CANENERO

settimanale anarchico - 18 ottobre 1996 - numero 35

questo giornale non ha prezzo e non teme imitazioni

Soltanto da un oceano?
Dichiarazione di sciopero della fame e della sete
Lampi
Noccioline
Una notte lunga dieci anni
Pigne e cardellini
A ciascuno il suo niente
Al mercato della delazione
Il lasciapassare
La consapevolezza dell'ignoto
Cronaca della rivolta
Feuilleton
Germania
Troppe parole
A Silvio
Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto
"Incontrollabili"
La scienza e il suo patrimonio
Fuoco sul carro funebre
Comunicati
Artisti e centri sociali

CANENERO - Casella Postale 4120 - 50135 Firenze -Telefono e Fax 055/631413

Tenuto conto della forma agile del giornale, i contributi scritti non devono superare lo spazio di una cartella, spazio 2. La redazione si chiude alle ore 22 di ogni lunedì, tranne che per notizie dell'ultima ora di particolare rilevanza. Le spedizioni partono mercoledì sera e arrivano a destinazione entro venerdì.

Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n. 18/89 del Tribunale di Cagliari


Soltanto da un oceano?

Vi devo fare una confidenza. Provo una sensazione di insofferenza, quasi di nausea, ogni qualvolta sento parlare del “Chiapas insorto”, fatto oggetto di una miriade di libri, articoli, dibattiti, trasmissioni; iniziative culminate sabato scorso con una manifestazione nazionale a Roma. A infastidirmi, ovviamente, non è la lotta condotta dalla popolazione di quella regione contro il governo messicano, ma la sua apologia ad opera di tutti i “sinceri democratici”.

Dopo la seconda guerra mondiale, quando il tumore nazista legittimava la drastica cura della Resistenza, la Sinistra ha cominciato a caratterizzarsi per il fervore con cui ha sostenuto, a parole, le rivolte che scoppiavano nel mondo, tenendole a debita distanza dalla propria magione. Basta pensare, solo in tempi più recenti, a quanto avvenuto per Cuba, il Cile, il Nicaragua, la Palestina; oggi è la volta del Chiapas.

Per l'ennesima volta il popolo della Sinistra - composto da pecore grasse del proprio benessere con la loro grigia esistenza divisa tra casa e lavoro - si esalta e fa il tifo per gli esotici guerriglieri: gli zapatisti armati e mascherati, con i loro vivaci colori e la loro vita spartana. Pecore e leoni, divisi soltanto da un oceano. Quanto basta perché dal sinistro gregge si levino alte le proteste contro l'autorità messicana e il gran capitale che la sostiene, lo stesso che poi finanzia i governi europei, buoni amici di quello messicano.

Comprenderete quindi il mio disgusto. Che si acuisce quando ad elogiare Marcos e i suoi sono gli anarchici. Sì, proprio loro, gli anarchici, quelli che si professano antimilitaristi e ricordano ad ogni pie' sospinto che le rivoluzioni vanno fatte “dal basso”, perché dai leader ci si aspettano solo compromessi e tradimenti. Eppure eccoli lì, pronti a sgomitare per poter fare anche loro i turisti delle rivoluzioni altrui, e salutare un esercito e il suo subcomandante.

L'opportunismo e il realismo politico non conoscono davvero pudore, arrivando a sconfinare nel razzismo. In quale altro modo definire l'atteggiamento di chi sostiene per altri ciò che non accetterebbe per sé? Come a dire: è vero che siamo anarchici, nemici di ogni capo e di ogni uniforme, ma è altrettanto vero che esserlo è un privilegio della civiltà occidentale, l'unica abbastanza matura per realizzare l'anarchia. Quegli zoticoni di contadini messicani, che vivono in un paese sottosviluppato, possono ben accontentarsi di un regime democratico guidato dal poetico Marcos e sorvegliato dalle armi del suo esercito. Scusate, ma il voltastomaco mi assale.

M.Z.


Dichiarazione di sciopero della fame e della sete

io sottoscritto Salvatore Gugliara, nato a pescara il 21.03.1996,attualmente ristretto presso la casa circondariale di Rebibbia in Roma, nel pieno possesso delle mie facolta' mentali

dichiaro

che a partire da oggi, 14/10/1996, intendo riprendere lo sciopero della fame da me gia' iniziato il 17/09 e temporaneamente sospeso il 29/09, ASTENENDOMI PERO' IN QUESTA OCCASIONE DALL'ASSUMERE LIQUIDI O ZUCCHERI per protestare contro la decisione dei giudici del tribunale della liberta'che con la loro recente sentenza hanno di fatto avallato il traballante e fallato teorema inquisitorio portato avanti dai pubblici ministeri Marini e Ionta. Un teorema inquisitorio che ci vuole TUTTI criminalizzati.

Questo secondo sciopero della fame differisce dal precedente non solo per le modalita' piu' estreme con cui verra' realizzato ma anche perche' frutto di una scelta lucida e non dettata dall'emotivita'.

Diffido chiunque dall'utilizzare la mia lotta in termini democraticistici od umanitari. Essa e' e rimarra' solo la lotta di un individuo non addomesticabile contro le menzogne e la sete di vendetta del potere.

Salvatore Gugliara


Lampi

E' stata fissata la data dell'udienza preliminare dal Giudice per le indagini preliminari Claudio D'Angelo, per decidere l'eventuale rinvio a giudizio dei 68 indagati richiesto il 20 giugno dai Pm Marini e Ionta. L'appuntamento è per Martedì 10 dicembre 1996 alle 9,30 a Roma, presso il Tribunale di piazzale Clodio, aula Occorsio, piano terra.

Intanto si sono svolte presso il tribunale della “libertà” le udienze per esaminare i ricorsi presentati dagli avvocati degli anarchici contro i provvedimenti di custodia cautelare. Ancora non sono state rese note tutte le sentenze relative. Finora solo due ricorsi sono stati accolti: quello di Francesco Berlemmi, scarcerato Giovedì 10, e quello di Stefano Moreale, liberato la sera di Venerdì 11. Gli altri compagni sono quasi tutti detenuti presso il carcere di Rebibbia.

La sezione maschile si trova nel nuovo complesso di via Raffaele Majetti 165, 00156 Roma; quella femminile in via Bartolo Longo 92, 00156 Roma.

Ricordiamo a chi scrive in carcere di indicare sempre il mittente sulla busta se vuole ricevere risposta e di non inviare all'interno della lettera francobolli o denaro in contanti.

&

Marco Avataneo, lo squatter incarcerato all'inizio di Agosto per l'azione colorante contro il Duomo di Torino, condannato a 16 mesi, è stato liberato Martedì 15 ottobre. Bentornato.


Noccioline

Della mia infanzia i ricordi più belli sono naturalmente quelli legati ai giochi. Accanto al pallone, le macchinine, le pistole, i soldatini o le fionde, un posto non trascurabile era occupato dalle figurine dei calciatori, messe in commercio ogni anno all'inizio del campionato da una nota ditta modenese. A me le fece conoscere un cugino che mi regalò una sua vecchia collezione quasi completa, quella che vedeva il Cagliari campione d'Italia. Il destino istituzionale delle figurine era infatti questo, venir raccolte e poi appiccicate su un album che quasi sempre finiva dimenticato in qualche cassetto o gettato nella spazzatura. Io, come la stragrande maggioranza degli altri bambini, capii immediatamente qual era in realtà il loro valore d'uso, e le staccai una ad una. E cominciai a giocare.

