possibile? Lui, abituato a vivere con un furgone di carabinieri sotto casa, proprio lui, camminare nelle leccete armato di una semplice doppietta? No, signor giudice. Lei è cieco o non ce la racconta tutta. Lei non va a caccia nella macchia, là dove si possono fare cattivi incontri e si può contare solo sulle proprie forze. Un uomo come lei, abituato a stare dentro i recinti, e a metterci chi i recinti li rifiuta, si sente sicuro solo quando caccia nelle riserve. E le riserve sono ambienti modificati, dove gli animali vengono lanciati periodicamente, dove anche il più grande padellatore riesce ad impiombare qualche semidomestico volatile, dove le lepri faticano a saltare, i tordi a fatica si levano dai rami e i cinghiali pesano quanto scrofe.

E poi, signor giudice, si ricordi, mentre passeggia nei boschi della Bagnaia, o nei paduli della signorina Ponticelli, o mentre spreca cartucce in qualche azienda faunistico-venatoria di Magliano, che i padroni di casa, per non offenderla, si sentiranno in dovere di metterle nella tasca del fagiano un volatile, che magari puzza di morto da tre giorni. Non sappiamo se si può chiamare caccia questo teatrino.

Ma in ogni caso non si stupisca di sparare a beccacce che ricordano i polli dell'aia. é quello che nel suo mestiere fa ogni giorno, ed è così che ci piace ricordarla. Perché - ci creda - nei panni togati di cacciatore di prede già catturate, nei panni del giudice circondato da nerovestiti cani da riporto, lei signor Vigna è quanto mai convincente.

Due farabutteri


Un mestiere come un altro

Il giudice. Nessun'altra figura rappresenta come lui, in questo momento, l'emblema della democrazia, della giustizia, del coraggio. Ma come può un tranquillo e sedentario servitore dello Stato indossare all'improvviso le vesti del vendicatore degli oppressi, del castigatore dei potenti? I professori di diritto ci hanno sempre spiegato che un giudice non è che un esecutore, un imparziale applicatore di pene, il più possibile somigliante ad una macchina a cui spetta l'arduo compito di interpretare la fredda parola scritta per ricondurla ed applicarla alla multiforme ed imprevedibile espressione della vita che si manifesta. Di suo egli ci mette ben poco. Chi e perché scriva le leggi non è affar suo, chi siano vittime e colpevoli importa ancor meno al suo lavoro di tecnico, di contabile della galera. Il giudice in fondo non è che un uomo come tutti gli altri, il suo mestiere come un altro, fatto di mille incombenze, di gravosa burocrazia e, soprattutto, di noiosa routine. Ogni giorno la stessa solfa, quante storie, quante vite da far rientrare negli articoli di un codice e una mezz'oretta dopo farle uscire sotto forma di un numero. Poi avanti un altro, ancora il medesimo copione, e via così, giusto il tempo di un cappuccino e una brioche e si ricomincia da capo. Ogni tanto, è vero, qualcuno fa carriera, magari diventa pure ministro, ma i più restano oscuri funzionari di provincia, inchiodati alla loro sedia senza gloria; i più scalognati e i più inetti si ritrovano, sulla soglia della pensione, addirittura ad essere ancora dei modesti sostituti procuratori. Una vita grama insomma, sempre al chiuso dell'insalubre aria dei tribunali, sempre a contatto con le facce poco raccomandabili degli avvocati, dei testimoni, dei pentiti, dei lacchè, degli infami e degli infamoni, dei poliziotti e dei carabinieri. Che colpa potremmo far loro se ogni tanto qualcuno si fa prendere dalla gola, dalla tentazione di far accendere i riflettori della celebrità sulla propria faccia, di diventare finalmente qualcuno? A dire il vero oggi è tutta una gran corsa, nessuno vuole restare indietro, nessuno sembra voglia limitarsi a fare in santa pace il suo mestiere di carceriere della società, senza che il suo nome appaia su un qualche straccio di rotocalco. Ecco allora che, se la procura di Milano indaga il politico in declino, quella di La Spezia risponde tirando in causa il manager di grido che in fondo non faceva che il suo lavoro di sempre e dietro, facendo da eco, qualche procura minore fa arrestare qualche buffone d'avanspettacolo. Non si capisce più niente, tutti contro tutti, addirittura giudici contro giudici e mezza Italia è in galera.

E Roma e Firenze? Potevano forse rimanere in disparte? Che fare dunque, considerando il fatto che i serial-killer scarseggiano e di brigatisti rossi non se ne vede in giro neanche l'ombra? Ci sono pur sempre gli anarchici, deve aver pensato Vigna, quelli sono buoni per tutte le stagioni, sono una preda facile, non hanno mai nascosto di distruggere lo Stato con tutti quei rapporti di sopraffazione e dominio che esso presuppone. Uno sforzo piccino piccino, deve essersi detto, per ingabbiare i nemici giurati della democrazia non avrebbe dovuto far ricorso neppure a ciò che da sempre gli difetta: il coraggio, l'abilità, la correttezza. Crede di stare al sicuro, quest'uomo di legge, chiuso in una fortezza o dentro la sua auto blindata, forse non sa che con gli uomini senza legge i conti non tornano mai.

