CANENERO

settimanale anarchico - 15 novembre 1996 - numero 39

questo giornale non ha prezzo e non teme imitazioni

copertina canenero 39

Arrivederci a Roma
La strage delle tessere
Qualcosa di più semplice
Cronaca della rivolta
Il legame che non c'è
E il fastidioso ronzio non c'è più
Come fabbricare certezze
I tanti modi di fare festa
Un punto di vista: il mio
Feuilleton
Ma la cresta non l'abbassiamo
Orsù, infestiamo
Lampi e tuoni
Penitenza è fatta
Le matite spuntate di Cuore
E con tante scuse
Tenuti al guinzaglio
Colpo gobbo
Le droghe dello Stato
Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto...
Che schifo
Fuoco sul carro funebre

CANENERO - Casella Postale 4120 - 50135 Firenze -Telefono e Fax 055/631413

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Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n. 18/89 del Tribunale di Cagliari


Arrivederci a Roma

Giovedì mattina 7 novembre si è aperto presso il tribunale di Trento il processo d'appello contro gli anarchici Jean Weir, Christos Stratigopulos, Antonio Budini e Carlo Tesseri, accusati di essere i responsabili di una duplice rapina avvenuta in due banche il 20 luglio 1994 a Ravina di Trento.

Come da copione, il tribunale era presidiato da un notevole numero di poliziotti, carabinieri e agenti di custodia muniti di mitra, gli stessi che in forze hanno ivi condotto i nostri compagni in manette. Gli anarchici accorsi per l'occasione erano circa ottanta, provenienti da tutta Italia e anche dall'estero, i quali all'ingresso del palazzo di giustizia hanno dovuto assoggettarsi alla solita schedatura intimidatoria prima di poter entrare in aula, ma non più di venticinque per volta, ragion per cui si è dovuto assistere a turno all'udienza.

Il procuratore generale Coraiola, dopo una requisitoria condotta con toni blandi, con notevoli screpolature e con scarsa convinzione, ha chiesto che la pena per i quattro venisse ridotta a tre anni, considerando la continuazione del reato (dato che i compagni stanno già scontando 3 anni e mezzo e 4 anni per una rapina): tanta indulgenza al solo scopo di corroborare la tesi secondo la quale i quattro anarchici avrebbero agito per autofinanziare le proprie illecite attività, non già per necessità personali come hanno sempre dichiarato.

Gli avvocati difensori Venturino di Catania, Ceola e Mattei di Trento hanno arringato a lungo i giudici della Corte d'appello - disattendendo la loro intenzione di sbrigarsela nel giro di qualche ora - per evidenziare le numerosissime incongruenze presenti nelle dichiarazioni rese dalla collaborante Mojdeh Namsetchi, ex convivente di Carlo Tesseri, che si era autoaccusata come partecipante alle rapine pur di inchiodare gli anarchici imputati. I difensori hanno ammonito la Corte di riflettere con molta attenzione sul significato e sulle conseguenze di una possibile conferma della condanna, che avrebbe continuato a dare credibilità alla “pentita” e consentito ai pubblici ministeri di Roma Marini e Ionta di condurre vittoriosamente il 10 dicembre la loro richiesta di rinviare a giudizio ben 68 indagati per una serie impressionante di reati.

Dopo qualche ora di Camera di consiglio, la Corte ha deciso astutamente di rinviare ogni decisione al 13 dicembre, per consentire la riapertura del dibattimento con l'audizione di Mojdeh Namsetchi, del maresciallo Mercurio Farino di Civitavecchia (colui che l'ha convinta a collaborare) e di Loris Setti (l'impiegato di banca che aveva dichiarato di aver riconosciuto uno degli imputati); con l'acquisizione di altri verbali di interrogatorio cui la Namsetchi è stata sottoposta fin dal marzo 1995 - e da cui emergono ulteriori discordanze con le sue asserzioni rese in aula - e dei documenti sanitari che possono attestare le sue precarie condizioni fisiche nel mese di luglio 1994 - proprio nello stesso periodo in cui afferma di aver partecipato a quelle rapine -, quando aveva subìto una interruzione di gravidanza con gravi strascichi per la sua salute.