Con tutte quelle figurine, divise per squadre, potevo organizzare singole partite, anche interi campionati. Le modalità delle partite cambiavano di volta in volta, a seconda delle circostanze. Ovunque andassi me ne portavo sempre un po' con me, sicuro di non annoiarmi: mi bastava un tavolo, un letto o pochi metri quadrati di pavimento. Più tardi avrei cominciato anche a comprarle, scoprendo i molteplici usi delle figurine in eccesso. Oltre ad attaccarle sui libri o sui banchi di scuola, sui muri o sui sedili dei bus - effimere tracce del mio passaggio - mi servivano egregiamente come segnalibri, ma soprattutto il loro scambio favoriva l'incontro con nuovi amici, cioè con nuovi giocatori, ed era una continua occasione di divertimento.

A farmele tornare in mente è stata la notizia data qualche giorno fa in televisione. Le figurine hanno i giorni contati, tra non molto verranno sostituite da cd-rom. Niente più pacchetti di figurine tenute insieme da un elastico che spuntano dalla tasca dei bambini, niente più pomeriggi passati in cortile o per strada sfidandosi a far saltare le figurine, niente più scambio di giochi a colpi di “ce l'ho, ce l'ho, manca”. Anche qui, come altrove, sono arrivate le noccioline tecnologiche. Con la scusa che questi cd-rom conterranno tutte le informazioni possibili e immaginabili sui singoli calciatori (di cui a noi bambini non è mai fregato niente), la ditta produttrice svuoterà il portafoglio dei genitori, i computer avranno un motivo in più per essere in ogni casa, i bambini cominceranno a prendere dimestichezza con lo strumento che assorbirà tutta la loro vita, inchiodandoli davanti allo schermo domestico per la gioia dei loro genitori che non li sapranno più a zonzo, chissà dove chissà con chi.

A.P.


Una notte lunga dieci anni

A forza di fare calcoli si finisce per non vivere neppure un giorno. Un momento, un lampo, a volte sfugge ai recinti delle esistenze addomesticate, infinitamente più intenso dei tempi organizzati del lavoro e del riposo. Le passioni d'amore ad esempio sbocciano impetuose e sfuggono alla contabilità ed alla spiegazione, ai numeri ed alle parole. Se non siamo noi capaci di calarci con intensità nella dimensione del presente della nostra vita, per lo meno non rinunciamo quando è essa stessa a chiamarci.

Così ha fatto Mirko. Non volendo regalare alla morte altri attimi aspettando che questa se lo prenda tutto intero, ha vissuto una notte d'amore, una notte che le regole ed i calcoli gli avrebbero impedito di vivere. Mirko ha ventun'anni, abita a La Spezia, dove stava effettuando un programma di recupero in affidamento sociale presso una comunità per tossicodipendenti, un modo per uscire di cella nel tentativo spesso inutile di riprendersi la vita. Ma, visto che la comunità non è che un'altra prigione, ha preferito ad una obbediente sopravvivenza il piacere di una notte d'amore, un fatto grave e irrimediabile nelle logiche di chi gestisce queste galere nel nome del prossimo. Così a Mirko è stato revocato l'affido sociale ed è tornato in galera, quella vera, a scontare dieci anni, dieci anni per una notte d'amore.

Sì, perché invece chi distribuisce le punizioni, chi divide i buoni dai cattivi, la contabilità la conosce bene, sa quanto un granello possa spostare l'ago della bilancio, come una virgola fuori posto possa cambiare la vita di una persona. Questi signori, nonostante tutti i loro calcoli, le montagne di rassicuranti parole, gli argini ai cuori non sono ancora riusciti ad erigerli, tutta la gioia dell'amore e della rivolta è sempre lì, e potrebbe sommergerli in ogni istante.

Pixie


Pigne e cardellini

Per la Madonna, che shock!

L'Olanda è sconvolta. Un vescovo (monsignor Muskens) ha affermato che per chi soffre la fame non è peccato rubare un panino dal fornaio. “Eh già - replica il primo ministro - così si offendono i poveri: possibile che possano solo rubare? Io arrivo da una famiglia povera e mai ci ho pensato” (beh, certo, non c'è paragone tra il reddito di un primo ministro e quello di un borseggiatore). Il presule si difende dicendo che in Olanda i poveri aumentano, lo stato sociale subisce tagli sempre maggiori, la ricchezza è sempre più concentrata, accusa il neoliberismo e conclude dicendo “la vita è più forte della legge”.

Ma sant'iddio, monsignore, venga in Italia che la eleggiamo al posto di Bertinotti. Lui proponeva di tassare i Bot, lei si espone con l'esproprio.

Pensi, monsignore, che qui, proprio questa settimana, hanno arrestato e condannato ad un mese di carcere quattro polacchi che raccoglievano pigne (valore commerciale, lire ottantamila) in una tenuta a Castel Porziano, vicino alle tenute del Presidente della repubblica, e che a Palermo lo stesso è capitato a due giovani fratelli che avevano catturato sette cardellini che avrebbero voluto rivendere per sfamare la famiglia.

Ci vorrebbe proprio uno come lei, solo che poi potrebbe sorgere qualche problema. Lei non specifica bene di che fame parla: sa, “non si vive di solo pane”, “il pane e le rose”, “gli ultimi saranno i primi”, eccetera eccetera.

Si comincia rubando per fame, poi ci si accorge di tutto quel bendidio che ci circonda, ci si mette in testa strane idee, magari si pensa di poter vivere senza poliziotti, senza giudici, magari poi a qualcuno è già venuto in mente di rubare senza che glielo suggerisse lei e conclude di non aver neanche bisogno dei preti... Forse, monsignore, è meglio se va in Sudamerica, magari in Chiapas, qui da noi in Occidente le teorie di liberazione non hanno troppo successo. Là potrebbe diventare una star anche per i fan nostrani. Riverisco.

Mario Spesso


A ciascuno il suo niente

Si fa presto a dire individuo. A uno interessa solo la propria individualità, l'altro dice che bisogna partire da un piano individuale, certo, ma per arrivare ad una dimensione collettiva, l'altro ancora afferma che il discorso rivoluzionario è un discorso di comunità, che il singolo è un'astrazione impotente, poi c'è quello che fa il dirigente industriale e allora è individualista, infine c'è quell'altro che, non sapendo casa fare della propria vita, dubita, qualunque cosa succeda, lui dubita. Quante discussioni, accese e sorde, su questo argomento. Lì c'è Stirner e là c'è Bakunin, qui c'è l'anarchismo sociale mentre là dietro si annidano il nichilismo e il vuoto ribellismo. Poi Nietzsche e il superuomo, Libero Tancredi e il fascismo. Abbellimenti del vuoto, li chiamava Platone. Ho fondato la mia discussione su nulla, versione ermeneutica dell'urlo stirneriano.

Il territorio è troppo ingombro per cercare uno spazio al pensiero, per sviluppare una riflessione che dalle etichette sbrigative giunga al concreto della vita, dove davvero si gioca la partita. Trascurare i dettagli e farsi largo con un gesto impaziente - ecco il metodo.

Si scoprirà che da inventare c'è ben poco, se non l'uso da fare delle intuizioni teoriche e pratiche che vengono dal passato. Scegliere come impiegarle nella vita, come combinarle in nuove miscele esplosive. L'intelligenza della sperimentazione consiste nel far giocare assieme elementi che sono sempre stati separati, toglierli dalla galera del frammento per coglierne appieno le potenzialità.

Al di fuori dei dibattiti logori e delle sistemazioni accademiche, sono almeno centocinquant'anni che la teoria e la pratica della sovversione ci suggeriscono l'importanza decisiva di comprendere l'esistenza individuale nella sua concretezza, cioè nella sua totalità. Sono le rivolte concrete degli sfruttati che hanno bruciato le basi su cui erano fondate le costruzioni ideologiche del potere.