Marco


Ad ognuno il suo

Anna, una detenuta, è stata condannata dal Tribunale di Verona a scontare tre mesi di pena supplementare per avere apostrofato una secondina con il termine “puttana”. “Chissà se adesso terrà la bocca chiusa durante il turno di guardia dell'agente che l'ha denunciata” - così commenta un articolista che riporta la notizia. Ognuno dovrebbe fare attenzione alle parole che usa, potrebbero riservargli dei dispiaceri. Chi con la forza, arbitrariamente, imprigionasse la nostra libertà, non sarebbe certo nominato con riconoscenza; altrettanto, chi svende ogni dignità praticando le mansioni più miserabili ha una precisa parola che lo indica. Ma con questo un secondino cosa c'entra, si chiederà il censore? Tre mesi in cella proveranno a chiarirlo alla condannata. Sì, perché prendersela con un secondino? Non è che un lavoratore - ci dicono - che svolge il proprio dovere e che ha i propri diritti da difendere, esattamente come un postino, uno sbirro, un assistente sociale. Un essere umano che come tale può commettere anche qualche errore: ci si può sbagliare ad imbucare una lettera, esattamente come si può provocare la morte di qualcuno facendo partire un colpo accidentalmente. Non si dovrebbe farglielo pesare, la sua è una mansione delicata, dovremmo cercare di comprenderlo se è costretto a mollare qualche ceffone, a dividere amori ed affetti.

Purtroppo c'è chi questa storia del dovere non si riesce proprio a fargliela entrare in testa. In un atto di giustizia vede l'arbitrio di un carceriere; in chi chiude a chiave una cella, qualcuno che chiude a chiave una cella; in chi serve, un verme. Alla faccia della pacificazione sociale.

Pixie


L'efficenza dei muscoli

Se l'esercito è una struttura che lo Stato si dà per difendere determinati equilibri, la loro modificazione gli impone la necessità di adeguarla.

Alla vecchia logica dei blocchi contrapposti, concentrata essenzialmente verso l'ipotesi di uno scontro di enormi dimensioni - in realtà congelato in un reciproco mostrare i muscoli -, da tempo si è sostituita una nuova prospettiva, nella quale le forze armate diventano garanti dell'ordine mondiale in piccole, ma apertamente conflittuali, situazioni ai margini dell'impero. L'esercito, fino a ieri massa di comparse sulla bilancia degli equilibri internazionali, adesso deve poter diporre, se l'Italia vuole agganciarsi al carro dei dominatori, per lo meno di qualche reparto efficente. Una riduzione quantitativa, a favore di reali capacità operative: questi i requisiti ai quali corrisponde il nuovo profilo delle forze armate, manifestatosi con la riduzione del servizio di leva, diminuzione numerica degli effettivi, forte aumento proporzionale dei professionisti. Tutto questo accompagnato da un'operazione pubblicitaria che lancia la nuova immagine delle forze armate: democratica, efficente, umanitaria. Un esercito virtuale che possiamo ammirare sullo schermo, dal quale novelli missionari civilizzatori regolano i rapporti tra un occidente buono e giudizioso e gli incivili barbari che lo circondano.

Si modifica anche il ruolo effettivo che le forze armate rivestono all'interno del Paese, sia in rapporto al potere politico che al controllo della popolazione. Si prospetta la diminuzione progressiva del numero dei soggetti al servizio di leva, aumentando di conseguenza le fila del servaggio civile. Alla violenza diretta, depersonalizzante, della coscrizione forzata, si sta sostituendo l'idea progressista di uno sfruttamento ipocritamente giustificato, nell'ottica di un potere che, nascondendo il bastone, perfeziona forme di controllo che prevedono la partecipazione ideologica dei cittadini. Gli attuali scenari della politica mondiale rendono ora concreto l'accesso della sinistra ai vertici del potere militare, manifestatosi con l'accaparramento della poltrona di sottosegretario alla difesa da parte del senatore Massimo Brutti. Relegate ormai agli studiosi della preistoria, ed ai perditempo, le trame controrivoluzionarie e golpiste, l'esercito si vede aperta sempre più la possibilità di autopromozionali interventi operativi nel territorio, in appoggio alle forze di polizia, per contrastare radicate forme di conflittualità sociale. Una democrazia moderna ha bisogno di comprendere tutto all'interno della propria totalitaria creazione della realtà: al di fuori di questa la pazzia, la paura, il male.

A questo scopo un moderno strumento gestito da tecnici specializzati, uno strumento chirurgico per tagliare umanitariamente quelle parti che non si possono sfruttare, per amputare efficentemente quello che potrebbero infettare; per, beninteso democraticamente, espiantare tutto quello che il capitale può ingurgitare.