Nei giorni precedenti l'udienza, diverse sono state le iniziative messe in piazza dagli anarchici per esprimere la propria rabbia nei confronti di questa operazione di pulizia sociale e per ribadire a dispetto di ogni intimidazione la propria vicinanza con i compagni imputati, tra cui un numero speciale de l'Evasione tutto dedicato al danaro e ai luoghi in cui esso viene solitamente contenuto: le banche.

Adesso tocca a Roma, dove Martedì 10 dicembre alle 9,30 - presso il tribunale di piazzale Clodio, aula Occorsio, piano terra - il Giudice per le indagini preliminari dovrà decidere sul rinvio a giudizio di 68 indagati richiesto dai pubblici ministeri Antonio Marini e Franco Ionta. Ovviamente, ci saremo anche noi.


La strage delle tessere

“Bancomat, una strage”. Così intitolava un giornale locale riferendosi a una serie di azioni avvenute in Trentino nella notte tra sabato e domenica 3 novembre. Diverse decine di bancomat sono state messe fuori uso contemporaneamente, in un raggio di centocinquanta chilometri, da parte di individui - non riconoscibili dalle telecamere in quanto avevano il volto coperto - che hanno utilizzato un sistema molto semplice ed alla portata di tutti: le fessure in cui andrebbero inserite le tessere bancomat sono stata ostruite con del sigillante e con lamierini lunghi quattro centimetri e larghi uno, dello spessore di due millimetri.

Le apparecchiature hanno subìto danni dichiarati per oltre un miliardo, a cui vanno aggiunti i mancati introiti da parte delle banche colpite. Il fatto è avvenuto pochi giorni prima dell'apertura, a Trento, del processo contro quattro anarchici accusati di aver rapinato due banche: ecco spiegati i sospetti - riportati dai diligenti cronisti - delle preoccupate forze dell'ordine che, a causa di questa coincidenza, pare attribuiscano l'opera di danneggiamento agli anarchici.


Qualcosa di più semplice

Ingresso nell'Unione europea, nuova dimensione transnazionale del Welfare, sessantaduemilacinquecento miliardi come obiettivo per la nuova manovra, parametri di Maastricht.

Mi rimbalzano addosso almeno dieci volte al giorno queste parole (e non solo queste). Cifre, bisogni, necessità urgenti e improrogabili per il bene del paese. Le pensioni, quelle bisogna cercare di non toccarle, altrimenti i vecchietti si incazzano: questo messaggio è forse l'unico che nitidamente percepisco. Badiamo bene, non è che i paroloni sono grossi, non spaventano sicuramente le espressioni “transnazionale” o “welfare”. Non si tratta neppure di lasciare questi argomenti agli specialisti perché “io di queste cose non mi occupo”. No, il discorso è ben diverso.

é che in queste cose, in queste manovre, c'è nulla di veramente interessante, nulla che ci riguardi personalmente, nulla di cui essere veramente partecipi. Il Welfare è solo un'emerita stronzata di chi pianifica i bilanci nazionali. Ma noi, che di finanziare Stati, eserciti, ministeri e burocrati, non ci passa neppure per l'anticamera del cervello, per quale ragione dovremmo interessarci alla finanziaria `96 e a quella degli anni a venire?

é vero, ecco i soliti anarchici mai disposti all'interesse comune e alla ragione sociale. Provo così a interrogarmi sul bene comune, ma il mio atteggiamento non si modifica di un millimetro. Il bene comune, ad esempio, secondo l'ala dura della sinistra riguarda momentaneamente la difesa dell'idea fordista del lavoro, della garanzia, insomma, di una delle più grandi schiavitù che l'industrializzazione abbia mai prodotto. Al fordismo viene contrapposta la mobilità, ossia un'altra forma di schiavitù, con la differenza che non è garantita ed è improntata alla flessibilità (ossia presuppone lo spostamento di ruolo e luogo del lavoratore).

Mi chiedo a questo punto perché mai dovrei difendere una schiavitù, che per definizione vincola e incatena; per il mio bene - e penso che in questo si riconoscano anche altri - mi propongo solo di abbatterla. é semplice e spontaneo.

Le manovre politiche, le manovre economiche, in fin dei conti si strutturano come giochi ad alto livello che si basano su burattinai (coloro che gestiscono), fili (mezzi politici e non), burattini (coloro che si lasciano manovrare) e spettatori (coloro che, pro o contro, prendono parte).

