
CANENERO - Casella Postale 4120 - 50135 Firenze -Telefono e Fax 055/631413
Tenuto conto della forma agile del giornale, i contributi scritti non devono superare lo spazio di una cartella, spazio 2. La redazione si chiude alle ore 22 di ogni lunedì, tranne che per notizie dell'ultima ora di particolare rilevanza. Le spedizioni partono mercoledì sera e arrivano a destinazione entro venerdì.
Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n.
18/89 del Tribunale di Cagliari
Giovedì 7 novembre, alle 9.30, si aprirà presso il tribunale di Trento il processo d'appello contro gli anarchici Antonio Budini, Jean Weir, Christos Stratigopulos e Carlo Tesseri, accusati di aver rapinato due banche nel luglio del `94 a Ravina di Trento. Il processo di primo grado era terminato lo scorso 31 gennaio con una condanna a sei anni e mezzo per i primi tre compagni, e a sette anni per Carlo.
Ma la cosa più importante di quel processo fu che per la prima volta fece la sua comparsa Mojdeh Namsetchi, l'ex ragazza di Carlo, le cui rivelazioni furono usate dall'allora P.m. Bruno Giardina per chiedere e ottenere la condanna dei quattro compagni, condanna altrimenti impossibile vista l'assoluta mancanza di solide prove. A questo proposito vale la pena spendere alcune parole per riassumere quanto accadde nel corso di quel primo processo.
La prima udienza dibattimentale si tenne il 13 ottobre `95 di fronte ad un folto pubblico composto da anarchici accorsi da tutta Italia. Stranamente le udienze vennero di volta in volta rimandate, prima al 14 novembre, poi al 12 dicembre, infine al 9 gennaio. Ed è proprio durante quest'ultima udienza che il pubblico ministero Bruno Giardina, dopo aver per tre mesi inutilmente cercato di dimostrare la colpevolezza degli imputati, annunciò l'ingresso in scena della collaboratrice Mojdeh Namsetchi la quale, pochi giorni dopo, si autoaccuserà al solo scopo di far condannare gli imputati.
Ebbene, è ora di dominio pubblico che questa ragazza aveva già confessato di aver preso parte alla duplice rapina di Ravina di Trento nel corso di un interrogatorio rilasciato di fronte al pubblico ministero romano Antonio Marini ben l'11 maggio 1995, cioè cinque mesi prima dell'inizio del processo. Come mai non venne chiamata a testimoniare fin dalla prima udienza? Perché evidentemente i magistrati avevano bisogno di un po' di tempo per costruire il loro teorema accusatorio, per istruire a dovere la loro pupilla. Malgrado le evidenti contraddizioni e assurdità che caratterizzarono la ricostruzione di quelle due rapine fornita in aula da questa ragazza, la corte di Trento non esitò ad obbedire alla più autorevole Procura romana, forse pilotata da qualche altra Procura, e condannò i quattro anarchici.
Un atto dovuto e indispensabile, poiché fu proprio il verdetto emesso dal tribunale di Trento a legittimare come collaboratrice di giustizia la Namsetchi, e a consentire al magistrato romano Antonio Marini di portare avanti la sua inchiesta contro gli anarchici culminata lo scorso 17 settembre con 29 ordini di custodia cautelare e con la richiesta di rinvio a giudizio per 68 imputati. Non a caso fin dalle prime pagine dell'ordinanza di custodia cautelare viene fatto rimarcare come l'attendibilità della Mojdech è stata autorevolmente riconosciuta dal Tribunale di Trento.
Ebbene oggi si torna daccapo. Per la seconda volta le dichiarazioni di questa ragazza - che un anno fa nulla ricordava della rapina cui asseriva di aver partecipato, né del proprio comportamento nel corso della stessa, quando non rammentava nemmeno se inciampando avesse fatto cadere la pistola - verranno ascoltate dai giudici di Trento i quali, per la seconda volta, dovranno decidere se ritenerle valide oppure no. Malgrado in altre vicende giudiziarie sia capitato che il verdetto di primo grado fosse stato ribaltato in appello, non ci facciamo alcuna illusione circa l'esito di questo processo. Sappiamo bene che l'amministrazione della Giustizia mira unicamente alla conservazione dell'ordine sociale, e non di certo all'accertamento di un'ipotetica verità dei fatti. Ed è per questo che decine di anarchici sono oggi nel mirino dei giudici. Colpevoli non già di aver commesso qualche reato, ma di ciò che non hanno mai cercato di nascondere: l'odio per l'autorità e le uniformi, manifestato apertamente con la propria pratica e le proprie pubblicazioni. Ed è per questo e solo per questo che veniamo accusati di costituire una banda armata (cosa per altro assurda per un anarchico).
Quello che vorremmo fosse chiaro a tutti è che ciò che si deciderà il prossimo 7 novembre non è il destino di quattro anarchici, e nemmeno quello degli imputati dell'inchiesta Marini, la cui udienza preliminare per decidere del loro rinvio a giudizio si terrà il prossimo 10 dicembre. Se sarà dato ancora credito alle accuse di questa ragazza, verrà aperta forse definitivamente la strada per reprimere ogni voce che esce dal coro degli apologeti del potere. In altre parole, ciò che è in ballo non è più la libertà di quattro o di qualche decina di compagni, ma quella di tutti. Sì, proprio di tutti, senza distinzioni di area o di appartenenza. Se lo Stato riuscirà ad eliminare alcuni suoi nemici con l'uso di una pentita creata appositamente per l'occasione, nulla gli impedirà di impiegare lo stesso metodo in un futuro più o meno prossimo contro altri suoi nemici.
Malgrado le previsioni non siano affatto favorevoli, non siamo rassegnati. Tutt'altro. Contro il ricatto mafioso lanciato da Marini e Ionta - secondo i quali criticare il potere, presenziare ai processi, o corrispondere coi detenuti, costituisce un oggettivo riscontro dell'appartenenza a una banda armata - il prossimo 7 novembre, come sempre, noi saremo a Trento. A portare la nostra solidarietà ai compagni processati, ma soprattutto ad affermare con voce tonante la nostra libertà di andare ovunque ci pare e piace, di scrivere a chi ci aggrada e di frequentare chi ci pare. Ma questi, sono solo affari nostri?
Alla manovra repressiva messa in atto con gli arresti del 17/9/96, contro il movimento anarchico, noi sottoscritti detenuti anarchici colpiti da questa montatura poliziesca, ribadiamo il nostro punto di vista.
Gli inquisitori Marini e Ionta intendono chiudere la bocca a quei soggetti antagonisti che sulla lotta contro lo Stato e il capitale hanno basato la propria esistenza, ognuno con la propria individualità e indissolubile unicità, ognuno con i mezzi che ritiene più appropriati al proprio esistere. Nell'epoca della pacificazione e del susseguirsi di dibattiti sulla fine dell'emergenza terroristica, la presenza di persone refrattarie all'addomesticamento turba la quiete. Fermare chi rivendica la praticabilità di una vita libera dallo sfruttamento, basata su forme di autogestione e solidarietà reale e sulla libertà dei singoli, diventa indispensabile per uno Stato che assiste impotente a fenomeni di rivolta individuale e collettiva più o meno cosciente.