P. R.

 

Produzione di armi in Italia (1995)

Giro d'affari ufficiale: 5.500 miliardi

Addetti: 40.000

AZIENDE

*Aeritalia Aerospaziale - Caselle (To), Pomigliano d'Arco (Na), Capodichino (Na), Nerviano (Mi), Casoria (Na), Caivano (Na)
*Aermacchi - Varese, Venegono, Valle Olona
*Alcatel Italia
*Alenia Elsag Sistemi Navali
*Alfa Romeo - Pomigliano d'Arco (Na)
*Agusta - Varese
*Beretta - Gardone Valtrompia (Bs), Roma
*Breda - Centobuchi di Montepradone (Ap), Milano, Porto Marghera (Ve)
*Cogne - Aosta
*Elmer - Pomezia (Rm)
*Europa Metalli Sez. Difesa - Firenze
*Fiat Aviazione - Torino
*Fiat Comp. e Imp. per l'energia e l'ind.
*Fincantieri Cantieri Navali - Genova Sestri, Monfalcone, Castellammare di Stabia
*Intermarine - La Spezia
*Italsider - Genova
*Italtel
*Iveco
*Lancia - Bolzano
*Litton Italia - Pomezia (Rm)
*Marelli - Sesto San Giovanni (Mi)
*Microtecnica - Torino
*Nardi - Milano
*Oerlikon-Contraves - Roma, Milano Lainate
*Officine Galileo - Campi Bisenzio (FI), La Spezia, Milano
*Officine Panerai - Firenze
*Officine Reggiane - Reggio Emilia
*OMI - Roma
*Oto Melara - La Spezia
*Page Europa
*Piaggio - Pontedera (Fi), Finale Ligure, Genova Sestri
*Riva Calzoni - Bologna
*San Giorgio - La Spezia, Genova Sestri
*Selenia - Roma, Pomezia (Rm), Fusaro (Na), Giuliano (Na)
*Siai Marchetti - Varese, Novara
*Simmel Difesa - Castelfranco Veneto, Castagnole
*Sicamb - Latina
*Winchester - Anagni (Fr)

MAGGIORI PROPRIETARI

Finmeccanica
Fincantieri (Iri)
General Electric
Ericsson
Famiglia Foresio
Famiglia Nardi
Famiglia Agusta
Famiglia Agnelli
Famiglia Piaggio
Famiglia Klinger
Famiglia Nocivelli
Ing. Ambrosini

Uam - Ufficio del ministero degli esteri che concede il nulla osta per le produzioni belliche

Ritad - Raggruppamento delle industrie tecnologia avanzata della difesa


Istruzioni per l'uso

Che i poveracci finiscano per diventare - tra le vicissitudini della propria miseria - anche cavie umane, non può stupire più di tanto; in molti civilissimi paesi studenti e disoccupati si prestano per soldi, altri come i detenuti vengono convinti a prestarsi. In fondo si tratta di un mestiere come un altro, di un modo per sopravvivere. Ma voi, non ritenetevi troppo fortunati, non ricordate che pochi mesi fa si scoprì che l'esercito americano testava i propri gas sui passeggeri della metropolitana di diverse grandi città? E non saremo proprio noi italiani a stupirci dei maneggi dei servizi segreti, vero?

In Spagna l'anno scorso gli spioni governativi preparavano il rapimento di un alto esponente dell'Eta; dato che l'operazione, manifestamente illegale, doveva svolgersi in Francia, il soggetto doveva essere narcotizzato e portato in patria, dove, dopo essere stato opportunamente spremuto, poteva essere agevolmente eliminato, come già capitò in precedenza ad altre due vittime. Per sperimentare efficacemente il narcotico i poliziotti rapirono due tossicodipendenti e un barbone, che ebbe il pessimo gusto di non sopravvivere. Persino il luminare della medicina che assisteva i torturatori dicono sia rimasto permanentemente choccato, poverino. é un giornale iberico che con queste rivelazioni sta mettendo alle corde l'ex premier Gonzales, già sotto inchiesta per la “guerra sporca” contro l'Eta: non abbiamo dubbi che la Giustizia saprà fare il suo corso.

Non riesco ad immaginare invece cosa possano fare i giudici nordamericani dopo la scoperta di una bella pubblicazione del proprio esercito ad uso e consumo dei torturatori stranieri. Alla Army School of the Americas, in Georgia, i più efficienti golpisti latino-americani si applicavano su un testo che insegnava come torturare, ricattare, riciclare e giustiziare. Sessantamila bei soggetti tipo Noriega, Robert D'Abuisson, Julio R. Alpirez studiavano dagli ufficiali americani, ad esempio, “come trattare le proprie fonti”: per procurarsi un informatore “...l'agente potrà farlo arrestare con una scusa qualsiasi, picchiarlo, ricattarlo, arrestarne i familiari...”; quando il “pentito” non serve più “potrà essere neutralizzato”. Vi ricorda nulla? Suggerisco: provate a chiedere ai carabinieri dove ha studiato Siad Barre.

Ad ogni modo sembra che le istruzioni di questo manuale violino la legge; che perseguano l'editore (il Pentagono) pare improbabile, dato che là il capo dell'esercito è il Presidente. Se siete interessati, la scuola di Fort Benning è sempre aperta. Istituzioni simili servono sempre. Dappertutto.