Non sfuggono quindi a questo gioco tutti quelli che chiamano in questi giorni la gente in piazza a protestare contro qualche emendamento, contro qualche aspetto della manovra. I loro movimenti servono solo ad avvalorare tutte le finanziarie possibili, presenti e future, sollecitando le persone ad interessarsene direttamente, anche in caso di parziale contrarietà. Cosa fare quindi di quelle logiche e di quelle strutture?

Solo una cosa: distruggerle. é semplice, anche troppo.

Lupa


Cronaca della rivolta

1 novembre - Villeneuve (Ao). Un giovane, senza patente ed a bordo di un auto rubata, ha sferrato calci e pugni agli agenti che lo avevano fermato dopo un inseguimento.

3 novembre - Perugia. Dopo aver imperversato nottetempo in una scuola media, gli ignoti vandali hanno svuotato tutti gli estintori presenti all'interno ed incendiato cattedre e banchi.

4 novembre - Torino. Un'anziana donna è stata accusata di vilipendio al capo dello Stato, avendo tentato di inviare un telegramma in cui definiva Scalfaro un “burattinaio”. Solo che non è mai arrivato al Quirinale: le poste lo hanno inviato direttamente in Procura.

4 novembre - New York. Si confessa e viene assolto dal prete cattolico. Poi lo rapina.

4 novembre - Tours (Francia). Incendi di automobili - oltre quaranta - e violenti scontri con la polizia, proseguono da sei notti, dopo l'aggressione da parte della forze dell'ordine di un giovane di origine africana

4 novembre - Verona. é stato incendiato, nel giorno della festa delle forze armate, il portone del circolo ufficiali.

5 novembre - Torino. Con pugni, graffi e morsi: così ha reagito una giovane nigeriana contro quattro vigili urbani che tentavano di portarla in caserma perché sorpresa sull'autobus senza biglietto.

6 novembre - Scandicci (Fi). Evidentemente qualcuno non ama veder sventolare il tricolore sul Palazzo comunale e continua ad asportarlo. Forse metteranno una sentinella a guardia del pennone dove svetta la bandiera.

9 novembre - Roma. Va in frantumi il portone della casa romana di D'Alema.

10 Novembre - Pont St. Martin (Ao). Ruba una vettura, ma viene ben presto intercettato. Ma quando i carabinieri gli intimano l'alt accelera invece di frenare e ne investe uno, regalandogli la frattura di un piede ed un trauma cranico.

10 novembre - Burgio (Ag). Quattro colpi di fucile sono stati esplosi contro la locale caserma dei Carabinieri.

10 novembre - Milano. Erano intervenuti con la scusa di sedare una lite fra giovani immigrati. Un marocchino non ha gradito la loro intrusione e ha aggredito con l'ausilio di un bastone quattro agenti di polizia.


Il legame che non c'è

Il linguaggio, oltre a spiegare, in funzione della comunicabilità tra individui, le situazioni e le materialità, si propone l'incauto compito di racchiudere fra sillabe anche le emozioni e gli stati d'animo, nonché i rapporti fra i singoli e gli altri.

La mistificazione dei rapporti d'amore e d'amicizia è, a mio parere, gratuita. Gli esempi di vita vissuta sarebbero di grande ausilio nello spiegare questa mia considerazione, ma voglio provare ad essere chiaro usando, a modo mio, il mezzo della parola scritta.

Io parto dal presupposto che tutti gli individui sono diversi nelle attitudini, nelle aspirazioni, nel fisico, nel gusto. I rapporti che intercorrono fra i singoli sono come sfere che rimbalzano l'una sull'altra, in un turbinio di contatti, e senza che questi provochino alcuna fusione. Modifiche, mai fusioni. Io sugli altri e gli altri su me. Ogni sfera mantiene, in ogni caso, la propria unicità. Partendo da questa mia unicità decido, dunque, di intraprendere una illimitata ricerca di contatti e situazioni a me affini, per realizzarmi a dismisura fruendo delle diversità altrui, e lo faccio affermando la mia volontà di preservare la mia capacità decisionale comunque e dovunque. In generale riconosco la diversità altrui, ne sono attratto, come un bimbo che vedendo piroettare un pagliaccio è attratto dalla novità e simpatia che questi gli comunica. Riconosco il fascino di tutto quanto è esterno a me, il noto, il meno noto e l'ignoto.