La ragion di Stato si erge come unico mezzo per garantire i privilegi e l'ordine, e la macchina giudiziaria si mette in moto contro coloro che storicamente si oppongono a qualsiasi dominio, ne tenta di svalorizzare gli intenti sociali come nel caso del movimento anarchico, associandone una organicità organizzativa nel campo criminale e terroristico.
Perciò episodi di rivolta spontanea verificatesi negli ultimi dieci anni, come gli attacchi alla proprietà privata e alle istituzioni dello Stato, nei quali in alcuni di essi sono stati coinvolti dei compagni anarchici ma che per la maggior parte sono rimasti irrisolti, vengono apoditticamente e unidirezionalmente considerati il frutto di un disegno unico attribuito alle pubblicazioni anarchiche più refrattarie, confezionando una banda armata con militanti e redattori.
Lo si evince chiaramente dalla ricostruzione apologetica fatta nell'ordine di custodia cautelare, dove tutto si basa sulle conoscenze, vere o presunte, tra i vari coimputati, sulle diverse forme di solidarietà espresse nei confronti di anarchici imprigionati, dai volantinaggi ai manifesti sui muri, dagli opuscoli informativi alle iniziative pubbliche, fino al sostegno economico ed epistolare verso i detenuti.
In quanto soggetti libertari e anarchici non possiamo che ribadire il nostro totale rifiuto a ingabbiarci in organizzazioni e bande varie che limiterebbero l'individualità del singolo. Il cammino rivoluzionario è la sommatoria dei diversi percorsi individuali per raggiungere la costruzione di una diversa società, e ognuno di noi rivendica il proprio e solo proprio percorso di ribelle.
Noi, estensori di questo scritto, rivendichiamo il nostro essere refrattari a qualsiasi forma di dominio, e la nostra determinazione a costruire un mondo senza Stato né eserciti, carceri e tribunali, senza sfruttamento, dove il lavoro e l'educazione sono liberi, come rivendichiamo altresì la totale estraneità a strutture compartimentate che riproducono esperienze che non ci appartengono in quanto limitanti l'individualità e la potenzialità del singolo.
Ognuno con la propria specificità, con il proprio percorso, con le proprie esperienze, affermiamo la nostra unicità che si esprime con la pratica della libertà e della solidarietà rivoluzionaria verso tutti coloro che ogni giorno, in ogni dove, sono colpiti dalla repressione.
Roma, li 21/10/96
Antonio Budini, Marco Camenisch, Orlando Campo, Garagin Gregorian, Salvatore Gugliara, Francesco Porcu, Paolo Ruberto, Giuseppe Stasi, Carlo Tesseri
L'insufficienza teorica che ha caratterizzato le discussioni assembleari che si proponevano di analizzare i recenti fatti repressivi ha qualcosa di desolante: quando non si è scaduto nella più bieca confusione, si cincischiava brevemente su quei pochi elementi che maggiormente saltavano all'occhio. Se ad esempio, invece di ripetere fino alla nausea che si tratta di una montatura - o simulazione che dir si voglia -, si fosse parlato più semplicemente di un'operazione giudiziaria, il cui modello si presta bene ad un modo di gestire e garantire la legalità più consono alla attuali esigenze del dominio, si sarebbe potuto dare alla riflessione una prospettiva differente.
Ma non è esattamente questo il problema che mi preme affrontare. La mente obnubilata dal pensiero dei propri compagni - chi in carcere, chi in libertà - sommersi dall'offesa delle accuse, che quando non sono mostruose sono semplicemente ridicole, non ha permesso di considerare il ruolo che il fatto repressivo svolge nei confronti degli anarchici non inclusi nel teorema.
La galera non è solo qualcosa che si concretizza nella materialità dei cancelli, delle sbarre, dei secondini e del calcestruzzo; l'intento di chi la predispone è più sottile, perché vuole che si insinui fin nella coscienza dell'individuo. Si comincia col rinchiudere il pensiero negli angusti limiti dell'emergenza: il dominio del fare immediato regna senza incontrare ostacolo alcuno, il progetto, l'azione che desidera trasformare la realtà subisce lo scacco della necessità del reagire; che poi questo agire sia titubante o addirittura inesistente, questo è un altro discorso che tutti dovremmo affrontare. Ecco come le porte del carcere si chiudono dietro le nostre spalle senza che un magistrato si prenda la briga di aggiungere un nome alla lista o uno sbirro bussi alla nostra porta. I convulsi scatti di rabbia come le solenni dichiarazioni di principio e d'intenti fanno presto ad affievolirsi. L'ira è un'erbaccia; l'odio è l'albero diceva Sant'Agostino: è quest'albero che un anarchico dovrebbe coltivare. Bakunin stesso aveva il timore che il lungo periodo di detenzione a Pietroburgo potesse minare l'odio per i suoi oppressori. Senza la costanza dei propri sentimenti e delle proprie azioni contro il potere, la ribellione corre il rischio di diventare chiacchiera, noi i suoi lungimiranti critici ed esegeti. Senza un'analisi adeguata anche l'azione può isterilirsi fino ad una stanca ripetizione.
Per esprimere appieno la propria solidarietà credo si debba farla uscire dal ristretto ambito della carta stampata o della semplice azione di sostegno: la propria rivolta condotta attimo per attimo, la ricerca in essa di maggiore determinazione, stabilire il contatto con chi adesso si trova in carcere perseguendo il proprio gioco con un sorriso.
Davide Donato
Il fatto è che lo Stato non sarebbe tanto malefico se chi vuole potesse ignorarlo e vivere a suo modo la propria vita insieme a quelli con cui va d'accordo. Ma esso ha invaso tutte le funzioni della vita sociale, soprastà a tutti gli atti della nostra vita e c'impedisce perfino di difenderci se siamo attaccati.
Bisogna subirlo o abbatterlo.
Errico Malatesta
Se non fossimo profondamente insoddisfatti di questo mondo, noi non scriveremmo su questo giornale e voi non leggereste questo articolo. é inutile quindi spendere ulteriori parole per ribadire la nostra avversione al potere e alle sue manifestazioni. Ciò che invece non ci sembra inutile è cercare di capire se sia possibile una rivolta che non si ponga apertamente, risolutamente, contro lo Stato e il potere.