Mario Spesso


Palestina: tutto sotto controllo

La forte ingerenza di Israele sul processo di “autonomia” dei territori palestinesi è cosa nota. Il programma di Netanyahu e del Likud della “pace nella sicurezza” continua a realizzarsi con la pianificazione di altri cinquemila alloggi per i coloni, ovvero una nuova invasione dei territori, con la confisca di altro terreno a Gerusalemme Est per la costruzione di un passaggio tra questa e la colonia ebraica di Gusch Etzion, e il relativo divieto ai palestinesi di accederne. Non pago, il primo ministro israeliano autorizza l'apertura al pubblico di un tunnel sotterraneo - secolare luogo di culto per gli ebrei - che attraversa un altro luogo sacro: la Spianata delle moschee. Ciò scatena le prime reazioni dei palestinesi; viene proclamato uno sciopero commerciale dall'Autorità palestinese e un po' dappertutto vengono inscenate manifestazioni di protesta.

La reazione della polizia israeliana non si fa attendere. Ad Al-Bireh comincia a far fuoco sui dimostranti uccidendo uno studente. Da uno scenario che immaginavano potesse sfociare al massimo in contestazioni corredate da scontri contenuti entro limiti accettabili, si passa all'attacco vero e proprio. La rivolta scoppia nei pressi degli insediamenti ebraici della striscia di Gaza; viene preso di mira il collegio rabbinico di Nablus insieme ad alcuni luoghi di culto ebraici.

Ad affrontare la sbirraglia israeliana i rivoltosi non restano da soli, accanto alle pietre ed alle molotov si affiancano i mitra della polizia palestinese. Inutile illudersi, l'esercito palestinese è sceso in campo per mere questioni territoriali: i mercenari al soldo del Likud avevano violato la zona autonoma di Ramallah, controllata dall'Olp. Ma è l'occasione buona per l'Anp, che cerca di ricondurre la rivolta sui binari dell'offensiva militare coordinando gli attacchi della folla.

Scatta l'intervento della diplomazia internazionale: da una parte l'Unione Europea che deve proteggere gli investimenti miliardari in Palestina e non può non legittimare l'autorità dell'Olp, dall'altra gli Stati Uniti che non possono inimicarsi i partner ebrei e neanche sostenerli apertamente. Si parla della possibilità di una nuova guerra, si accusa Netanyahu di cecità politica, si invita a riprendere il processo di pace. I riflettori si spostano; sulla rivolta costata la vita a più di ottanta palestinesi si abbattono fiumi di parole che descrivono gli incontri inconcludenti tra i due leader e le foto di un Arafat disinibito e sorridente, pronto a stringere le mani di chiunque in cambio di un riconoscimento politico.

Intanto la polizia palestinese riprende il controllo dei Territori: a Hebron uomini dei servizi segreti al soldo di Arafat si mescolano tra la folla per sedare ogni tentativo dei ribelli di proseguire gli scontri. Arafat può dirsi contento: l'insofferenza dimostrata dalla popolazione verso la repressione attuata dalla sua polizia stava diventando troppo pressante. Se tempo addietro la folla assaltando un carcere e liberando decine di prigionieri ribadiva le ragioni del desiderio e della libertà sulla ragion di Stato, l'intervento della polizia accanto ai ribelli si rivela piuttosto garanzia di una maggiore stabilità del governo dell'OLP sui Territori, più dei carri armati mandati in questi giorni da Tel Aviv.

Ora la popolazione potrà riacquistare fiducia nei suoi aguzzini. Quelli che torturavano e incarceravano non dissimilmente dai loro corrispettivi israeliani, per il momento diventano amici degli oppressi.

Davide


E tutti risero

“Nomisma”. Dietro questa sigla si nasconde la più trita delle banalità. Di questo si tratta: per procedere con l'affare dell'Alta Velocità, le ferrovie dell'ora tanto inquisito Necci hanno avuto bisogno di una serie di miliardarie consulenze. Alcune di queste sono state affidate, appunto, al Nomisma, un istituto di ricerche economiche fondato da Prodi e da lui diretto fino all'anno scorso. Nel frattempo, sempre lui, Prodi, veniva nominato “garante” per l'Alta Velocità. E anche dopo la sua elezione a Presidente del consiglio, non ha nascosto di avere particolarmente a cuore il progetto. Insomma, dietro la ripetizione degli stessi nomi e sopra questa pioggia di miliardi, non pochi intravvedono del marcio. Bisognerebbe anche dire che lo stesso Nomisma è di proprietà di quelle banche che l'Alta Velocità si sono offerte di finanziare. Un altro bel po' di miliardi, poi, pare che sia partito per la tangente a garanzia della “pace sociale” intorno ai cantieri. Destinatari, la camorra e tutti i partiti (ma proprio tutti, a detta dei magistrati). Fin qui troppo facile.

Ma il marcio, quello serio, quello che non si accontenta di qualche manciata di miliardi, sta un po' più in là: l'affare è grosso non solo per chi ne sarà direttamente coinvolto, lecitamente o illecitamente. L'affare è grosso per il capitale nel suo complesso, che sogna di abbattere ogni barriera - intanto quella del tempo. I treni super veloci attraverseranno pianure e vallate scarrozzando le merci e gli uomini-merce, e quella velocità è diventata essenziale per il capitale.