A metà del secolo scorso il desiderio di rovesciare il mondo mette in questione la divisione tra l'io e la realtà circostante. Stirner dice che non esiste unico senza proprietà, cioè che non esiste l'individuo senza il proprio mondo, senza i propri rapporti; la proprietà è l'aver luogo stesso dell'esistenza del singolo, quindi la sua capacità di comprendere e di agire, le sue passioni e la sua forza. Affermare l'individualità significa, per ciò stesso, cambiare il mondo. Tutto questo - aggiunge - non può essere espresso in concetti, occorre realizzarlo nella vita perché è la vita di ciascuno l'unico vero contenuto di una teoria. Contemporaneamente, un percorso sotterraneo che da Hšlderlin porta a Lautréamont fa esplodere l'esigenza di trasformare l'arte da esercizio di contemplazione in mezzo per modificare se stessi e il proprio ambiente. L'ambiente, con Fourier, smette di essere uno spazio neutro e diventa il luogo del desiderio, realtà inseparabile dagli stati d'animo e dai rapporti tra gli uomini. Intervenire su un ambiente significa cambiare profondamente se stessi. La separazione cristiana e cartesiana tra l'interiorità e l'esteriorità viene liquidata dalla passione per un nuovo modo di stare insieme. Con l'autorità crolla la menzogna della proprietà privata che fa dell'individuo una realtà mutilata e rachitica a cui è stato sottratto un mondo. Bakunin parla della rivoluzione del 1848 come di “una festa senza principio e senza fine”, portando sul campo dell'azione insurrezionale la critica stirneriana del sacrificio; agli insorti di Dresda, il rivoluzionario russo consiglia di mettere i quadri dei musei sulle barricate per scoraggiare l'avanzata dei soldati, intendendo magnificamente il senso del rifiuto dell'arte come sfera separata. Gli attacchi contro la proprietà, la distruzione delle statue, la rivolta aperta contro il governo e il tentativo di cambiare l'assetto di una città rappresentano - con la Comune di Parigi - l'azione storica di questa teoria pratica. E siamo solo nel 1871. Da quella data ci separa più di un secolo di esperienze teoriche e pratiche in cui la liberazione degli individui è apparsa nella propria concretezza.

La critica della merce e l'azione degli anarchici espropriatori, la riflessione malatestiana sulla necessità dell'insurrezione e i soviet russi, dada e il movimento dei Consigli in Germania e in Italia, il primo surrealismo e la rivoluzione spagnola, la negazione della burocrazia e la Comune di Budapest, la critica dell'urbanistica e la rivolta di Los Angeles, alcuni contributi dell'Internazionale Situazionista e il maggio francese, il rifiuto del lavoro e le esperienze più estreme del settantasette in Italia. Episodi incompiuti - a cui spesso è mancata la coscienza teorica della propria pratica - che pretendono ancora la propria realizzazione.

Ma, come sempre accade, quando le idee non diventano realtà marciscono e vanno a finire nel paniere avversario. Così, tutta la filosofia del Novecento - da Husserl a Heidegger fino ad oggi - ci racconta che l'uomo è il proprio mondo, che il soggetto di Cartesio non esiste, che comprendere, interpretare ed agire sono la stessa cosa - insomma tutto quello che le barricate avevano già da tempo insegnato. Però, e qui sta il prezzo pagato, assieme al soggetto cartesiano gli specialisti del pensiero separato ci hanno sottratto anche il chi di qualsiasi discorso rivoluzionario, ci hanno spacciato l'esistenza capitalista come l'esistenza tout court, hanno criticato la ragione tecnica per darci in balìa di un dire poetico purgato di ogni pericolosità. Allo stesso modo, i poeti da settant'anni non fanno che descrivere l'eccesso della vita sulla poesia, il romanzo vive della propria fine e amministra l'esplosione dell'io che già Joyce aveva rappresentato. Dopo tutto, “possiamo tenervi buoni per altri cent'anni”.

Si accumulano studi sul passato, ci si sofferma su dettagli storiografici, si scimmiottano le nuove mode culturali e sempre più sfugge il senso sovversivo di una conoscenza inseparabile dall'uso che se ne fa. Perché è proprio qui il punto: sapere cosa farne. Altrimenti, si continuerà a contrapporre il singolo agli altri, a parlare di liberazione solo individuale (senza accorgersi che quel solo è grande come l'universo), a separare i vari aspetti del dominio (lo sfruttamento del tempo, il controllo dello spazio, il condizionamento psicologico, la miseria passionale) e, quindi, quelli della rivolta (l'abbattimento dell'autorità, la distruzione della merce, la trasformazione cosciente dell'ambiente, l'affermazione dei desideri). E allora si può essere individualisti, anarchici sociali, comunisti, acrati, libertari o scettici. Qualunque cosa. A disposizione di ciascuno di noi c'è un intero mondo. Di definizioni e di noia.

Massimo Passamani


Al mercato della delazione

Sono due gli aspetti più ricorrenti nel dibattito sui “collaboratori di giustizia” che sta animando le cronache degli ultimi tempi: le difficoltà nel definire con precisione chi ha il diritto di “vantare” un simile titolo, e l'aumento esponenziale di questi soggetti.

Il primo problema mi sembra sia originato da un vizio di fondo facilmente superabile - in quanto di ordine lessicale - e consistente nell'utilizzo della voce “collaboratore di giustizia”. Definizione roboante che non solo mal si accompagna alla caratura morale di codeste persone, ma che non specifica affatto il loro operato, rendendone difficile un'eventuale catalogazione. Mi sembra invece che l'antico delatore abbia, a questo proposito, qualità descrittive indiscutibili. Dicesi infatti delatore “chi per lucro, per vendetta, per servilismo, denunzia segretamente a una autorità specialmente giudiziaria o politica”. Come si vede le virtù di questo termine oggi purtroppo desueto sono molteplici.

Innanzitutto si indica con precisione e senza falsi pudori in cosa consista questa “collaborazione” con gli organi preposti. Poi non si fa riferimento alcuno a quel sentimento bizzarro che è il pentimento, bizzarro poiché di rado turba i sonni di qualcuno fino a quando le cose vanno bene. E la cosa riveste un'importanza fondamentale, poiché è proprio l'effettiva presenza di questo sentimento ad alimentare interminabili polemiche. Pensate ad esempio a personaggi del calibro di Felice Maniero, o di Giovanni Brusca. Si può discutere all'infinito se meritino o meno lo status di “collaboratori di giustizia”, ma nessuno potrà negare che si tratta di delatori.

Allo stesso modo vi prego di notare come nella definizione di delatore nulla si aggiunga in merito alla veridicità della denunzia, cioè se i fatti di cui parla siano accaduti o meno. E sull'opportunità di non sollevare questo indiscreto argomento, mi sembra inutile spendere troppe parole, i magistrati non possono che essere d'accordo. Per non andare lontano, la ragazzotta reclutata dal pubblico ministero romano Vanesio Marini per giustificare l'arresto di decine di anarchici, se dichiarata ufficialmente “delatrice” anziché “collaboratrice di giustizia”, potrebbe affrontare ogni processo a testa alta (si fa per dire), senza tema di smentite. Gli anarchici che l'hanno accusata di essere una “falsa pentita” - un errore, poiché una simile accusa potrebbe indurre qualcuno a pensare che i fatti da lei raccontati siano veri e che solo il suo pentimento sia fasullo - nulla potrebbero di fronte a una ragazza che li ha denunciati palesemente all'autorità giudiziaria per scopo di lucro e di vendetta, secondo quanto richiesto a una delatrice.