La domanda non deve sembrare peregrina. C'è infatti chi nella lotta contro lo Stato non vede che una ulteriore conferma di quanto esso sia entrato dentro di noi, riuscendo a determinare - seppure in negativo - le nostre azioni. Con la sua ingombrante presenza lo Stato ci distrarrebbe da quello che dovrebbe costituire il nostro vero obiettivo: vivere la vita a modo nostro. Se pensiamo di abbattere lo Stato, di ostacolarlo, di combatterlo, non abbiamo il tempo di riflettere su cosa vogliamo fare noi. Anziché tentare di realizzare i nostri desideri e i nostri sogni qui ed ora, seguiamo lo Stato ovunque vada, diventandone l'ombra e procrastinando all'infinito la concretizzazione dei nostri progetti. A furia di essere antagonisti, di essere contro, finiamo col non essere più protagonisti, a favore di qualcosa. Se vogliamo quindi essere noi stessi, dobbiamo cessare di contrapporci allo Stato ed iniziare a considerarlo non più con ostilità, ma con indifferenza. Piuttosto che darci da fare per distruggere il suo mondo - il mondo dell'autorità - è meglio costruire il nostro, quello della libertà. Bisogna smettere di pensare al nemico, a cosa fa, a dove si trova, a come fare per colpirlo, e dedicarci a noi, al nostro vissuto quotidiano, ai nostri rapporti, ai nostri spazi che bisogna estendere e migliorare sempre di più. Altrimenti non faremo mai altro che seguire le scadenze del potere.
Di questi ragionamenti è oggi pieno il movimento anarchico, alla continua ricerca di motivazioni travestite da analisi teoriche che giustifichino la propria assoluta inazione. C'è chi vuole far nulla perché è scettico, chi perché non vuole imporre qualcosa a qualcuno, chi perché ritiene il potere troppo forte per lui e chi perché non vuole seguirne i ritmi e i tempi; ogni pretesto è buono. Ma questi anarchici, avranno un sogno capace di incendiare il loro cuore?
Per sbarazzare il campo da quelle miserabili scuse, vale la pena ricordare un paio di cose. Non esistono due mondi, il loro e il nostro, e anche se per assurdo esistessero, come farebbero a convivere? Esiste un solo mondo, il mondo dell'autorità e del denaro, dello sfruttamento e dell'obbedienza: il mondo dove siamo costretti a vivere. Non è possibile chiamarci fuori. Ecco perché non ci possiamo permettere l'indifferenza, ecco perché non riusciamo a ignorarlo. Se ci opponiamo allo Stato, se siamo sempre pronti a cogliere l'occasione per attaccarlo, non è perché ne siamo indirettamente plasmati, non è perché abbiamo sacrificato i nostri desideri sull'altare della rivoluzione, ma perché i nostri desideri sono irrealizzabili finché esiste lo Stato, finché esisterà un potere. La rivoluzione non ci distoglie dai nostri sogni, ma al contrario è la sola possibilità che consenta le condizioni della loro realizzazione. Noi vogliamo sovvertire questo mondo, al più presto, qui ed ora, perché qui ed ora ci sono solo caserme, tribunali, banche, cemento, supermercati, galere. Qui ed ora, c'è solo lo sfruttamento. Mentre la libertà, ciò che noi intendiamo per libertà, quella non esiste proprio.
Questo non vuol dire che dobbiamo tralasciare di crearci spazi che siano nostri in cui sperimentare i rapporti che preferiamo. Significa solo che questi spazi, questi rapporti, non rappresentano la libertà assoluta che vogliamo, per noi come per tutti. Sono un passo, un primo passo, ma non l'ultimo, tanto meno il definitivo. Una libertà che finisce sulla soglia della nostra casa occupata, della nostra comune libera, non ci basta, non ci soddisfa. Una simile libertà è illusoria perché ci renderebbe liberi soltanto di starcene a casa, di non uscire dai confini che ci siamo imposti. Se non consideriamo la necessità di attaccare lo Stato (e su questo concetto di attacco molto ci sarebbe da dire), in definitiva non facciamo che permettergli di fare il comodo suo in eterno, limitandoci a sopravvivere nella piccola isola felice che ci saremo costruiti. Tenersi distanti dallo Stato significa conservare la vita, affrontarlo significa vivere.
Nell'indifferenza verso lo Stato è implicita la nostra capitolazione. é come se ammettessimo che lo Stato è il più forte, è invincibile, è incontrastabile, quindi tanto vale deporre le armi e pensare a coltivare il proprio orticello. é possibile chiamare ciò rivolta? A noi sembra piuttosto un atteggiamento tutto interiore, circoscritto ad una sorta di diffidenza, di incompatibilità e di disinteresse per ciò che ci circonda. Ma in un simile atteggiamento rimane implicita la rassegnazione. Una rassegnazione sprezzante, se si vuole, ma pur sempre di rassegnazione si tratta.
Come un pugile ormai suonato che si limita a parare i colpi, senza nemmeno tentare di abbattere l'avversario che pure odia. Ma il nostro avversario non ci dà tregua. Noi non possiamo scendere da quel ring e continuiamo a fargli da bersaglio. Bisogna subire o abbattere l'avversario: scansarlo ed esprimergli il nostro disappunto non è sufficiente.
Gruppo anarchico insurrezionalista
E. Malatesta
Ci fanno veramente star male i tentativi, dopo ventidue anni, di rimettere in piedi la figura del bravo commissario ucciso mentre compiva il suo dovere... Di un uomo del genere, perfino il ricordo dovrebbe essere spiacevole per il potere. Ma i tempi cambiano e potrebbero tornare canonizzazioni in altri momenti impossibili - sono passati esattamente due anni da quando scrivevamo queste righe e la storia, puntualmente, si ripete.
A pochi mesi dalla riapertura del processo in Cassazione per l'omicidio Calabresi, ecco farsi avanti il teologo Giorgio Maffei per annunciare l'imminente deposizione presso l'Arcivescovado di Milano della richiesta di beatificazione del fu commissario Finestra. La beatificazione è l'atto con cui il Pontefice della chiesa cattolica permette che un servo di Dio, morto in odore di santità, sia venerato pubblicamente.
Secondo il teologo sarebbe sommamente utile che fosse magnificata a livello ecclesiale la vita di Luigi Calabresi, di giovane cattolico, di fidanzato, di coniugato, di padre, di cittadino, di professionista, e che dopo la sua riabilitazione, ci sia anche un'esaltazione di Calabresi con un movimento promotore di pubblico riconoscimento delle sue eroiche virtù e della sua nobile figura di cattolico. Proprio così. La vedova, donna modesta quanto ingenua, si è detta contraria perché in fin dei conti ci sono tante persone che fanno tutti i giorni il loro dovere.
Eppure, non ci vuole molta fantasia per capire quali fossero le eroiche virtù di questo professionista che andrebbero oggi venerate. In un'epoca di triste mediocrità come quella che stiamo attraversando, Dio e lo Stato non potevano che trovarsi d'accordo nel difendere la memoria di un loro tanto brillante servo. Calabresi esercitava il mestiere più odiato del mondo - quello dello sbirro - come pochi altri; senza esitazioni, falsi pudori, scrupoli morali. Ma ve lo immaginate voi un uomo come lui - addestrato dalla Cia, capace di interrogare i sospettati a colpi di karate e di farli volare dal quinto piano della Questura senza scomporsi - paragonato con gli odierni poliziotti che quasi quasi si scusano per ciò che fanno, piagnucolando di voler solo guadagnarsi la pagnotta?