Un progetto del genere richiede, per convincerci a sopportare un treno insopportabile, un certo sforzo: si debbono mobilitare non solo Prodi e la sua banda di tecnocrati, non solo i partiti e la camorra, non solo le banche, non solo gli amministratori delegati ed i capitani di industria, ma soprattutto quelli che per mestiere si strappano i capelli di fronte a qualsiasi devastazione per poi accettarle tutte.

Mentre inebetiti si stava a guardare lo spettacolo dei sindaci, dei Verdi e delle comunità montane contro il Treno ad Alta Velocità, i cantieri hanno cominciato ad essere attivi. Ora che ci perdiamo di fronte alla presunta onestà di Prodi, agli incassi del Nomisma, ai singolari giroconti nei bilanci dei partiti, i cantieri continuano a funzionare. E quando, finalmente, ci si chiederà a chi realmente giovano le locomotive super veloci, queste di già ci sfrecceranno di fronte a casa.

S.V.


Piccoli germogli crescono

Alla cortese attenzione di:

Autorità competenti
Forze dell'ordine responsabili
Organi di stampa
Associazioni ed Individui
a vario titolo interessati

La libera Associazione Caino per la diffusione della tossicofilia presenta:

Piccoli Germogli Crescono

Esiste una pianta della famiglia delle “Urticacee” il cui nome scientifico “Cannabis Sativa”, forse non dice molto, ma il soprannome marijuana è da tutti ben riconoscibile. La piantina contiene Thc (Tetra idro cannabiolo), un principio psicotropo, e quindi l'illuminata legge italiana la classifica tra le “Droghe” illegali.

Niente Cannabis e derivati allora? Non è esatto. La sostanza è su tutto il territorio nazionale, libera e disponibile, basta sapere a chi rivolgersi. E a chi rivolgersi se non allo Stato proibizionista tramite il suo alter ego: la Mafia?

Occhio, ragazzi, se vi fumate le canne arricchite la Mafia, in ogni caso. Rischiate poi di cadere nelle mani vendicatrici di chi queste sostanze contribuisce a produrre e commerciare, polizia, carabinieri, guardia di finanza, magistratura, altri nomi della stessa sostanza: Stato = Mafia = Proibizione = Spaccio

Ma il piacere tossico deve per forza derivare dalle Mafie o dagli Stati che dir si voglia? a nostro parere una soluzione esiste:

Diventa Produttore del Tuo Piacere

Tralasciando le disquisizioni sul fatto che solo una scelta individuale può decidere quali sostanze usare, quali leggi osservare, quali Stati/Mafie rispettare ecc...

La Libera Associazione Caino per la diffusione della Tossicofilia una soluzione l'ha messa in pratica: come i botanici sanno, il periodo migliore per la semina/piantagione della Cannabis è l'inizio di maggio;

In tre notti di lavoro circa ottocentocinquanta (850!) germogli e/o semi sono stati piantati nei territori dei comuni di Saluzzo, Manta, Verzuolo, Costigliole Saluzzo.

Giardini pubblici, colline, aiuole, campi, bordi strada, dappertutto cresceranno queste simpatiche piantine. Da un nostro controllo, alcuni giorni fa, abbiamo appurato che la stragrande maggioranza di esse ha ben attecchito. Inutili e vani gli sforzi di chi vorrà andarle a cercare per estirparle: sono troppe e troppo disseminate.

Non ci resta che aspettare settembre, quando la maturazione sarà completata e chiunque potrà raccogliere e fumarsi liberamente il suo piacere.

Invitiamo qualunque Tossicofilo a cercare ed accudire le sue piantine.

Se in molti seguiranno il nostro esempio la Marijuana potrebbe addirittura diventare pianta spontanea in provincia di Cuneo, e crescere e riprodursi naturalmente.


Sorvegliati

Agli studenti dell'istituto alberghiero Colombatto di Torino il capo d'istituto vuole imporre cartellini di riconoscimento con nome, cognome e foto. Il capo già aveva fatto trovare all'entrata della scuola, il primo giorno di lezione, carabinieri con cani antidroga che hanno proceduto ad una perquisizione generale. Il provvedimento, dice, è doveroso, abbiamo strumenti delicati - come le cucine - che vanno protetti, qui entrano 2500 persone ogni giorno ed è impossibile sorvegliarle tutte. I genitori del consiglio d'istituto sostengono la decisione rimproverando gli studenti dell'assenza delle proprie rappresentanze istituzionali al momento della decisione (“se non si partecipa alle attività dell'istituto non si può contestare”).

Gli studenti minacciano di non consegnare i moduli per la schedatura, denunciando la situazione da caserma che si sta creando nella scuola.

Pienamente d'accordo, basta che se lo ricordino e lo ricordino a tutti quegli altri studenti medi e universitari che, persino durante le occupazioni e le agitazioni delle scuole, tolleravano o appoggiavano servizi interni di sorveglianza contro eventuali “estranei” o “provocatori”, alle volte addirittura in collaborazione con la polizia e la Digos. Una situazione di rottura con l'esistente, o è un'occasione, un momento di liberazione, oppure rappresenta semplicemente un passaggio di poteri da una autorità (scolastica) ad un'altra (studentesca).