E questo argomento del lucro rimanda direttamente all'altro aspetto di cui parlavo all'inizio, cioè quello relativo all'incremento del numero dei delatori. Secondo recenti statistiche sono ormai oltre mille e duecento, ed ogni mese si aggiungono venticinque unità in più rispetto all'anno precedente. Questa proliferazione, pari forse solo a quella riscontrata fra i ratti, è legata in realtà a ragioni di mercato. Anche i più digiuni di economia comprenderanno che, con l'aumento della domanda da parte dei magistrati - che senza delatori non saprebbero far avanzare la loro carriera neanche di un millimetro - l'offerta non poteva che subire una notevole impennata. Certo, la mancanza di una seria normativa in materia sta causando non pochi incidenti (l'ultimo dei quali ha coinvolto il capo della Procura di Firenze Pierluigi Vigna, indagato per eccesso di esternazione), ma questi rappresentano gli inevitabili scompensi che bisogna affrontare, se si vogliono aprire nuove frontiere commerciali.

In un paese dove il culto del lavoro è proporzionato al tasso di disoccupazione, in un tempo in cui l'esca di un buon salario e di un impiego onesto spinge persino alcuni anarchici a prestare la propria opera presso fabbriche di armi e case circondariali, mi auguro che nessuno abbia il cattivo gusto di protestare.

Maria Zibardi


Il Lasciapassare

L'esercito italiano è un ferro vecchio e le riforme sostenute a spada tratta dalla sinistra al governo non potranno diventare operative in breve tempo. Intanto resta l'esigenza di rendere utili i giovani che battono la fiacca nelle caserme di tutta Italia. Operazioni come i “Vespri siciliani” o “Fortza Paris”, dopo i primi momenti di gloria rappresentati da irruzioni e violenze nei quartieri poveri, si sono risolte in interminabili e noiosissimi presidi di fronte ai tribunali ed alle abitazioni di sindaci e magistrati. Per ovviare a ciò, da circa un anno i militi italiani hanno anche prestato servizio lungo i litorali pugliesi e siciliani, per arginare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. La discontinua presenza delle vedette in tenuta mimetica non soddisfa però i parlamentari del Polo che, stufi di contarsi le cimici, pensano bene di chiedere l'immediato ritorno dei militari sulle coste con una presenza questa volta permanente. Soprattutto in Puglia, dove orde di albanesi sbarcano portando con sé quintali di povertà.

Il più fervente progressista potrà pure scandalizzarsi, parlare di diritti negati, denunciare una militarizzazione invadente, ma in fondo si sentirà rassicurato: varcare i confini senza permessi e carte da bollo gli rimanda l'immagine di una democrazia violata dall'effrazione di leggi e divieti. La miseria è inoltre pericolosa, può sempre portare colui che la subisce a non rispettare il codice penale. Effettivamente il pio democratico, per risolvere i problemi, preferisce mezzi meno vistosi e più sottili, mezzi che non appaiono autoritari, più adeguati ai tempi.

é questo il senso del decreto legge che concede al clandestino il permesso di rimanere un anno per regolarizzare la propria situazione, se in cambio farà opera di delazione. In fondo, se si viene rispediti a casa dall'esercito si può conservare ancora la propria dignità, e questo né un sincero democratico né un prete lo possono permettere.

Davide


La consapevolezza dell'ignoto

Con la ripresa di Canenero, ne siamo certi, riprenderanno anche gli strali che da più parti, all'interno del movimento, ci sono piovuti addosso. Senza voler qui rispondere agli insulti e alle calunnie che questo settimanale in qualche caso ha raccolto, vorremmo però fare alcune considerazioni su quello che è stato uno dei bersagli prediletti dei nostri critici: la cronaca della rivolta.

Naturalmente sappiamo bene che le nostre parole non stureranno le orecchie a chi non è sordo per natura ma per scelta, oseremmo quasi dire per necessità. Ciononostante presumiamo che fra i nostri lettori ci sia anche chi desidera sciogliere i dubbi che nutre su questa rubrica, anziché coltivarli nel più becero pregiudizio. Vale la pena quindi rammentare quali sono gli argomenti più usati dai nostri detrattori.

Ecco il primo. Accanto a notizie che figurano comprensibilmente in una rubrica così denominata, spesso e volentieri vengono inclusi fatti ed episodi ritenuti infantili e puerili. Passi che consideriate un atto di rivolta il lancio di una molotov contro la sede di un partito politico - ci canzonano i nostri critici - ma come si fa a considerare sovversivi dei vandali che allagano una scuola o il dodicenne che sottrae i soldi dal borsello del genitore per andare a Gardaland?

Il secondo argomento verte sulla dubbia paternità delle azioni elencate. Poiché è inammissibile supporre che siano tutte opere di compagni, ne consegue che potrebbero essere state compiute anche da squilibrati, delinquenti comuni, teppisti, fascisti, mafiosi. Riportarle significa perciò dare una legittimità in bianco a persone che non hanno una sensibilità anarchica, spacciando per rivoltoso chi non lo è.

Con queste premesse, il terzo argomento viene da sé. Questo confusionismo, che mette sullo stesso piano l'insorto con l'insoddisfatto, non può che essere strumentale e mira a diffondere l'ideologia dell'illegalismo secondo cui ogni azione illegale è di per sé sovversiva, senza distinzioni, basta che infranga il codice penale. Cosa questa che rappresenta un'evidente negazione dell'etica anarchica, preconizzante un legame stretto e indissolubile tra mezzi e fini.

Gli anarchici, si sa, sono i rivoltosi per eccellenza. Per loro la rivolta è tutto, o quasi. Hanno vissuto, sofferto, lottato e sono anche morti per vedere il giorno in cui gli sfruttati si ribelleranno agli sfruttatori. Così hanno finito col credere di essere la manifestazione più genuina e più autentica della rivolta: ovvero, l'unica sua manifestazione. Quando vogliono vedere un rivoltoso, questi anarchici si guardano allo specchio. Perché solo chi insorge contro l'autorità consapevolmente, animato da valori di libertà e uguaglianza e dotato di un'etica immacolata, solo costui è un rivoltoso e soltanto la sua azione può essere considerata di rivolta. Gli altri no. Non essendo spronati da un'Idea sublime ma solo dalla noia, dall'insofferenza, dall'angoscia, dal mal di vivere, non sarebbero degni di fregiarsi con quel nome.

Ma la rivolta non riconosce certificati di appartenenza né bandiere dentro cui avvolgersi. Nemmeno la bandiera nera dell'anarchia. Che tra un Durruti e un Franti ci sia un abisso, questo è fin troppo banale. Non a caso la rubrica si chiama “Cronaca della rivolta” e non “Cronaca della rivolta anarchica”. Se abbiamo omesso quell'aggettivo, non l'abbiamo fatto in vista di opportunistiche cooptazioni - per altro ridicole anche solo da supporre - ma per liberare l'energia della rivolta dal peso morto di una interpretazione ideologica univoca. La rivolta di cui qui si parla va intesa non come assennata adesione ad un programma ideale, ma come rottura dell'ordine voluto e imposto dal potere: rottura di un'abitudine, di uno schema, di una convenzione, di un dogma. Una rottura che, se risulta parziale rispetto a una ponderata rivolta anarchica, non per questo ne è la negazione. L'alunno che piscia sui registri scolastici non è il rivoluzionario che spara sul Re, è vero. Ma perché dobbiamo essere proprio noi a dire che non potrà mai diventarlo? Al contrario, ci sembra che gli anarchici abbiano sempre fatto affidamento sulla generalizzazione del virus sovversivo, sulla sua capacità di estendersi per contagio. La rivolta inebria i sensi, eccita gli animi ed ha un sapore indimenticabile: gustato una volta entra nel sangue per sempre. Ma se anche così non fosse, se anche tutti questi sconosciuti - che escono dalla passività per diventare momentaneamente protagonisti della loro vita - finissero poi inghiottiti da un buon posto in banca, perché non dovremmo dare comunque spazio a tutte queste piccole scintille che spezzano, illuminandola anche solo per un attimo, la notte nera a cui ci vorrebbero tutti condannati? Forse la rassegnazione ha invaso il nostro cuore al punto di non farlo battere nemmeno per il bambino che disobbedisce?