é il Calabresi inquisitore e crociato, pronto ad uccidere e ad essere ucciso, che Maffei vuole elevare sugli altari con l'aiuto e il sostegno di alcuni intellettuali cattolici vicini al movimento tradizionalista Controrivoluzione - un nome, un programma. Nella speranza dichiarata che la santità di Calabresi venga da tutti imitata ed uguagliata.
A.P.
Ha fatto scalpore, ed ha persino distolto dalle loro ossequiose occupazioni la Lega dei diritti dell'uomo, il partito socialista francese e il sindacato Cgt, la notizia dell'intervento di decine di poliziotti in una chiesa del centro di Marsiglia. La casa del Signore è stata fatta oggetto, infatti, di una rivendicazione quantomai aberrante che in modo altrettanto abominevole si è conclusa.
Quattro disoccupati, condizione questa che ha il pregio di non rimpinguare coll'opera servile nessuna cassaforte, si erano barricati nella chiesa di Saint-André, per testimoniare la loro disperazione di fronte alla mancanza di lavoro. I poveri di tasca ma non di spirito hanno ben pensato di rivolgere le loro agghiaccianti proteste verso quei due puzzolenti tabernacoli che, come faceva notare Bakunin, sono legati da un inossidabile sodalizio: Dio e lo Stato. Dall'uno - come ragion ci fa notare - non hanno potuto che ricevere il niente che lo contraddistingue e dall'altro la più alta dimostrazione della propria essenza, tutta terrena: il ripristino, attraverso l'azione violenta dei propri scagnozzi in divisa, di quell'ordine che non tollera imprevisti, neanche se democraticamente manifestati. Ordine e disciplinata obbedienza, irruzione e sgombero coatto, 56 contro 4. Niente di più ordinario.
Una cosa ho sempre notato nelle chiese, e cioè che le loro monumentali costruzioni, frutto del lavoro di migliaia di schiavi incatenati per il bene di Dio e del suo verbo, sono di una pesantezza e solidità scoraggianti. Altrimenti la mia fantasia, al momento della lettura di questa notizia, sarebbe sicuramente, in un batter di ciglia, volata a quel sublime istante in cui il tetto, con un tonfo roboante, avesse seppellito questa sempre più vasta oasi di miseria nel momento topico: i servi al lavoro contro i servi che lo chiedevano.
Cacciucco
15 ottobre - Tor de' Cenci (Roma). Dopo che la vigilanza aveva sventato un loro tentativo di furto, una delle quattro zingarelle ha reagito assestando un pugno in faccia ad una poliziotta.
16 ottobre - Nìmes (Francia). Due bombe sono esplose nel centro cittadino; una davanti all'esattoria, l'altra, mezz'ora dopo, davanti al Palazzo di giustizia.
23 ottobre - Cercola (Napoli). Due bambini, dieci e undici anni, si sono rivelati insofferenti ad ogni regola, mostrando segni di irrequietezza e imprevedibilità. Durante una festicciola organizzata dalla scuola elementare hanno aggredito due insegnanti che sono dovute ricorrere all'ospedale.
23 ottobre - Burgos (Spagna). Quattro bimbetti, dai 9 ai 14 anni, hanno rapinato la filiale di una banca dopo averla gettata nel caos con urla e strilli.
24 ottobre - Foggia. Imbrattata per l'ennesima volta una lapide donata alla città da Mussolini in memoria di un combattente fascista.
24 ottobre - Trapani. Un'arzilla vecchietta ha ricevuto a pistola spianata prima l'ufficiale giudiziario che le intimava lo sfratto, e poi gli agenti giunti in aiuto di questo. Solo dopo l'irruzione si sono accorti che si trattava di una pistola giocattolo.
24 ottobre - S. Vito Lo Capo (Trapani). Un attentato incendiario ha danneggiato la villa del presidente del Tribunale penale.
26 ottobre - Milano. In due, su un auto, hanno affiancato la vettura di un giudice coll'intento di fargli passare le sue brutte abitudini. Fallita l'aggressione, i due sono fuggiti a piedi.
26 ottobre - Milano. Alla vigilia dell'atto formale di rinascita del Partito socialista, alcuni buontemponi si sono introdotti nella sede danneggiando accessori e apparecchiature e portandosi via gli elenchi degli iscritti insieme ad altri beni.
26 ottobre - Roma. Vivevano da nababbi con il denaro accumulato grazie ad un sistema che riproduceva il codice delle bande magnetiche delle carte di credito. All'atto dell'arresto han dichiarato:-Non facciamo del male a nessuno: rubiamo solo alle banche più ricche.
26 ottobre - Kosovo. Altri due poliziotti serbi sono rimasti uccisi in un agguato. Dall'inizio dell'anno il loro numero sale così a sei.
27 ottobre - Corsica. Un commando è penetrato nel carcere modello di Casabianda e ha fatto esplodere una forte carica di plastico che ha completamento distrutto il refettorio.
27 ottobre - Bastia. Raffiche di mitra sono state sparate contro la facciata della gendarmeria.
Le frontiere in Europa? Chi pensa ancora di esercitare il controllo nel Paese attraverso queste obsolete recinzioni, presto verrà considerato alla stregua di un'anticaglia. Gli incontri svoltisi finora fra i premier dei vari paesi europei ci stanno svelando come sarà possibile eliminarle progressivamente.
Per cominciare, i diversi governi hanno capito che si tratta di un processo che per essere realizzato con successo ha bisogno di tempo, così fin da adesso devono abituare le rispettive popolazioni a tollerare di sentirsi spiate quotidianamente all'interno del proprio territorio, per essere al fine normalizzate.
Poi c'è l'allestimento dei diversi sistemi messi a disposizione della polizia. Per chi arriva dall'esterno dei sempre più indistinti confini nazionali la concessione dei visti per il permesso di soggiorno e gli accordi presi con gli altri Paesi dell'Unione europea, consentono di creare un filtro adeguato; per chi si trova già all'interno, si sta approntando una pratica preventiva per individuare i potenziali focolai di infrazione della legge ancor prima che questa venga commessa.
Tutte le strutture che si occupano di sicurezza e che sono preposte alla lotta contro la criminalità, contro il disordine urbano e l'inciviltà sociale possono disporre di sempre migliori strumenti tecnologici e di conoscenza che consentono loro di attrezzarsi persino nello studio dei comportamenti. Possono rassicurare e mostrare di proteggere la popolazione, dopo aver provocato un clima di ansietà, di insicurezza e di paura anticipando le possibili minacce: da quella del terrorismo a quella della povertà causata dall'aumento dell'immigrazione.
Altri dispositivi strumentali e di controllo sono le schedature di massa, l'adozione di carte di identità impossibili da falsificare, i centri di analisi e di informazione e la carcerazione estesa ai luoghi in cui si vive. Che necessità ci sarà un bel giorno di sorvegliare un individuo, se è stato privato di ogni barlume di arbitrio, di ogni spiraglio di libertà? La diversità non sarà tollerata in quel mondo che stanno allestendo per noi, come stupirsi se alcune decine di anarchici vengono tolte di mezzo con ogni mezzo necessario? E questi, sono ancora solo affari nostri?