I contatti che stabilisco possono essere più o meno duraturi, il caso contribuisce in gran parte, ma sempre essi si concludono, con riserva di riaprirsi.

Quando parlo di ricercare l'affinità parlo di concedermi ad una serie di contatti con altri singoli, non dannosi per il mio agire, bensì capaci di donarmi nuova forza, nuove capacità, un moltiplicatore del rimbalzare della mia sfera su quelle degli altri, un indispensabile aiuto per la ricerca di me stesso e del mio soddisfacimento. Il senso comune di “amore” e “amicizia” mi lascia quindi perplesso.

Quando si aprono dei rapporti non si può stabilire a priori come essi possano estendersi o concludersi. Sono rapporti e basta. La casualità degli eventi e la manifestazione delle singole volontà contribuiscono a creare un qualcosa. E quando dico un qualcosa intendo tutto. Dalla passione più infuocata, alla carnalità, al delitto, all'estasi sensoriale, alla stima, all'indifferenza, alla noia.

Escludere è un po' legiferare, privarsi di possibilità di movimento. Accomunare fatti diversi non può che far perdere senso alla loro originalità e irripetibilità. Se per qualcuno un bacio è amore, per me è una sensazione labiale da sperimentare ogni volta.

Gli individui con i quali condivido dei momenti sono profondamente diversi l'uno dall'altro; ogni attimo, recante caratteristiche peculiari, non ha niente a che vedere con qualsiasi altro attimo. Non c'è nessun dubbio.

Allora, cos'è l'amore e cos'è l'amicizia quando si parla di rapporti? Sono oracoli a cui prostrarsi oppure ostacoli al tutto? Qual è quella persona che possiamo con sicurezza far entrare a far parte di una di queste categorie? E questa sicurezza non sarebbe un'incauta e fuorviante arditezza? Non sarebbe sempre troppo poco? Fosse anche “l'esile gabbia del linguaggio” che ci crea di questi problemi, perché non entrare un po' di più in contatto con se stessi e far fuori queste parole così mistiche, intangibili, che riconducono a qualcosa che non esiste i frutti delle nostre personali emozioni e piacevolezze? Perché rendersi portavoce di concetti miranti a definire, stabilire, quando un'incondizionata eruzione delle nostre voglie può cancellare tutto questo per condurlo nell'abisso del possibile, del concepibile? E perché non distruggerlo, il rapporto, quando ci diventa odioso, con chiarezza, con decisione, con forza, visto che il passato è un qualcosa che diventa estraneo in quanto non ci puoi più mettere le mani sopra, e i ricordi servono più che altro a chi momentaneamente vive lontano dai propri voleri?

Compagni, amici, amori, per me la dissolutezza unisce tutte queste definizioni. Io amo, preferisco, scelgo a modo mio, da senzalegge. Non so cosa sia l'amore e non so cosa sia l'amicizia, forse perché non esistono o forse perché non ho bisogno di usare queste parole, avendo un'idea più o meno chiara di quale sia la dinamica del conoscersi e dello stare insieme agli altri, nell'accordo e nel disaccordo.

I rapporti senza l'inquietante e insopportabile presenza dell'autorità sono gli unici che tollero e sui quali confido per esprimere la mia sconfinata volontà di affermare il mio io. Quando uno di questi rapporti tende a creare in me un poco di insofferenza o di sacrificio o quella viscida cosa che si chiama tolleranza, allora ritengo che sia giunto il momento di esularmene, di ricominciare in un'altra delle infinite situazioni che l'esistente mi propone.

Ricominciando da un lusinghiero distacco.

Marco Cacciucco


E il fastidioso ronzio non c'è più

C'è una linea che attraversa tutta la Versilia, che l'unisce da parte a parte, e che la divide. Ce ne sono tante altre, in tutto uguali, nel resto d'Italia: disegnano le coste, attraversano le montagne, si perdono infinite sulle pianure scavalcando le case, come i fili di un ragno enorme e nero che non ha altro verso che un sordo ronzio, continuo ed ossessionante. Questo ronzio - miliardi di elettroni che vibrano, energia che migra velocissima ed invisibile - piano piano ci scava dentro il suo segno indelebile e pestilenziale: non c'è scampo al tumore o alla leucemia che lo seguono passo passo.