Sappiamo bene che, in quanto anarchici, non possiamo dimenticare le nostre facoltà di discernimento. La nostra strada è tracciata, retta come la lama di un pugnale, non dobbiamo che percorrerla fino in fondo. Ma questo non significa che chi non condivide il nostro percorso è un nostro nemico. Si può essere anarchici e sentirsi vicini a chi si ribella pur senza esserlo. Basta che questa rivolta non diventi un mezzo per scalare la piramide del potere.

Quanto poi al dimostrare la paternità di queste azioni, perché dovremmo preoccuparcene? Solo gli sbirri chiedono i documenti d'identità. Hanno bisogno di conoscere chi devono sorvegliare, per difendere l'incolumità della società. é ciò che pensa anche chi, per difendere l'inco-lumità del movimento, vuole sorvegliare chi si rivolta. I poliziotti, quelli di Stato e quelli “anarchici”, non possono che avere in odio l'anonimato. Se non si intende controllare nessuno, cosa importa sapere chi è stato ad abbattere un poliziotto, ad incendiare una chiesa, a saccheggiare un supermercato, a dinamitare una caserma? Per quel che ci riguarda, quando gli autori sono sconosciuti è soltanto l'azione a parlare, la sua poesia. Il resto sono congetture da questurino. Che questo della mancata conoscenza degli autori di un gesto di rivolta sia un pretesto da quattro soldi, è dimostrato dal fatto che un'eventuale rivendicazione non servirebbe comunque a chiarire le cose. “Una rivendicazione non significa nulla, chiunque potrebbe averla fatta”, strillano per attirarsi la benevolenza degli inquirenti quegli “anarchici” che hanno bisogno di vedere i compagni venir arrestati in flagranza di reato per considerarli tali (e poi rinnegarli).

Quanto poi all'ideologia dell'illegalismo, a noi sembra che siano stati i nostri critici a costruirla, per attribuircene la responsabilità e meglio denigrarci. Quando mai Canenero ha sostenuto che basta infrangere la legge per essere sovversivi? Uno stupratore non è un ribelle, né lo è il mafioso. Casomai è stato detto che la tensione di sovvertire il mondo finisce inevitabilmente, prima o poi, col trasgredire quella legge la cui finalità è di proteggerlo. La differenza ci sembra notevole.

In realtà con la “Cronaca della rivolta” abbiamo voluto fare una cosa semplice semplice. Ricordare a tutti, anarchici compresi, che la disobbedienza, l'odio per le uniformi, il disprezzo per le regole, la difesa della dignità, la passione per la distruzione, sono ancora di questo mondo; non sono stati sradicati del tutto dal cuore degli uomini e delle donne ma sono ancora lì, pronti ad affiorare ovunque e in chiunque.

Solo chi pensa che la rivolta consista unicamente nell'affissione di manifesti o nella partecipazione a qualche convegno sulla rivoluzione spagnola può considerare tutto ciò risibile.


Cronaca della rivolta

7 ottobre - Bruxelles. Accoltella un funzionario all'entrata del Ministero della Giustizia. é il terzo nel giro di una settimana.

8 ottobre - Palermo. Un ufficio di collocamento cittadino è rimasto chiuso per l'intera mattinata, dopo che le serrature sono state sigillate con la colla da qualche buontempone.

9 ottobre - Lumio (Corsica). Danneggiata la direzione del Club Mediterranée da una bomba di scarsa potenza. L'azione non è stata rivendicata.

9 ottobre - Roma. Gli vogliono sequestrare le stecche di sigarette di contrabbando e lui, un giovane extra-comunitario, prima di farsi fermare picchia un vigile urbano.

10 ottobre - Benevento. I portoni di un liceo classico sono stati bloccati con silicone e pezzetti di legno.

12 ottobre - Firenze. Un uomo ha tentato di danneggiare con un coltello un dipinto della Madonna custodito in un tabernacolo protetto da un vetro blindato.

13 ottobre - Ossago Lodigiano (Mi). In fiamme i documenti di stato civile e quelli del piano regolatore, gravemente danneggiato lo studio del sindaco. Un simpatico addio all'ufficio anagrafe del paese.

13 ottobre - San Silvestro (Pe). Ignoti hanno forzato il cancello del ripetitore di Mediaset, poi hanno incendiato un veicolo di proprietà dell'azienda di Berlusconi. Da diverso tempo gli abitanti della zona stanno protestando contro i numerosi ripetitori installati in paese.


Feuilleton

Da questo numero prende il via una rubrica particolare.

Come abbiamo avuto modo di dire più volte, l'inchiesta condotta dalla magistratura romana contro decine e decine di anarchici si avvale delle dichiarazioni di una giovane “collaboratrice di giustizia”. Sull'attendibilità di questa ragazza ci siamo già espressi, ciononostante riteniamo risulti più esplicativa di qualsiasi altra considerazione la pubblicazione di alcuni stralci dei suoi interrogatori, che ora sono a nostra disposizione.

L'assurda costruzione delle calunnie che vi sono contenute e che ci vengono rivolte è talmente palese che lo stesso Marini si è ben guardato dal procedere ad ulteriori incriminazioni, facendo attenzione a non menzionare troppo le accuse rivolte da questa sedicente pentita contro gli anarchici.

Non avendo nulla da nascondere, ci teniamo a pubblicarle noi, queste terribili accuse, e senza commento alcuno. Le parole in certi casi si rendono davvero inutili.

(dal verbale dell'interrogatorio di Namsetchi Mojdeh, 5 luglio 1995)

“Dopo l'arresto di Tesseri del 19 settembre 1994, io mi sono recata spesso a Rovereto per andare a trovare Tesseri in carcere. In queste occasioni ho frequentato con una certa assiduità il clynamen di Rovereto. Qui, mentre si commentava la notizia dell'uccisione di una guardia giurata avvenuta a Lucca e pubblicata sul settimanale Canenero del 28 ottobre 1994, nella parte denominata “cronaca della rivolta”, ho appreso che a compiere l'omicidio della guardia giurata era stato Alfredo Bonanno insieme ad altri compagni... Non ricordo ora se il nome di Bonanno Alfredo è stato fatto con riferimento a quell'omicidio avvenuto il 19 ottobre 1994, di cui si parla nel settimanale Canenero del 28 ottobre 1994, o anche con riferimento agli altri due “poliziotti privati” uccisi nella stessa zona di Lucca.

Voglio anche precisare che tutte le pubblicazioni di Canenero che risultano acquisite agli atti, sono state da me personalmente consegnate ai carabinieri. Io le avevo con me nella mia ultima abitazione di via Ludovico Pavone. Voglio precisare altresì che il settimanale Canenero è una pubblicazione ad esclusivo uso interno all'area anarchica...”.

A suivre


A Monaco (Germania) si è formato il “Comitato di Solidarietà con l'Italia”.

Le funzioni di tale comitato sono di natura tecnica: si tratta di un punto di raccolta e di diffusione - per i paesi del Nord Europa - del materiale riguardante l'azione che la magistratura sta conducendo contro gli anarchici in Italia.

Il comitato dispone di un archivio e di traduttori di lingua spagnola, italiana ed inglese. Invitiamo pertanto tutti compagni ad inviare le informazioni (dall'esterno e dall'interno del carcere) al seguente indirizzo:

“Solidaritätskomitee Italien”
c/o Infoladen
München
Breisacherstr. 12
D - 81667 München


Troppe parole

Tempo di silenzi o di parole? Di sicuro preferisco i primi alle seconde.