Mario Spesso


Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto

Raoul Vaneigem
Avviso agli studenti
Nautilus, Torino 1996
pagine 44, lire 5.000

La scuola è vostra
dedicato agli studenti
(con una nota a margine
di Domenico Starnone)
Marco Tropea Editore, Milano 1996
pagine 96, lire 10.000

Di Raoul Vaneigem, membro dell'organizzazione rivoluzionaria Internazionale Situa-zionista dal 1961 al 1970, saranno probabilmente in molti a ricordare una frase che riscosse un certo successo in un'epoca tristemente carente di passione ma densa di dogmi ideologici: “Chi parla di rivoluzione senza far riferimento alla vita quotidiana si riempie la bocca di un cadavere”.

Sono trascorsi quasi trent'anni da allora e oggi Vaneigem non è più un situazionista, né un rivoluzionario. Dei suoi scritti giovanili ha mantenuto soltanto lo stile, brillante e piacevole come sempre, ora messo al servizio di ciò che un tempo combatteva. Il suo ultimo libro, pubblicato qui in Italia in due diverse edizioni, ne è una agghiacciante dimostrazione.

Dietro l'apologia del “vivente” (quale?) e della lotta di questo fantasma contro la morte (quale?), Vaneigem ci presenta l'ennesima tiritera riformista sulle possibilità fornite dalle nuove tecnologie di salvare l'istituzione scolastica dalla mediocrità imperante. Gli argomenti adottati sono talmente banali da non meritare nemmeno una confutazione. A Vaneigem si può soltanto ricordare che, parafrasando le sue stesse parole, chiunque parli di vita quotidiana senza far riferimento alla rivoluzione si riempie la bocca di un cadavere.

Si fa una certa fatica a pensare che l'autore di questo testo sia l'ex situazionista che tanto metteva in guardia contro i pericoli insiti in ogni forma di contestazione parziale. Che fine ha fatto il teorico dell'organizzazione che nell'opuscolo Della miseria nell'ambiente studentesco sosteneva: “La critica radicale del mondo moderno deve avere come oggetto e come obiettivo la totalità”? Siamo davvero di fronte a quel Raoul Vaneigem che nel maggio `68 prese parte al Consiglio per il Mantenimento delle Occupazioni che in un suo volantino scriveva: “Non ha senso criticare l'università quando è tutta questa società che va distrutta”?

Oggi ciò che è rimasto di quell'uomo - e non ci pare molto - è capace solo di elencarci tutte le nocività prodotte dall'istituzione scolastica, senza spendere una parola sul fatto che questa non fa altro che rispecchiare il sistema sociale che la ospita. Come si può criticare la struttura gerarchica della scuola se si accetta la gerarchia presente in tutti gli ambiti della società? Strano davvero che sia proprio Vaneigem a tralasciare queste banalità di base.

Forse che i “magistrati coraggiosi” salutati in questo libretto da Vaneigem per aver rotto “l'impunità di cui godeva l'arroganza finanziaria” non hanno nulla a che vedere con il potere, la gerarchia, lo Stato, sul cui conto di tanto in tanto Vaneigem brontola? E ancora, è davvero il cantore della rivolta di Los Angeles del 1965, l'estimatore dei fuorilegge romantici alla Lacenaire, a prendersela con chi compie atti di vandalismo nelle scuole, accusati di giovare solo “agli avvoltoi delle società immobiliari”?

Quanto buon senso, quanto lucido disincanto, quanta rassegnazione in queste analisi. La festa è finita, torniamo al lavoro. Il sogno dell'impossibile, la libertà assoluta, la rivolta: tutte cose belle, è vero, ma ora basta. Ora non abbiamo più vent'anni, dobbiamo essere seri, dobbiamo mettere la testa a posto. Altro che rendere appassionante la vita, altro che godere senza limiti. Abbiamo solo scherzato. Meglio rendere omaggio ai “magistrati coraggiosi” alla Di Pietro e cercare di dare buoni consigli agli amministratori: ne va della nostra pensione. Che voltastomaco, che tristezza. Il gusto del cambiamento soddisfatto da un cambiamento di gusto, come diceva un certo Vaneigem.

E finiamo proprio con un'altra sua citazione. Ma non diamo la parola al rivoluzionario del `68, ormai morto e sepolto, bensì al recuperatore del `96 che in un sussulto di sincerità ammette: “se tante idee generose si sono trasformate nel loro contrario, è perché il comportamento di chi militava per imporle ne era la negazione”.

Basta così, signor Vaneigem. Ormai abbiamo capito.

S.I.