Di questa stagione, però, fa buio presto. Basta attendere che il pomeriggio cominci a far posto alla sera per poter arrivare indisturbati sin sotto la tana del ragno, segarne le zampe e farlo saltare: con un botto possiamo dire addio al ronzio, per un po'.

Ma quello, dicevamo, quel pezzo di tela di ragno sulla costa toscana ha qualche cosa che lo rende singolare: non ha pace. Proprio qualche sera fa è saltato un altro traliccio dell'elettrodotto La Spezia-Acciaiolo: è circa il trentesimo gigante di ferro che cade su quella linea durante gli ultimi dieci anni e le forze dell'ordine non sanno proprio che pesci pigliare - se non riprovare a metterci di mezzo Marco Camenisch o “Anarchismo e Provocazione” e parlare di “ecoterrorismo”. Ma che ci volete fare, a seminare terrore e tumori sulle nostre terre è stato proprio il ragno con il suo passare, è stato chi ce l'ha fatto passare. E chi ci indica che il ragno, per quanto enorme e nero, non è intoccabile, l'unico moto che potrà causare non è certo quello di terrore ma quello della gioia: perché tutti possiamo, quando il pomeriggio cede alla sera, interrompere il ronzio mortale.

E non solo lì: perché le tele il ragno le disegna identiche, con identici tumori, anche lontano da quella costa, anche sulle montagne o in mezzo alle pianure, proprio sopra le nostre case.

S.V.


Come fabbricare certezze

La caduta di un boeing di linea segnò tragicamente l'apertura delle olimpiadi di Atlanta, provocando duecentotrenta vittime. L'ombra inquietante del “terrorismo” fece allora da contraltare al “gioioso” evento sportivo, marcando in tutto il mondo l'opposizione tra la terra della libertà ed i suoi nemici - i seguaci del male - che la minacciavano. L'ombra del “terrorismo”, dicevo, visto che molti commentatori, da subito, si dichiararono sicuri che a provocare il disastro fossero stati gli integralisti islamici. Col passare del tempo le piste su cui indagare si sono via via moltiplicate. Si è seguita un'ipotesi, per poi passare ad un'altra, e poi ad un'altra ancora, così che le certezze professate all'inizio sono rimaste sepolte da un mare di parole.

Prima una bomba a bordo, poi un crollo strutturale, adesso la stampa lancia l'ipotesi che ad abbattere l'aereo sia stato un missile “amico”, cioè un missile dell'esercito statunitense partito accidentalmente. A farsi portavoce di questa versione dei fatti è un ex addetto stampa di John Fitzgerald Kennedy, Pierre Salinger. Quest'ultimo ha evidenziato come l'aereo di linea, a causa dell'intenso traffico, volasse troppo basso, rientrando così in una zona dove si stavano effettuando esercitazioni navali che comprendevano il lancio di missili. Questa ipotesi è stata confortata dai fotogrammi di un video amatoriale, e dall'avvistamento da parte di un centinaio di persone di una scia luminosa che, muovendosi dall'alto verso il basso, rischiarava i cieli - teatro del tragico evento pochi attimi prima che questo avvenisse.

Non sappiamo se i fatti siano andati realmente come prospetta quest'ultima ipotesi, non è comunque un caso che questa cominci a farsi largo solo dopo la conclusione delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che si è cercato di non disturbare con velenosi sospetti. Le sofisticatissime perizie effettuate si smentiscono l'una con l'altra e non riescono a chiarire nulla: sarà forse perché gli interessi delle diverse parti che le hanno commissionate - la compagnia aera, le agenzie assicurative e il Pentagono - sono contrastanti tra loro?

Anche la certezza è una merce e la si può fabbricare. Chi più paga può comprarsela, il potere può imporla o manipolarla, e chi la diffonde - vera o falsa che sia - ci guadagna parecchi soldi. La verità è in realtà accomodante e si presta ad avallare le teorie dei dominanti, se fosse troppo scomoda allora la terrebbero nascosta con cura, e se sfuggisse ai suoi controllori questi tenterebbero di confonderla con altre mille voci. Tutto questo finché ci saranno imbecilli disposti a credere a tutto quello che gli si racconta.