Però l'ansia principale di questo scorcio di secolo sembra essere il comunicare con l'altro, o con gli altri, trovare a tutti i costi nuove forme di linguaggio - più veloce e funzionale - e luoghi comuni di appartenenza ad esso. Seppellirsi sotto un'asfissiante verbosità.

Ed è un'ansia universale quella che percorre l'intero pianeta, con l'illusione di colmare lo spazio che la perdita della preziosa funzione della parola, un tempo veicolo di idee e di azioni capaci di infiammare i cuori, ha lasciato al troppo ed all'inutile.

E di indigestione di vuote parole si tratta, fino ad arrivare al punto di non capirci più niente in mezzo a tutto questo assordante chiacchiericcio.

Rompendo il sacro silenzio delle cattedrali e dei conventi, la Chiesa - in codesto caso nelle vesti dell'Opus Dei - ha scelto oggi di adeguarsi ai tempi. Recentemente la potente società fondata dal sacerdote spagnolo Maria Escriva de Balaguer ha annunciato un progetto innovativo che entrerà nell'austero ateneo cattolico della Santa Croce a Roma. Trattasi brevemente di un corso di laurea in scienze di comunicazione che si avvarrà dei più sofisticati sistemi multimediali per formare, con il supporto tecnologico della Apple, figure altamente professionali che divulghino la dottrina cattolica utilizzando nuovi strumenti di comunicazione. Sicuramente un passo in avanti per chi si è dato la faticosa missione di salvare le anime, distribuire penitenze su tutto il globo e fare ordine nei propri affari.

Mi sorge il dubbio però che con questo innovativo sistema tecnologico tali signori tentino di fermare l'irreparabile: il silenzio di Dio, la parola divina che si è ammutolita, non si rivolge più agli uomini, alla sua mancanza bisogna sopperire con il ronzio di un computer. Una questione di effetti speciali, miracoli della tecnologia davanti ai quali anche le preghiere ed i salmi diventeranno inutili orpelli.

E per rimanere nel mondo della parola, un fatto di ordinaria idiozia: la “maratona oratoria”. é l'ultimo spettacolo imbastito dai Club Pannella per sostenere i loro 20 referendum. I professionisti della politica-spettacolo danno un'ennesima dimostrazione della loro efficace buffonaggine, o almeno ci provano. Ottanta ore di comizio ininterrotto per spiegare l'utilità della loro campagna referendaria e raccogliere fondi, ecco a quale esorbitanza di inutili parole è giunta il 9 ottobre questa maratona.

I radicali, se non ci fossero bisognerebbe inventarli. Qualcuno potrebbe commentare benevolmente questa iniziativa, convinto del contributo indispensabile che i “libertari compagni radicali” portano nell'arena della politica. Infatti eccoli lì, utili idioti che indorano la pillola amara della rassegnazione e della servitù con un fiume di chiacchiere.

Storie di preti, computer miracolosi e spargimento di saliva.

Signori, vi prego, un po' di silenzio.

Tempesta


A Silvio

Cordoglio. Lacrimucce. Rimpianti. é morto Silvio Piola, il più grande cannoniere italiano di tutti i tempi, colui che portò la squadra nazionale alla conquista del campionato del mondo con le vesti brune, col fascio littorio dipinto sul petto, con le sue incredibili “rovesciate”, col fascino tutto militare di un calciatore professionista. Le sue pedate hanno fatto sognare milioni di spiriti patriottici. Come un generale alla conquista degli agognati allori della gloria nazionale e della notorietà. Anche se, a dire il vero, ce lo dipingono come un personaggio schivo, taciturno, estremamente elegante nella sua umiltà. Tutto questo è un grande patema. Vale la pena spendere due parole non sull'uomo, che senza un pallone fra i piedi era sicuramente poca cosa, ma sul ruolo che ricopre una miseria come lui in una società di idioti come questa. Ovviamente il calcio, come tutti gli sport esaltati dall'autorità e confinati nel cimitero dei miliardi e delle regole, è una delle palestre di consenso a cui la politica statale non potrebbe sicuramente rinunciare per non turbare il suo attuale “ecosistema”.

Il gioco, l'appassionata concessione di se stessi ai non-luoghi della fantasia, muore infatti laddove inizia ad esser preso per mano dall'autorità, che lo declassa a sport, a competizione, a gara di merito.

Lo sport è una fede, proprio come la religione; il tifoso serio accoltella, uccide, si sacrifica economicamente e fisicamente, ingiuria il diverso, è un credente.

é necessario allo Stato quasi quanto un religioso. Ha decine di icone, come un cristiano. Vive di ciò che lo Stato gli propina e non si accorge di vivere nell'ombra delle proprie volontà. Gli è indispensabile muoversi nel mucchio, come un comunista. Sicuramente rimpiangerà Silvio Piola.

Gli individui che riconoscono il valore assoluto della fede sono indispensabili all'autorità. La fede è una delle negazioni dell'individuo. Sicuramente chi si sottomette alle regole dello sport o della religione non farà fatica ad adeguarsi a quelle del Governo, il principio è lo stesso. Individui quindi dediti alla ricerca delle proprie rivincite in quei millimetrici spazi concessi loro da chi comanda.

Silvio Piola era un ministro del calcio, uno di quei fastidiosi e insostituibili personaggi che l'autorità porta ad esempio, alla ribalta della propria celebrazione.

Il vescovo del gol. Un ruolo importante. Un trascinatore di pecore.

Gli stadi pieni sono un po' come le urne delle elezioni, le campagne abbonamenti come i voti. Niente di nuovo, quindi, lo spettacolo continua. Ma non per Silvio Piola.

Il notturno


Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto...

Ernesto “Che” Guevara
Guerrilla
Mondadori, Segrate 1996
pagine183, lire 9000

l mercato editoriale italiano - come avrà notato chiunque abbia avuto la sventura di entrare negli ultimi tempi in una qualsiasi libreria - è saturo ormai di libri sulle gesta ed il pensiero del comandante Che Guevara. Dalla primissima infanzia alla morte in Bolivia, tutto è stato scritto, ogni momento è stato scandagliato. Come non ricordare Mio figlio il Che dell'inconsolabile Ernesto Guevara Lynch - il padre -, le interviste alle varie mogli, alle figlie, le toccanti memorie di Alberto Granados - l'inseparabile compagno di viaggio - e quelle dei compagni sulla sierra?

L'ultima puntata è questo Guerrilla, un tascabile Oscar Mondadori col bel faccione-manifesto del Che sulla copertina. Una patacca, niente di nuovo: non si tratta di altro che del trito manuale La guerra di guerriglia, diffusissimo in Italia ed ancor più in America Latina, trent'anni fa. La Mondadori sfrutta il filone, sì, ma pudicamente: Guerrilla è nome molto più esotico e un poco meno inquietante, e poi lo sguardo intenso del Che garantisce le vendite.

Ecco, questo pudore mi sembra che ci possa dire qualche cosa in merito alla resurrezione nei cuori dei giovani della sinistra - e sulle loro magliette e sulle loro bandiere - del barbutissimo guerrigliero di Rosario, obliato fino a pochi anni fa.

Guerrilla: nome che non evoca neanche più echi di spari lontani, in un altro continente. Solo il volto del guerrillero eroico rimane nelle memorie, solo lo spettacolo del sacrificio. Il foco guerrillero - la teoria che propugna Che Guevara in queste pagine - fa parte dei sogni definitivamente naufragati nell'immenso mare latinoamericano; i dieci, cento, mille Viet-Nam da creare sono rimasti nel cassetto di qualche politico rivoluzionario e la rivoluzione continentale ancora aspetta tempi migliori.

Non è un caso allora che lo spettacolo della rivoluzione tropicale ed i suoi cantori ritornino di moda dalle nostre parti. Qualsiasi sommovimento sociale lontano nel tempo - la sierra e i barbudos - o nello spazio - il Chiapas di Marcos oggi come il Nicaragua quindici anni fa - non possono che essere ben visti.