Ha già suscitato scalpore, ed anche qualche polemica, la proposta del capo della polizia Masone di rimpatriare gli immigrati clandestini per mezzo di voli charter. Che diamine. Il vescovo di Caserta monsignor Nogaro si è indignato dichiarando che cacciare i clandestini non è degno di un paese civile e democratico.
Ma come? Se civili e democratici sono gli eserciti, i tribunali e le prigioni, lo è anche la deportazione dei clandestini. Se questa proposta di legge passerà, sarà solo una delle tante manovre restrittive in perfetta sintonia con le nuove tendenze europeiste.
Masone ha dichiarato che già altre nazioni europee, come ad esempio la Francia, hanno approvato e condotto con successo un simile progetto. Quello dell'immigrazione è un problema ormai per tanti, soprattutto per i governanti, che lo utilizzano per alimentare il crescente sentimento nazionalista, criminalizzando il clandestino e scaricando su di esso la colpa di ogni malessere sociale. Non si può consentire che qualcuno, specie se povero, varchi senza autorizzazione i confini tracciati dal potere portando disordine nella già troppo angariata pace sociale. Non si può consentire nemmeno che qualcuno pretenda per sé un futuro migliore di quello già designato dal potere.
E se a qualcuno questo non sta bene, ci saranno sempre gli eserciti - come quello che oggi infesta le coste della Puglia - per respingere, le galere per segregare e gli aerei per deportare.
Ogni cittadino italiano dovrà pagare a carissimo prezzo la decisione di entrare nell'Unione europea aderendo al trattato di Maastricht. La nuova moneta europea sarà introdotta in tre mosse: entro la fine del 1988 si svilupperà la prima fase, che prevede l'adattamento di tesorerie, servizi titoli e sale cambi, e l'avvio della produzione di nuove monete e banconote Euro; entro la fine del 2001 l'Euro comincerà ad essere introdotta in molti servizi finanziari e nei cambi mercati interbancari; entro il primo semestre del 2002 le monete nazionali verranno ritirate e circolerà a tutti gli effetti l'Euro.
Ormai è chiaro che nessuno dei governi europei intende restare escluso da questo progetto. Così il ricatto che viene fatto a ciascuno di noi è il seguente: è pur vero che la nuova Finanziaria proposta è brutta e per molti insostenibile a causa degli inasprimenti fiscali, è vero che si profilano all'orizzonte ulteriori pesantissimi sacrifici da affrontare, ma è indispensabile approvarla e sostenerla, se non si vuole correre il rischio di un futuro sudamericano. Mentre invece, quale futuro di delizie prevedono per noi?
E' stato da poco presentato in Senato il disegno di legge per la fusione in un solo corpo delle quattro flotte: guardia costiera, guardia di finanza, polizia, carabinieri, che pattugliano le coste italiane. In questi giorni le forze politiche si stanno infervorando nella discussione sollevata dalla proposta avanzata da alcune forze politiche di unificare polizia e carabinieri. Qualcuno teme che in questo caso l'istituzione più popolare - la polizia - tirerebbe verso di sé quella più aristocratica - l'arma dei carabinieri. Ma sembra che nell'Unione europea il rapporto di forze sia più favorevole all'estensione dei poteri della polizia, a detrimento di quelli dell'esercito, così anche i più ostili a questa soluzione dovranno pur farsene una ragione, se vorranno entrare nella coalizione. Vengono già creati organismi tipo l'Europol, le cui funzioni sono ancora da definire nel dettaglio, cosa che potrà avvenire col tempo.
Nel frattempo le forze della sicurezza si stanno organizzando in reti.
Reti amministrative, in cui si coagulano intersecandosi le funzioni delle polizie nazionali con quelle delle dogane, degli uffici immigrazione, dei consolati e persino delle società private di trasporto e di sorveglianza.
Reti informatiche, per contenere analisi statistiche e schedature delle persone ricercate o scomparse, di quelle che non hanno ottenuto il permesso di soggiorno, degli espulsi, degli indesiderati, degli indesiderabili.
Reti di ufficiali di collegamento, con la creazione di gruppi di lavoro quali: il club di Berna, di Vienna, il Gam (gruppo di mutua assistenza), il Pwgot (gruppo di lavoro della polizia sul terrorismo), il Trevi, lo Star, l'Ad hoc Immigration; e di coordinatori della libera circolazione.
Reti semantiche, utili all'elaborazione di nuove dottrine, di teorie e concezioni di vario genere sui conflitti etnici e politici, già in atto o di là da venire.
E mentre loro si organizzano, predispongono, decidono della nostra sorte e di quella del mondo in cui viviamo, noi, ospiti indesiderati, non capiamo e lasciamo fare, ci disinteressiamo e al più ci limitiamo a dar corpo a una protesta che sa di stantio e di usitato, ormai incapaci di ricercare la pienezza dei nostri desideri. Ma i loro giochi non sono ancora fatti.
Bologna le sta provando tutte. Effige dell'ipocrisia democratica e dei suoi soffici modi di spezzare le gambe ai dissenzienti, è passata, nel corso del tempo, a tutti i più delicati espedienti di annullamento, senza peraltro mai riuscirci: sgomberi, identificazioni, fogli di via, attacchi massicci ed infamanti sulla carta da culo dei quotidiani, intimidazioni, cariche scellerate, di tutto un po'. Ecco, ora sono passati alle nerbate.
Nella notte di giovedì 24 ottobre un graffitaro notturno in collera con le infamie dei giudici Marini e Ionta, nonché con quelle di tutti i loro burattini, è stato soggetto ad un pestaggio a più riprese. Mentre stava completando una delle sue invettive è stato notato da due passanti.
Per sua sfortuna uno dei passanti era un finanziere in libera uscita, con relativa accompagnatrice. Indossati con solerzia i panni del supereroe, costui ha prima malmenato l'imbrattatore e poi ha spedito un piccione viaggiatore ai suoi degni colleghi militari. I Carabinieri, intervenuti in una manciata di secondi, hanno pensato che la prima razione di mazzate bastasse solo da antipasto per una persona così sbeffeggiante e si sono cimentati nella replica. Al gran varietà dei servi non mancavano che i poliziotti e, presto detto, sono stati avvertiti anche loro, destinatari murali di alcune scritte. Terza porzione di inutili percosse. Inutili, perché le botte di uno sbirro si digeriscono sempre senza troppa fatica e non penetrano certo nel cerebro. Inutili perché, nel distribuirle, le accompagnavano con frasi tipo: Cos'è questo, Canenero? Ci sono voluti cinque anni di indagini per metterli in galera quelli, continuano ancora a rompere i coglioni. Canenero? Canemorto! - e possiamo assicurare che Canenero è vivo e più iracondo che mai. Inutili e controproducenti, perché nel lasciarsi andare a queste dimostrazioni di forza non fanno altro che mostrare la loro vera natura, mentre per ogni dittatura democratica che si rispetti l'aspetto fondamentale è l'illusione di libertà e di confronto che riescono a spacciare in quelle teste bacate dei cittadini.