Baraban


I tanti modi di fare festa

E' stata proprio una gran bella festa.

Sabato scorso piazza Signoria, a Firenze, era stracolma di gente e di colori, complice anche la bella giornata e il solito flusso di turisti. C'era il pubblico plaudente, le autorità sul palco - compresi i ministri della Difesa di quattro paesi. E naturalmente c'erano loro, i festeggiati: i militari dell'Eurofor, la nuova forza multinazionale ufficialmente insediatasi nel capoluogo toscano dal 1 ottobre, il cui Stato maggiore - al momento composto da un centinaio fra ufficiali e sottufficiali di Italia, Francia, Spagna e Portogallo - sarà comandato a turno dai generali dei quattro paesi, a cominciare dallo spagnolo Juan Ortuno Such di Alicante.

Per l'occasione il primo cittadino di Firenze Primicerio, gran lettore di Orwell, si è lasciato andare a dichiarazioni di affetto e di stima nei confronti di questi “guerrieri della pace” che a suo dire contribuiranno “alla costruzione di un mondo più giusto, equo e solidale”, manco si trattasse di boy-scout che aiutano le vecchiette ad attraversare la strada o di giovani impegnati nello scambio di arance biologiche. Inoltre - ha proseguito - “sempre più le Forze Armate diventano il simbolo di una comunità più ampia, fino a raggiungere il senso di appartenenza all'unica famiglia delle donne e degli uomini del pianeta”. Eccola qui, la mai logora retorica militarista, che continua impettita a spacciare la guerra come igiene del mondo e a descrivere chi la compie - i soldati - come nostri fratelli maggiori che difendono la collettività.

Non ce ne voglia, il sindaco Primicerio, se ci teniamo a ricordargli che prima di lui c'è stato qualcun altro che ha pensato bene di salutare l'arrivo a Firenze dei massacratori europei in divisa: ci riferiamo a quegli anonimi anarchici che lo scorso aprile hanno lasciato un pacco esplosivo davanti alla caserma Predieri, sede dell'Eurofor. Come si vede, c'è modo e modo di festeggiare le forze armate.

P.N.


Un punto di vista: il mio

E' da un po' di anni che i cani da caccia dello Stato hanno iniziato ad annusare il mio terreno. Più volte hanno invaso la mia vita e circondato di pesanti supposizioni investigative il mio essere anarchica. Anarchica, e non come parola priva di significato.

Oggi la repressione si fa più effettiva. Superando il disgusto che mi nasce dal farlo, ripeto le parole di uno dei tanti giudici in eterna corsa alla carriera, Antonio Marini: “Non si vuole condannare l'ideologia anarchica”. La cosa, infatti, per quanto gradita al potere, non è facile da gestire: in uno Stato democratico le idee devono essere tollerate. Più facile è riuscire nel tentativo di condannare coloro che non si accontentano di riempirsi la bocca di ricercata terminologia anarchica ma dell'anarchia ne fanno pratica di vita. A tal scopo servono fatti, evidenze, e che queste ultime siano reali o meno non è marginale e secondario. I fatti si creano, si costruiscono e ci sono così tante “brave” persone pronte a dare una mano per il raggiungimento di questo onorevole scopo e così tanti (molti, tutti) giudici togati e non (compreso stampa e giornalisti in genere) in grado di chiudere gli occhi di fronte alle loro luride menzogne. Nulla di sconcertante, in quanto nulla in tutto questo c'è di nuovo. I loro metodi si conoscono e chi vuole tenere gli occhi aperti, chi non vuole chiudersi alle passioni, chi non fa i conti col domani regolarizzandolo nella normalità di una vita di routine e di leggi e di noia, certo non si fa scoraggiare di fronte a tutto questo. Una delle cose che sento di dover fare è ribadire il mio essere anarchica e rifiutare il tentativo sbirresco di pormi all'interno di una montatura che tende a dimostrare l'esistenza di un organigramma. Non c'è gruppo né struttura alcuna nel quale mi riconosca o identifichi. Non c'è leader che, in quanto tale, abbia mai accecato la mia visione politica e filosofica, in poche parole la mia vita. Difendo la mia esistenza ed attacco chi di essa vuole fare un nulla, chi vuole della mia dignità di individuo fare un numero, un'entità astratta. Mi tengo lontana dagli avidi artigli del potere e continuerò ad esserlo proteggendo la mia libertà e solidarizzando con tutti coloro che nella pratica dell'attacco allo Stato hanno o rischiano di perdere quella libertà di movimento che spetta per diritto naturale ad ogni individuo.