La rivoluzione deve essere sempre e comunque lontana - possibilmente sotto le palme. Poi ci servono i campesinos - i guajiros, nella versione cubana -, ci serve la sierra, ci serve la United Fruits e qualche dittatore di provincia.

E se dalle nostre parti sono merce rara, non c'è problema. I poster e le magliette del Che abbondano e sognare le rivoluzioni, si sa, è quasi meglio che farle. E intanto che sognamo, non dimentichiamoci di dare il nostro voto a Rifondazione.

S.V.

 

Gianfranco Bertoli
Storia di un terrorista.
Un mistero italiano
Emotion/Tracce, Milano 1995
pagine 80, lire 20.000

Vomitevole. Un'operazione davvero vomitevole, che mi ha portato dall'incredulità, al disgusto, alla rabbia. Di già il titolo e la perla del sottotitolo - degni di un libro di Enzo Biagi - per non parlare del ritratto di Bertoli in copertina, mi sembrano più che significativi.

Ma partiamo. Si comincia con la nota di un'azienda - che presumibilmente ha finanziato la stampa - la quale ci informa di produrre sedie per ufficio e di essere nello stesso tempo impegnata nell'aiuto verso “la parte più sfortunata e meno difesa della società”, perché si possa procedere, assieme a tutte le “persone con disagi”, verso “un mondo più giusto e più umano per tutti”. Si continua con una “nota del curatore” (Pino Bertelli) in cui subito si afferma che il libro “non è solo la storia di un terrorista, di un amico, di un compagno di strada...”, e di seguito - in un'unica pagina, a poche righe di distanza - si sostiene: prima, che “uccidere un Re non è assassinare un uomo! ma liquidare un emblema di oppressione, di violenza, di rapacità...”; dopo che uccidere (chi, un re o un uomo qualsiasi?) è sempre “un abbassamento spirituale dell'amore”. Che colpire un responsabile del dominio e dello sfruttamento non sia uccidere un uomo, ma attaccare un simbolo, lo dicevano le Brigate Rosse. Che ogni uccisione (anche di un re?) sia un “abbassamento eccetera”, lo dice il Papa (il quale subito dopo difende la pena di morte). Ora, scritto da Bertelli, tutto questo non mi stupisce. Non mi stupisce perché più volte costui ha fatto sfoggio di truculenza “rivoluzionaria” (teste di padroni appese ai pali, oppure utilizzate come concime per la pianta della libertà) e allo stesso tempo ha scritto in favore di Cassola e della “rivoluzione disarmista”, attaccato con ferocia la religione, e insieme collaborato con i missionari, elogiato la rivolta contro la garrotta della giustizia e accolto articoli di magistrati sulle riviste di cui è redattore.

Fino ad ora pensavo fosse soltanto uno sciocco. Ora no, e per quanto spiacevole mi sembri, vi dirò tra un po' il perché. Ancora avanti, c'è una prefazione di Angelo Rizzo, uno dei responsabili - credo sia uno psicoterapeuta - del centro Interventi motivazionali Dardo. In essa si parla - a proposito del gesto di Bertoli - di “devianza”. Si dice che “il detenuto è e resta una persona, non solamente una violazione del codice penale” (non solamente, ma anche, e cioè il codice penale è necessario); che “dalla galera sono usciti anche dei presidenti” (quali, quelli la cui uccisione non sarebbe, per il compare Bertelli, un assassinio, bensì la liquidazione di un emblema di oppressione?); che “attraverso il carcere, un detenuto dovrebbe avere la possibilità di riscattarsi” (questo ormai non lo sostiene nemmeno il più imbecille dei garantisti).

Il libro procede con una autobiografia di Bertoli. Su quello che egli scrive non voglio, per mille ragioni, esprimermi. Sono valutazioni sue che non mi sento di commentare. Dico solo che mi sembra molto triste il fatto che lui stesso definisca “terroristico” il suo gesto, dopo aver scritto per anni, e giustamente, che terrorista è lo Stato e chiunque vuole conquistare e mantenere il potere - non chi vuole opporsi all'autorità con la rivolta e con la forza, per quanto tragiche (e quindi erronee, e quindi dolorose) possano essere le conseguenze delle sue azioni. Nemmeno la bomba al teatro Diana fu terroristica. Nessun errore e nessuna leggerezza, per quanto lacerante sia il loro peso, possono portare un anarchico ad accogliere le ragioni (in questo caso il concetto di terrorismo) dei padroni del terrore.

Dulcis in fundo, il testo si conclude con una postfazione del dottor Rinaldo Merani, magistrato di sorveglianza. Proprio così. Costui, dopo essersi chiesto come mai ci sono individui i quali si trovano meglio in carcere che fuori (il che, evidentemente, la dice lunga sulla natura di questa società di cui il magistrato progressista è guardiano), afferma che per cambiare c'è bisogno del contributo di tutti. Anche di Bertoli, “che pure si era lasciato scivolare così lontano”. Di tutti - aggiungo io - anche della cara azienda che produce sedie per ufficio.

Lasciando perdere Angelo Rizzo, che per il lavoro che svolge è un vero e proprio poliziotto sociale, come mai Bertelli, cioè un libertario, uno che si definisce “compagno” e continua a collaborare con la stampa anarchica, si è prestato ad una simile operazione? Perché dà in pasto un anarchico, un uomo offeso e provato, a recuperatori e giudici, a giornalisti e taumaturghi da quattro soldi? Per immagine, per una piccina carriera o cos'altro? Perché una tale scelta l'ha fatta una casa editrice “radicale” come Tracce? Non lo so.

Certo è soltanto che il libro e ciò che ci sta dietro (magistrati e imprenditori, giornalisti e “gruppi d'autoaiuto”) è meschino e canagliesco.

Forse non si tratta di sciocchi. Ma di sciacalli.

M.P.


Incontrollabili

Nella notte di venerdì 11, a Teramo, sono stati prima intercettati e poi fermati dalla polizia, tre ragazzi che affiggevano manifesti “Incontrollabili” in solidarietà con gli anarchici arrestati. I tre ragazzi sono stati interrogati e poi denunciati. Fin qui niente di strano, storie come queste accadono spesso.

Quello che mi ha fatto riflettere è il risalto che la stampa locale ha dato alla notizia. Un semplice attacchinaggio in solidarietà è diventato un raid pericolosissimo e soprattutto i tre compagni fermati sono diventati addirittura un “Commando anarchico” da sbattere in prima pagina nel titolone d'apertura di un quotidiano.

Forse nella pacifica e pacificata provincia teramana si ha paura della solidarietà? Solidarietà agli anarchici arrestati che, dopo altri fatti accaduti in città, si sta allargando a macchia d'olio.

Storie come queste fanno solo capire che le azioni di solidarietà devono continuare e soprattutto aumentare di intensità affinché gli anarchici in galera non si sentano mai soli.

A margine dell'accaduto, c'è un fatto interessante. Il fogliaccio teramano nel riportare la notizia ha riprodotto il manifesto integralmente con tanto di immagine. Ogni tanto questi servi prezzolati sono utili a qualcosa.

Orazio


La scienza e il suo patrimonio

Bupropione e fenfluramina. Eccolo qua, il farmaco miracoloso che fa perdere sino a sette chili in un mese. Un dottore genovese preparava e metteva in circolazione nelle farmacie queste favolose pillole dimagranti che hanno fatto la gioia di decine di fanciulle più o meno adipose, alcune delle quali pare ne abbiano risentito: anoressia, problemi cardiaci, paralisi alle gambe. Sì, non sono sintomi tanto strani, trattandosi di normali controindicazioni da anfetamina. Sono stati arrestati in diciassette, tra medici, farmacisti e corrieri, con l'accusa di fabbricazione e distribuzione di specialità medicinali pericolose per la salute pubblica.