Il notturno
* Continua lo sciopero della fame di Salvatore Gugliara. Nel frattempo anche Giuseppina Riccobono ha cominciato da qualche giorno uno sciopero della fame per protestare contro la carcerazione degli anarchici voluta da Marini e Ionta e ratificata dal gip Claudio D'Angelo.
Per corrispondere con gli anarchici detenuti a Rebibbia, l'indirizzo della sezione maschile è via R. Majetti 165, quello della sezione femminile è via Bartolo Longo 92 Ð 00156 Roma.
* L'anarchico Marzio Muccitelli, dopo aver scontato due mesi nel carcere delle Vallette a Torino per l'occupazione dell'ex Aurum, è stato trasferito nel carcere militare romano di Forte Boccea, dove dovrà scontare ancora otto mesi per diserzione.
* Il 28 novembre si svolgerà a Roma l'ultimo grado del processo sul sequestro di Mirella Silocchi, nel corso del quale la corte di Cassazione dovrà pronunciarsi circa la validità della sentenza del processo d'Appello.
* A Foggia Martedì 22 ottobre un gruppo di anarchici dell'ex Cim occupato ha deciso di scendere per la seconda volta in piazza per esibire la mostra dossier sulla nuova Inquisizione. Durante il tragitto i compagni che trasportavano i pannelli sono stati bloccati e accompagnati in questura. La vicenda si è conclusa col sequestro della mostra e con la denuncia di due compagni per diffa-mazione a mezzo stampa. La notte precedente erano apparsi in diversi punti della città striscioni contenenti scritte del tipo: Marini pm della menzogna, Marini e Ionta amanti del falso.
* é stato fissato per il 17 luglio 1998 il processo contro due anarchici di Verona accusati di aver diffuso un falso manifesto a firma del Sindaco durante la manifestazione nazionale sull'orgoglio gay tenutasi in quella città il 30 settembre 1995.
* Venerdì 22 novembre, alle 12, si terrà presso il Tribunale militare di Torino l'udienza preliminare del processo contro l'anarchico Luca Bertola, reo di mancanza alla chiamata.
* Nella mattinata di Martedì 29 è stato sgomberato, dopo un mese e mezzo di vita, lo studentato occupato di via Acri a Bologna. Gli sbirri sono entrati dal retro, nonostante la porta d'ingresso fosse aperta, hanno distrutto gli oggetti personali degli occupanti e hanno identificato ventisette persone. Gli sgomberati, riunitisi, stanno decidendo sul da farsi.
* Sorpresa. Nella notte di Giovedì 24 ottobre ignote mani anarchiche sono penetrate nel palazzo della Gran Guardia posto nella centrale e sorvegliatissima piazza Brà a Verona ed ivi, indisturbati, hanno coperto i pannelli e le sculture in marmo di una mostra patrocinata dall'amministrazione comunale e dall'industria del settore con manifesti riguardanti l'azione repressiva degli inquisitori Ionta e Marini, lasciando inoltre le pareti di tale spazio ricoperte di scritte in solidarietà con gli anarchici arrestati ed inquisiti. La mostra è stata sospesa, svariati i danni. Nessuna notizia è trapelata, la polizia indaga e gli anarchici se la ridono gaudenti. Avanti così.
* Torino: Mercoledì 23 mattina, in contemporanea con gli interrogatori svolti dai Ros a tre degli anarchici inquisiti da Marini, due gruppi volantinavano in centro città attorno alla caserma dei carabinieri. Qualcuno esponeva nella centralissima via Cernaia uno striscione: Marini terrorista. Quattro compagni venivano poi portati in questura dalla Digos e denunciati per vilipendio.
(Dall'interrogatorio di Namsetchi Mojdeh, 29 maggio 1995)
Voglio precisare anche che nell'organizzazione vigeva un doppio livello: uno palese e quindi apparentemente legale; l'altro occulto e sicuramente illegale. Il livello palese e apparentemente legale, si concretizzava nelle riunioni che venivano tenute nei cosidetti centri occupati, nella distribuzione e diffusione dei vari volantini in cui si esternava anche solidarietà per i compagni arrestati, come è accaduto nel caso di Rovereto, dove molti hanno presenziato anche alle udienze del processo che si teneva nei confronti degli arrestati durante l'ultima rapina del 19 settembre u.s.; nelle riunioni estemporanee che si tenevano al muretto; nella stessa stampa del settimanale Canenero che veniva distribuito nel corso delle manifestazioni; nelle occupazioni degli edifici abbandonati, che diventano appunto i centri occupati di cui ho parlato.
Il secondo livello, invece, a cui partecipavano soltanto una parte degli aderenti alla così detta area anarchica, era quello occulto e quindi illegale, perché si concretizzava nella programmazione e realizzazione delle rapine, che costituivano una delle forme di autofinanziamento; nella programmazione e realizzazione degli attentati; nel reperimento delle armi che dovevano costituire il patrimonio comune dell'organizzazione a tale livello, oltre che nella utilizzazione delle stesse armi per compiere le rapine o del materiale esplosivo, che pure faceva parte del patrimonio comune dell'organizzazione, per compiere gli attentati.
A suivre
Chicco Testa sta cercando di convincere in tutti i modi la bella gente del suo ambiente che è diventato grande. Certo, con un nome del genere non dev'essere semplice. Dopo aver passato anni a fare l'ecologista - a raccomandare al popolino che bisogna consumare di meno e che ci vuole l'energia pulita - adesso che è diventato presidente dell'Enel si lamenta che la gente per scaldarsi usa più il metano dell'elettricità, si lamenta che usiamo pochi condizionatori e deumidificatori, pochi elettrodomestici, che consumiamo poco insomma. Chissà che non prenda una percentuale per ogni kilowatt consumato.
E come se non bastassero queste inopportune uscite, cosa combina al convegno dei giovani imprenditori? Forse con la complicità di qualche bicchiere di troppo, nel cuore della notte, dopo una serata passata a ballare la macarena col presidente di Confindustria, si mette a cantare a squarciagola Bandiera Rossa.
Pare che il giorno dopo più della metà degli imprenditori, giornalisti, economisti, cantautori, politicanti di tutta la nazione (insomma, tutti gli ex ribelli e gli ex giovani rivoluzionari degli anni `70) l'abbiano invitato a una maggiore discrezione.
Loro almeno il proprio passato lo hanno seppellito sotto i miliardi. Non gli bastano i soldi a Chicco? Esibizionista.
Mario Spesso
Due ragazzi rubano una macchina. Una macchina di lusso, di quelle che si vedono nei film: in fondo, era la pubblicità sui muri ad averla loro promessa. Lo giura anche la televisione: la ricchezza c'è ed è facile afferrarla. Basta solo qualche procedura, qualche anno di paziente attesa, basta il sudore a colmare le distanze tra chi vive nel ghetto e le merci esposte dietro le vetrine.
O forse no, servirebbe una pelle di un altro colore, servirebbe una professione di obbedienza e di sottomissione intollerabile, servirebbe la resa.