Dire, fare, baciare. E vendere

All'inizio era solo un'agenda, una semplice agenda con il suo bravo calendario. Già da allora, piena di battute com'era, si distingueva dalle altre e si capiva che era predestinata ad una élite di successo. Poi, con il passare degli anni, le ambizioni sono cresciute. La scadenza annuale cui sono assoggettate le agende soffocava lo spirito intraprendente dei suoi animatori, ed è nata così una rivista mensile: “Smemoranda. Dire, fare, baciare”, tribuna della sinistra satirica italiana, braccio stampato dei tanti comici che affollano (o aspirano a farlo) l'etere statale o berlusconiano.

Prendendo in ostaggio l'intuizione radicale che Alfred Jarry ebbe quasi un secolo fa - “Sarà una risata che vi seppellirà” -, i brillanti “compagni” di Smemoranda hanno perseguito con solerzia il compito di buttare tutto sul ridere, banalizzando ogni questione in vista di sostenerne una mediocre soluzione sinistra democratica. E ridendo e scherzando, non hanno dimenticato di tenere d'occhio il portafoglio. I milanesi, si sa, sono maestri nel coniugare commercio e creatività, e Milano è da sempre patria di questi burloni di corte.

L'ultima loro trovata è il lancio di una serie di prodotti destinati agli studenti, sul cui giovanile entusiasmo si può sempre fare affidamento, se non per scatenare rivolte almeno per aprire bottega. Eccole qua, le “Idee Smemoranda”: colorati quaderni che ci parlano del Che, di Gandhi, di Zapata, oppure del linguaggio dei tatuaggi, o ancora dei popoli insorti contro “la nostra disumana civiltà”. Oppure c'è lo zaino, che con la modesta pretesa di voler salvare la schiena degli studenti dal peso dello studio (che tanto ci penserà poi il lavoro a spaccargliela), desidera essere in realtà “un invito a ripensare il rapporto con la scuola e a superare alcune assurdità”. Proprio così.

Solo gli odiati capitalisti vendono, incamerano e reinvestono senza fare chiacchiere. I “sinistri” no. Loro si sentirebbero in colpa. Quando ti rifilano una delle loro costosissime merci, si premurano di appiccicarci sopra uno slogan politico per addolcire la minestra. Insopportabile. Ma questa gente scoraggerà ancora a lungo le belle e affusolate mani degli assassini?

M.Z.


Briciole

Ennesimo sfoggio di straccioneria e di squallore a Torino: sabato 5 ottobre compare in prima pagina su un quotidiano la denuncia del pidiessino presidente di circoscrizione a proposito dell'arrivo di due nuovi gruppi di nomadi nell'insediamento del popolare quartiere di Barriera di Milano. Gruppi che sono stati cacciati con la forza due giorni prima da un altro campo della cintura dal sindaco di Venaria (progressista, ex Rete), ed ora si ritrovano in circa 800 a dover passare l'inverno tra discariche e fango, nella più totale assenza di servizi igienici.

Gli zingari sono sporchi, ladri, parlano in modo strano, sono troppo diversi da noi gente civile e se ci fanno qualcosa sono subito individuabili, loro sì. Quindi Venerdì 4 il proletariato di zona, per protestare concretamente contro furti e atti vandalici attribuiti ai nomadi, ha cominciato ad organizzare le consuete ronde e spedizioni, che hanno fruttato - per il momento - il pestaggio collettivo di uno zingaro.

“Se le cose non cambiano garantire l'ordine pubblico diventerà impossibile” - ha tuonato il compagno presidente, chiedendo ovviamente più polizia (il sindaco ha promesso l'assunzione di una quarantina di nuovi vigili) per timore di iniziative popolari incontrollabili, ma ammonendo il popolino di non poter tollerare “l'autodifesa”.

Non manca un po' di solidarietà per la Fiat Iveco “azienda di prestigio internazionale”, che tollera malvolentieri la presenza di questi pezzenti proprio dinanzi al proprio stabilimento.

L'istituzione provoca, istiga, reprime, controlla, risolve. Tutto deve avvenire nella piena legalità, guai sennò. Che i nomadi se ne vadano, dicono tutti, dove non si sa. Se sparissero, magari in un bel forno, nessuno certo muoverebbe un dito.

Per caso negli stessi giorni un'inchiesta sul territorio torinese rivela il costante aumento di “normali” famiglie che si rivolgono a parrocchie e ad enti assistenziali per ricevere cibo e vestiti: sono i nuovi poveri, fra cui probabilmente allignano anche quelli che si sentono in dovere di cacciare gli zingari.

Chissà fino a quando i torinesi preferiranno accontentarsi delle briciole che vengono loro gettate dallo Stato, pur di avere al proprio fianco i tutori armati della legalità. Di sicuro, continuando così, quando realizzeranno di essere degli esclusi si accorgeranno solo della velocità con la quale i manganelli della polizia punteranno verso le loro teste di miserabili.

Mario Spesso


Ai togati

Io il giorno 8 di ottobre non mi recherò in nessuna caserma di nessun esercito poiché assoggettarsi agli ordini di un altro uomo è la cosa più macabra e avvilente che l'uomo stesso abbia mai concepito.

Né proverò a piaggiare nessun'alternativa a quest'imposizione dello Stato, dell'Autorità. Non riconosco alcuna autorità su di me.

Quindi, volenti o nolenti, lorsignori faranno a meno della mia presenza; anzi mi considerino un nemico, un morbo infetto.