Sì, signori giudici, è difficile condannare l'anarchia e non ci riuscirete, perché chi di essa vive di essa non perisce.

Solidarietà a tutti gli individui coinvolti in questa ennesima repressione e... a me stessa. Un abbraccio di amicizia e passione.

Angela Maria Lovecchio


Feuilleton

(Dall'interrogatorio di Namsetchi Mojdeh, 9 maggio 1995)

“Un giorno G.A. mentre mi trovavo a casa sua mi chiese dove si trovava a Roma un magazzino della Standa ed io gli ho indicato quello di Cola di Rienzo perché io andavo spesso a comprare roba in quel magazzino. Mi chiese se tale magazzino era molto frequentato e vigilato ed in particolare mi chiese se vicino vi fosse qualche caserma dei Carabinieri o qualche Ufficio della Polizia. Poiché io oltre ad indicargli dove era sito il magazzino della Standa in via Cola di Rienzo non ho saputo rispondere ad altre sue domande egli mi disse che sarebbe andato lui a vedere insieme a C.A., che è un altro anarchico, ed ad altri due giovani anarchici che io conoscevo con il nome di T. e A. Poi il 28 febbraio 1995 G. mi telefonò a casa mia qui a Roma dicendomi che dovevo andare da lui perché doveva parlarmi. Giunta a casa sua mi chiese se anche a casa mia era venuta la Polizia, avvertendomi che lui aveva subito una perquisizione e che altre perquisizioni erano state effettuate nelle case di altri compagni. Io gli risposi che a casa mia non avevo avuto nessuna perquisizione ed egli si mostrò molto preoccupato perché a casa sua proprio addosso a lui, durante la perquisizione, era stata trovata dalla Polizia una tessera per acquistare diserbanti e lui aveva paura che questo ritrovamento della tessera nella tasca dei suoi pantaloni fosse ricollegato ai fatti della Standa. Io ho ricollegato queste parole dette dal G. che due ragazze anarchiche erano state fermate dalla Polizia in un magazzino Standa mentre stavano inquinando gli alimenti. Le ragazze che erano state fermate facevano parte di un Centro occupato che io però non so meglio indicare.

Un altro episodio di cui sono venuto a conoscenza è quello relativo ad un incendio avvenuto il 30.10.1994 a Montecatini di alcuni cavi che inviavano onde a dei trasmettitori sistemati in tre box prefabbricati ed un traliccio di 40 metri. Seppi che a commettere tale attentato furono il G. di Cuneo di cui ho già parlato e la sua ragazza R. Lo venni a sapere durante una riunione in un Centro Sociale di Trento denominato “Clynamen””.

A suivre


Ma la cresta non l'abbassiamo

La mattina di Mercoledì 6 novembre la Digos di La Spezia entrava nelle case di 3-4 punx anarchici, a La Spezia e a Sarzana, con un mandato di perquisizione alla ricerca di “materiale e documenti inerenti a vilipendio delle forze dell'ordine e fatti sovversivi ...”. I solerti tutori dell'ordine democratico hanno compiuto le perquisizioni fra le 6,30 e le 7, portandosi in questura (per circa tre ore) due punx che sono stati fotosegnalati ed ai quali sono stati consegnati altrettanti “avvisi di garanzia”.

Il sostituto procuratore Massimo Scirocco (il mandato recava la sua firma), con il “supporto” della Digos spezzina, avrà voluto seguire il buon esempio di altri più famosi giudici e birri, procedendo da sé in modo assurdo e ridicolo. Ecco che anche la procura spezzina (eccitata dai riflettori che le hanno puntato addosso grazie al caso Necci) fa partire i suoi cani da caccia, dopo che ad aprile ben otto punx furono denunciati per la loro “campagna” antielettorale (denunce che non ci hanno fatto assolutamente “abbassare la cresta”), ed oggi ai due punx vengono sequestrate le proprie cose da chi li vorrebbe pupazzi inerti.