I due ragazzi, neri, si sono stancati di aspettare inutilmente e la ricchezza se la sono presa. Senza tante chiacchiere: questa era la macchina dei ricchi, la macchina dei bianchi, ora è nostra.
La polizia li ferma e spara, a freddo. Uno cade a terra morto, l'altro si arrende. Il sogno sembra finito. Ma c'è chi vede la scena: va ad avvertire un vicino, si parlano, chiamano gli altri. C'è chi sta uscendo dal lavoro e vede la macchina, la polizia, il ragazzo morto e si ferma in strada. La voce corre, si diffonde, si raduna tutto il ghetto: ora il sogno è di tutti.
Urlano contro la polizia che ha ammazzato il loro fratello, come succede tutti i giorni. Ma questa volta le grida non possono bastare: volano pietre e bottiglie, la città comincia a fremere. Per una notte bruciano le distanze tra il desiderio e la vita, a St. Petersburg in Florida. Niente può fare la polizia, tantomeno gli agenti neri - i traditori. E neanche i neri moderati, i pastori battisti, le associazioni del ghetto, i cani da guardia di quel gregge nero che ora si ribella.
Tanto che - ironia della rivolta - il primo negozio saccheggiato e dato alle fiamme è in Martin Luther King Boulevard: questa notte non c'è più spazio per la contrattazione né per il lavoro né per la pace. Brucia un centro per il reinserimento lavorativo dei neri deviati, i poliziotti vengono aggrediti a pistolettate, le botteghe sono distrutte. Questa notte non contano più le ragioni del buon senso né le fredde pratiche della sopravvivenza.
é una notte di vita, questa. Una notte soltanto, purtroppo.
"Giovanotto, documenti!. Quante volte questa frase irritante ci ha fatto notare quanto il fatto di non essere uomini bensì cittadini schedati, marchiati a fuoco, sia di fondamentale importanza per chi vuole perpetuare il dominio e il controllo? Ogni individuo, nato alla fosca luce di un qualsiasi regime autoritario, viene registrato come un acquisto da parte dello Stato, l'acquisto di un nuovo membro. Da qui in poi la sua vita diviene proprietà dello Stato stesso, che la usa a suo piacimento, come forza lavoro, idiozia di lubrificazione, soldataglia, carne da galera.
Molti dei terrori che lo Stato è in grado di esercitare sono possibili grazie all'identificazione immediata di chiunque violi le sue leggi.
I numeri e il tempo, si sa, sono al servizio di chi gestisce l'ordine. Un numero, un nome, un ruolo, e il gioco è fatto; i conti non possono che tornargli sempre. A meno che qualcuno decida di mettere un po' di sale nei suoi piatti insipidi e un po' di peperoncino nel suo grasso culo.
Gli uffici dell'anagrafe di due comuni della periferia bolognese, S. Lazzaro e Casalecchio, sono stati svuotati a distanza di una settimana. I simpatici razziatori hanno vuotato tutti i cassetti, appropriandosi di circa quarantamila cartellini vergini delle carte d'identità. Un bel grattacapo per i controllori delle nostre vite, non c'è che dire. I possibili utilizzi della refurtiva ce li forniscono loro stessi: il riciclo e la vendita, la riproduzione delle firme in vista di truffe con assegni e cambiali falsi, il raggiro di ingenui cittadini per chi decidesse di spacciarsi per assistente sociale o funzionario di Stato, e via dicendo, senza molta fantasia. Certo è che chi inventa i crimini è il primo esperto dei crimini stessi. I Savi insegnano.
Che dire? Che un bel rogo sarebbe l'ideale per ogni tipo di documento e per ogni ufficio? Che quarantamila persone sotto falso nome potrebbero attaccare le strutture del dominio con eleganza e non chalance? Fate voi, la notizia mi par gioiosa.
Il notturno
Attualmente sono una cinquantina le guerre in corso sul pianeta: la più vicina a noi nell'ex Jugoslavia. I primi a capire che nei moderni conflitti tra Stati non vi sarebbe più stato bisogno di masse da macellare sono stati proprio i vertici del Potere; gli ultimi, i pacifisti, i non violenti e, almeno in parte, gli antimilitaristi, che si sono sempre limitati a criticare l'obbligatorietà del servizio militare.
Dietro alle riforme del settore, che le istituzioni studiano per i propri interessi, arrancano questi tiepidi e democratici oppositori del militarismo. La convergenza di propositi, che ha portato alcuni anni fa a celebrare l'utilizzo del servizio civile nell'ambito dei settori assistenziali (cavallo di battaglia di tanti pacifisti e sinceri democratici), è ormai ampiamente superata dai fatti: ormai ci si chiede in ambito istituzionale se non sia il caso di creare corsi per gli obiettori da addestrare alle varie mansioni che dovranno svolgere. Come per i caporali, non si può pretendere che se ne vadano a lavorare negli ospedali, nelle comunità terapeutiche, nei nosocomi senza un minimo di professionalità: la buona volontà non basta.
Erano pochi, fra gli antimilitaristi più accaniti, quelli che osavano chiedere l'eliminazione della leva. Ora lo Stato la sta già mettendo in pratica, creando gradualmente un esercito professionale, alla lunga meno costoso e molto più efficace nei moderni conflitti, che richiedono un'eterogeneità e una flessibilità conoscitiva e pratica impensabile per un esercito di massa. Nel frattempo prepara - subito dopo la scuola, o come integrazione ad essa - l'inquadramento culturale di questa nuova categoria di lavoratori/militari sottopagati e inseriti professionalmente in quei settori per il cui mantenimento lo Stato sta effettuando tagli considerevoli. Tra l'altro, sia detto per buona pace dei democratici, togliendo la possibilità di lavoro a molti altri.
Il progetto, che sarà esaminato dalla Commissione difesa, prevede una nuova struttura di formazione per i giovani volenterosi che avranno di fronte una scelta ben più ardua di quella odierna: diventare assassini professionisti o aggiungere alla scuola e al lavoro gratuito quest'altra forca caudina istituzionale.
La ciliegina sulla torta: per essere sicuri che nessuna devianza possa inficiare la partecipazione a questa nuova schiavitù, il Tar del Lazio ha stabilito che persino i tossicodipendenti potranno svolgere il servizio civile. Non si scappa più.
M.S.
E se cominceranno a votare pure loro, per chi diavolo volete che votino se non per la sinistra? E perché mai non dovrebbero protestare i fascisti, per cui si prospetta un futuro elettorale disastroso in un'Italia zeppa di schiavetti riconoscenti verso il nuovo regime?
In questi giorni, stanno filtrando voci riguardanti un disegno di legge del governo che darà il diritto di voto agli immigrati. Se verrà approvato, però, potranno votare solo quelli in regola col permesso di soggiorno, residenti in Italia da almeno cinque anni e che non hanno avuto mai grane con la Giustizia.
Immigrati, quindi, ormai inseriti nel mondo del lavoro (regolarizzazione e lavoro garantito sono ormai strettamente legati), che hanno appena raggiunto il primo gradino della scala sociale e che iniziano ad avere un minimo di sicurezze da difendere: necessitando così di un referente, finiscono col trovarlo nei politici.