Con sincero disprezzo

Marco Pierattini


Lampi

Perquisizione. Il 2 ottobre gli agenti della Digos di Viterbo Prosperini Giorgio, Massari Antonio, Brizi M., Gubinelli A., Sargeni M. alle 7,45 hanno visitato la casa di Massimo della Applequincerecords - etichetta autoprodotta anarcopunk - su ordine del Sostituto procuratore della repubblica di Viterbo Pietroselli Renzo, contestandogli il reato di associazione sovversiva - tanto per cambiare - in concorso con ignoti (art. 270 c.p.).

Numeroso e spiritoso il materiale sequestrato: dischi, volantini, opuscoli, bomboletta spray, videocassetta, copertine di dischi.

Come vedete non mancano di fantasia i nostri inquisitori.

Cosa sarà? Forse spirito di emulazione nei confronti dei più noti colleghi romani e fiorentini? Lo sapremo nelle prossime puntate.

&

Il processo, che doveva svolgersi in questi giorni, contro nove compagni per i presunti incidenti avvenuti durante la manifestazione di Milano del 12 dicembre 1993, è stato rinviato al 7 aprile prossimo.

&

Martedì 15 ottobre si terrà in mattinata il processo contro Emanuele Del Medico, anarchico non sottomesso. Appuntamento davanti al tribunale Militare in piazza S. Maria degli Angeli.

&

Giocondi manifesti anarchici contro i magistrati Ionta e Marini e la loro azione repressiva sono apparsi il 7 ottobre nella città di Roma capitale. Particolarmente delizioso quello che annunciava la morte dell'inquisitore di Trento, la mezzatac-ca Bruno Giardina, il cui funerale pare sarà organizzato dalla premiata ditta di pompe funebri Marini.


Comunicati

Venerdì 11 ottobre

TRIESTE
Presidio contro l'azione giudiziaria a danno degli anarchici.
Località Capo di Piazza. Per informazioni: 040/368096 Martedì e Venerdì dalle 18 alle 20.

MILANO
In solidarietà con il CDA e con gli anarchici arrestati, concerto con Horace Pinker (USA) e Street Urchins (Milano). Al Laboratorio Anarchico di Via De Amicis 10. Tel. 0368/238355.

TORINO
Distribuzione di Canenero, mostra sull'inchiesta Marini e concerto punk rock con S.T.P. (Novara) e Triggers (Torino). Presso El Paso Occupato di Via Passo Buole 47, tel. 011/3174107.

Sabato 12 ottobre

TRIESTE
Presidio contro l'azione sbirresca a danno degli anarchici.
In piazza Cavana. Per informazioni: 040/368096 Martedì e Venerdì dalle 18 alle 20.

MILANO
In solidarietà con il CDA e con gli anarchici arrestati, cena alle ore 20,30 e concerto alle ore 22,30 con Ga.Ra.Dro. (Brianza) e Atomizer (Milano). Al Laboratorio Anarchico di Via De Amicis 10.

CARRARA
Al Baffardello anarchico in via Plebiscito 3, giornata di solidarietà con i compagni arrestati. Alle 20,30 succulenta cena con sottoscrizione.

NAPOLI
In solidarietà con la Cassa di solidarietà antimilitarista, allo studentato occupato di Via Sedile di Porta, concerto con Audiopan e Kronstadt. Alle ore 21.

ROMA
In solidarietà con il CDA e gli anarchici arrestati, concerto con Tear me down, Childrens church, Colonna Infame Skin Heads, Pirati dell'etere anarkopunx. Luogo da definirsi. Per informazioni: Apple's Queen, 0761/346879.

Domenica 13 ottobre

TORINO
El Paso Cine presenta: “La grande abbuffata” di Marco Ferreri (Italia 1973), Videocitronix News. Distribuzione di Canenero. A El Paso Occupato.

Lunedì 14 ottobre

NAPOLI
Assemblea sul tema: “Né servizio militare né servizio civile”. Nell'aula Aliotta della Facoltà di Lettere e Filosofia, alle ore 15.

MILANO
Rassegna film. “Nero su Bianco” (1968). Alle 22,30 al Laboratorio Anarchico di Via De Amicis 10.

Venerdì 18 ottobre

TRIESTE
Presidio contro l'arresto degli anarchici.
Località Capo di Piazza. Per informazioni: 040/368096 Martedì e Venerdì dalle 18 alle 20.

Sabato 19 ottobre

TORINO
Concerto con Bug (Noise, Ber-gamo) e Grezzo (Hardcore, Torino). A El Paso Occupato di Via Passo Buole 47, tel. 011/3174107.

TRIESTE
Contro il sequestro giudiziario degli anarchici, presidio in via Dante angolo piazza Repubblica.
Cena benefit per il Comitato di Difesa Anarchici in via Mazzini 11 alle 20. Per informazioni: 040/368096 Martedì e Venerdì dalle 18 alle 20.

Sabato 26 ottobre

ROMA
Assemblea aperta sulla situazione repressiva contro gli anarchici. Presso il Laurentino Okkupato.


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