All'estero cure di questo genere vengono normalmente somministrate nelle cliniche; qui in Italia, per andare sul sicuro, soldi permettendo, c'è solo un modo (a meno che per anni non vogliate faticare in palestra e starvene a dieta): cocaina e anfetamine a profusione.

Altro spunto. Il presidente della Federazione di sessuologia riferisce che il tasso di fertilità dello sperma maschile è calato del 45% in mezzo secolo e nel futuro prossimo diventerà un bene talmente prezioso da essere utilizzato solo in vitro.

Sul “diritto alla bellezza”, a piacersi, sulla gestione del proprio corpo, ci sarebbero mille cose da dire, a partire dall'ingerenza dello Stato che ci impone la prevenzione di malattie, malesseri e morte (a meno che non sia lo stesso a procurarceli, nel qual caso trattasi di tragica fatalità) attraverso le leggi più assurde: se voglio a tutti i costi dimagrire, perché non posso farlo come e quando voglio, anche a costo di morire? Perché per un pilota di Formula uno è ammesso un tale rischio e per me no? Perché l'anfetamina è pericolosa e lo smog della Fiat che respiro ogni dì non lo è? Perché scopare dove come e con chi mi va è un delitto sotto i 18 anni e dare via il culo tutta la vita è una consuetudine richiesta? Fare sesso liberamente è diventato un rischio mortale, per i cattolici non esiste al di fuori del recinto procreativo.

Nella stessa direzione vanno la nostra morale e le nostre leggi, modificabili quanto le nostre prospettive di sfruttamento: se servissimo magri, la coca ce la darebbero col poppatoio, lo sperma ce lo caverebbero fuori con le tenaglie (nel caso non volessimo venderlo volontariamente), come già succede per gli organi del corpo trapiantabili.

Lo Stato che educa, che protegge, che coltiva, che conserva, che difende... il suo patrimonio umano.

Mario Spesso


Fuoco sul carro funebre

Se fossi un credente - scriveva l'anno scorso nella sua autobiografia - rivolgerei al buon Dio la preghiera di non avere troppa fretta di chiamarmi a sé”. Ma il buon Dio è impaziente e geloso, si sa, e già da qualche giorno sta godendo della sua compagnia. Eh sì, perché Ugo Pecchioli era un credente di quelli seri. Amante della montagna, ha scalato, gradino dopo gradino - dalla resistenza alla segreteria nazionale -, l'apparato del PCI. Un religioso della politica, che ha speso la vita al servizio del partito e a difesa dello Stato e della Patria, tanto da cercare il dialogo con i fascisti, nel dopoguerra. Efficiente organizzatore di corsi di ricamo per giovinette, esaltava la fedeltà coniugale e santa Maria Goretti. Schivo e silenzioso, fedele ad ogni “svolta” del partito e ad ogni dirigente, da Togliatti a D'Alema, ha fatto il questurino per quarant'anni, applaudendo i carri armati a Budapest, a Praga e a Bologna. Negli anni settanta era l'ombra di Cossiga nell'organizzare la repressione del movimento. é morto un fedele. Il buon Dio gliene renderà merito.


Comunicati

Mercoledì 16 ottobre
SIENA
Proiezione del film “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, alle 21,30 in via Sallustio Bandini 45. Il ricavato della serata andrà ad impinguare le casse del Comitato difesa anarchici.

Giovedì 17 ottobre
SIENA
Proiezione del film “Sacco e Vanzetti” di Montaldo, alle 21,30 in via Bandini 45. Sempre per il CDA.

Venerdì 18 ottobre
SIENA
Cena e dibattito sulle recenti vicende repressive contro gli anarchici, in via Bandini 45 dalle 20 in poi.

TRIESTE
Presidio contro gli arresti degli anarchici. Località Capo di Piazza. Per informazioni: 040/368096 Martedì e Venerdì dalle 18 alle 20.

BOLOGNA
Al Laboratorio Anarchico di via Paglietta 15, Zool in concerto (funky-core) in tuffo dall'Olanda. Alla salute degli anarchici incarcerati.

Sabato 19 ottobre
TORINO
Concerto con Bug (Noise, Bergamo) e Grezzo (Hardcore, Torino). A El Paso Occupato di Via Passo Buole 47, tel. 011/3174107.

TRIESTE
Contro il sequestro giudiziario degli anarchici, presidio in via Dante angolo piazza Repubblica. Cena benefit per il Comitato di Difesa Anarchici in via Mazzini 11 alle 20. Per informazioni: 040/368096 Martedì e Venerdì dalle 18 alle 20.

Domenica 20 ottobre
TORINO
A El Paso occupato, proiezione del film Erazerhead.

Giovedì 24 ottobre
TORINO
Concerto con Lifetime (Usa, hardcore melodico) e Nuvola Blu (Ivrea, emo-core), a El Paso occupato. Distribuzione di Canenero.

Venerdì 25 ottobre
TORINO
Concerto coi Sabot (Usa/Rep. Ceca, Jazzcore), a El Paso occupato. Durante la serata distribuzione di Canenero.

Sabato 26 ottobre
ROMA
Assemblea aperta sulla situazione repressiva contro gli anarchici. Presso il Laurentino Okkupato in via Giuliotti 8.

TORINO
Zool in concerto (Olanda, crossover), a El Paso occupato. Durante la serata, distribuzione di Canenero.

Venerdì 2 novembre
BOLOGNA
Al Laboratorio Anarchico di via Paglietta 15 concerto degli Avatara (punk hardcore) da Aosta. Alla salute degli anarchici incarcerati.


Artisti e centri sociali

Le opere dell'ingegno vanno ricompensate. Lo chiedono alcuni tra i più famosi canzonettisti e cantautori italiani a proposito dei mancati introiti da parte della Siae nei cosiddetti centri sociali e nelle associazioni di volontariato. L'appello, firmato da gente del calibro di Lucio Dalla, Gino Paoli, Raul Casadei, Bruno Lauzi, ha lo scopo di protestare contro l'art. 7 del decreto legge 439 (in discussione al Senato) che prevederebbe l'esclusione del compenso dovuto agli autori per l'utilizzo di opere dell'ingegno nei suddetti luoghi. Questo, dicono tra l'altro, renderebbe legittima la pirateria (contro la quale, ricordiamo, si stanno battendo da tempo altri geni come il regista Salvatores).

E l'impegno civile dove lo mettiamo? Si vogliono penalizzare i giovani creativi che liberamente si aggregano e svolgono un determinante compito di recupero e di assistenza verso le fasce più deboli della popolazione?

Sì, proprio così. D'altronde, se non è per fornir loro un adeguato trampolino di lancio verso nuovi settori commerciali, la collaborazione tra artisti e gestori della socialità si rivela per quello che normalmente è: un business. O pensate che Casadei abbia suonato al Leoncavallo per la gioia di trovarsi tra compagni rivoluzionari?

In ogni caso, possiamo tranquillizzare i sinistri cantautori: a El Paso occupato, come in altre decine di posti, case e sedi (covi?) si spaccia da anni materiale musicale ed artistico, si producono dischi, libri e cd, si organizzano con successo concerti e proiezioni di film senza nulla dare né alla Siae né allo Stato. Rende bene, soddisfa e non abbiamo perciò nulla da preoccuparci riguardo a questo decreto legge. Sono solo fatti vostri, della società civile che vuole vivere in pace con Dio e con gli uomini. Ci hanno anche invitati a parlarne al Salone della Musica a Torino, ma non sappiamo proprio cosa avremmo potuto dirci; noi almeno, non avevamo nulla da discutere.

El Paso Occupato Distr(ib)uzioni.


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