Dal ministero della Solidarietà presieduto da Livia Turco, intanto, stanno piovendo proposte ed iniziative volte a risolvere il problema della casa: i favoriti di turno sono le giovani coppie, futuro della nazione, seguiti dalle coppie gay, dai singles, e così via, tutti ad accapigliarsi nel vortice del dibattito su diritti, pari opportunità, casa per tutti e per nessuno. Poco importa che questo abbia risvolti ridicoli, come quello delle polemiche derivanti dalle preoccupazioni dell'Ulivo di adottare misure politicamente corrette. Garantire la casa a certuni significa implicitamente riconoscerli come soggetto debole: per i sinistri non sta bene, però i problemi pratici per le case ci sono e la loro eventuale soluzione servirebbe ad aumentare il numero dei propri elettori.
Il denominatore comune, il senso di tutte queste belle iniziative, sembra essere il rafforzamento del primato dello Stato per l'appianamento di ogni problema sociale: l'organizzazione e la legge devono regolare fin nei particolari più infimi le dinamiche sociali. E ciò è realizzabile attraverso i meccanismi della partecipazione, che non mancheranno mai, soprattutto se sperimentati su persone e gruppi sempre più dipendenti da qualsivoglia forma di istituzione.
Tra un po' faranno votare anche i quattordicenni, garantiranno quattro metri quadrati di verde ad ogni neonato, renderanno obbligatorie le riunioni di condominio; le raccolte differenziate dei rifiuti lo sono già. Lasciate fare ai compagni dell'Ulivo, a voi basta chiedere. Le risposte le troveranno loro, come sempre.
Mario Spesso
Vedrete, sarà una festa meno rumorosa e pericolosa della sfilata dei carri armati, che si teneva il 2 giugno fino a qualche anno fa - così il sindaco Rutelli commentava il concerto svoltosi domenica scorsa di fronte al Colosseo. L'iniziativa, il World Food Day (che in italiano suona più o meno giornata mondiale per il cibo), è stata promossa dalla Fao - l'organizzazione che si occupa della fame nel mondo - per pubblicizzare il vertice sull'alimentazione che si terrà dal 13 al 17 novembre a Roma. Al contrario di altri analoghi eventi musicali degli anni passati - uno fra tutti il Live Aid - questa volta lo scopo non era quello di raccogliere fondi per iniziative umanitarie ma di sensibilizzare, tant'è che il concerto era gratuito. Eliminato il benefico pedaggio è più facile arrivare al cuore della gente. Certo, un cuore da riempire, oltre che con la musica, con una gragnuola di dati che - quando non terrorizzano descrivendo un mondo dove le risorse sono in via di esaurimento, i terreni sempre meno fertili a causa del sovrasfruttamento, le falde acquifere irrimediabilmente inquinate - si limitano ad alimentare laceranti sensi di colpa evocando immagini di torme di bambini denutriti e privi delle necessarie cure.
Dopo le esibizioni degli artisti, impegnati nella collaborazione multiculturale, ognuno può tornare a casa carico di questo fardello di sensibilità con un immenso senso d'impotenza. Ora può dire a se stesso: è un problema troppo grande per me, riguarda l'equa distribuzione del benessere oppure la riduzione del debito che i paesi poveri hanno contratto con l'opulento occidente - tutta roba per politici ed economisti, banchieri e capi di Stato.
Si rimane così ben distanti e presi da un senso d'inutilità, con un bel bollettino di qualche magnanima associazione, una chiacchiera preoccupata con gli amici, poi di nuovo il nulla di tutti i giorni con il cuore spostato un po' più a sinistra.
Le reali cause della miseria mondiale al contrario si situano proprio nelle strutture e negli uomini che dovrebbero pianificare lo sviluppo degli indigeni pezzenti, oltre che nella stessa industria degli aiuti umanitari la quale, mentre compie il suo utile genocidio con la distribuzione e lo smaltimento di medicine e prodotti avariati e sistematicamente avvelenati, muove capitali nell'ordine di migliaia di miliardi. Tutto ciò è assai più vicino di quanto convenga pensare al novello sensibilizzato.
Ci penserà la musica, ormai insignificante e di gran lunga più apprezzabile del rumore di un cingolato da parata, la musica veicolo e sottofondo di ogni contenuto, a suggellare questa fiera di consenso e rassegnazione.
D. M.
Giorni decisivi, questi, per la musica leggera italiana. Musica leggera sì, ma di quelle pesanti, pesantissime. Impegnata ad entrare nel cerchio ristretto della Cultura: quella con la C maiuscola, tiene a precisare De Gregori, che nasconde sotto i suoi giovanili cappellini una calvizie sempre più incipiente e sempre meno giovanile. Musica che, a forza di piroettare su se stessa arrampicandosi sulle proprie spalle per lanciare dall'alto il suo messaggio al mondo, ha finito per arrivare diritta diritta fin su, nelle stanze di quel potere che una volta guardava con un certo sospetto.
La razza dei De Gregori, dei Dalla, dei Fossati, dei Guccini, dei Vecchioni - dopo vent'anni di faticoso apprendistato - è finalmente riuscita ad ottenere quei riconoscimenti che da tanto tempo aspettava. Ma non è stato facile: hanno dovuto navigare a vista sin dalla fine degli anni settanta, scansando monetine tra una festa del'Unità e l'altra. Poi è arrivato il buio degli anni ottanta, talmente fitto che qualche d'uno si è perso, concedendosi fin troppo manifestamente al mercato - cosa che si fa sì, ma che è meglio non dire - o naufragando sotto il faro del garofano rosso.
Ma sono arrivati fin qui. Un po' invecchiati, senza tanti capelli, con rotondità da ragionieri, ce l'hanno fatta ad entrare anche loro nel Pantheon dei protetti dal ministero dei Beni culturali - protetti loro e tutelati i loro diritti d'autore.
Gli enti lirici propongono di farli cantare, d'ora in poi, tra gli stucchi delle Scale e delle Fenici e Veltroni comincia a convocarli a palazzo.
Ma a che servono i menestrelli a palazzo, di questi tempi? Perché - ammette candidamente De Gregori - la gente possa avvicinarsi a una dimensione più umana della politica.
E ad una dimensione più umana della religione, tanto che il Cardinale Tonini ha dichiarato che la voce poetica e le mani che scrivono canzoni di De Gregori sono dono divino; amore reciproco: quando Tonini ha ringraziato Dio di averlo creato, lui, commosso, gli si è gettato al collo.
Umanissimo come un ex bambino discolo che si riconcilia con i genitori, ed impegnato come un Ministro degli Interni, De Gregori ha tardivamente scoperto qual è sempre stato il senso del suo mestiere: l'indoratore di pillole.
Ora che lo sa, potrà smetterla di far finta di essere giovane; potrà togliersi il cappellino da rapper, mostrare il capoccione pelato e la pancetta, e godersi la meritata pensione ministeriale. Fischiettando La storia siamo noi, s'intende.
S.V.