Una piccola lista del materiale sequestrato, per darvi un'idea della loro balordaggine: riviste (Canenero, sempre quello), opuscoli, tutti i numeri del nostro bollettino Rivoluzionaria Azione e di fanzine come Punk Generation, bombolette spray, mascherine (!), volantini a firma “punx spezzini”, articoli, lettere/comunicati dal carcere (di Marzio, Tesseri, Garagin...).

Questi bei signoroni pensano di poterci zittire, allineare con i loro metodi, relegandoci poi come spettatori di questo Stato di polizia. No! Non ci stiamo a cedere le nostre uniche vite nelle loro mani, non accettiamo le loro imposizioni, le loro violenze e le loro ipocrisie.

Con quest'ultima operazione di polizia credono di tapparci la bocca? Bene, già dai prossimi giorni inizieremo ad organizzare iniziative volte a rompere il silenzio, quel silenzio che loro vogliono dietro a fatti come questi.

Tenetevi informati con i prossimi numeri di Canenero; noi ci saremo ancora, e voi?

Punx contro!


Orsù, infestiamo

Gran bel sodalizio quello che lega Palazzo D'Accursio ai suoi sudditi. Bologna non ha pretese da metropoli e tende a conservare quel clima idilliaco che, con un ignobile incantesimo, tiene uniti i castelli e le capanne. Lo stesso clima che ha permesso un tempo alla città di sperimentare Sirio - occhio elettronico di sentinella agli ingressi della città - e che ha contribuito a far nascere spontaneamente una cinquantina di gruppi di vigilanza civile dell'urbe; dove una marea di sbirri privati ronzano senza sosta a difesa degli opulenti mercanti, dove i mercanti delegano al controllo gli spurghi delle loro preoccupazioni e alzano la cornetta ogni qualvolta il loro adipe si scioglie in ambascia. Laddove la comunità bolognese decide di esprimere un minimo disaccordo, un vezzo, lo fa rivolgendosi direttamente al Palazzo, dove le alchimie della politica sono pronte ad accontentare chi conta.

Stavolta sembra proprio che chi conta abbia mosso rimarchevoli indignazioni; tanto che Vitali, Signore delle due Torri, ha deciso di smantellare piazza Verdi, epicentro della cittadella universitaria, ormai infestata dagli individui più variegati, che costituiscono un serio pericolo per il bon ton dei commercianti. E così, proprio nel cuore pulsante di Bologna la dotta, vorrebbero - al posto di senzatetto, fricchettoni, sosteggiatori, cannivendoli, cartocci di vino e capannelli di discussione - piazzare loro: gli indispensabili guardiani col loro torpedone. E c'è già chi parla di militarizzazione, come se questa non avesse già ammorbato ogni angolo delle nostre vite. Vabbè, vorrà dire che, come al solito, la situazione cambierà per due o tre giorni per poi tornare esattamente come prima. Tortellone Vitali ha così la possibilità di cimentarsi nel ruolo del despota, che fa tanto piacere ai cittadini reazionari, la stampa ha di che ciarlare, gli opinionisti aprono le fauci per farci annusare il loro fiataccio da infiocchettatori di regime, i senzatetto organizzati hanno tempo per tuffare i loro ingredienti nel calderone del confronto democratico e gli sbirri l'ennesima occasione di fare da spauracchio. Niente di nuovo sul fronte balanzone, checché se ne dica; ci sarà una manifestazione - sic! - e dopo potremo tranquillamente tornare ad usare la piazza a nostro piacimento, almeno fino a quando la coltre democratica non deciderà di seppellire tutto senza troppo frastuono, lentamente.

Mai allarmarsi troppo quando i fanfaroni di Palazzo tuonano; se le loro intenzioni per ora fossero davvero bellicose, e se questo non fosse un atteggiamento di facciata, agirebbero in modo ben più velenoso.

Night gamblers - Bo


Lampi e tuoni

Giuseppina Riccobono, in sciopero della fame dallo scorso 23 ottobre, è stata ricoverata per le sue condizioni di salute, non sappiamo ancora se nell'infermeria del carcere di Rebibbia o in un ospedale civile. Anche Tiziano Andreozzi e Cristina Loforte hanno cominciato giorni fa uno sciopero della fame.

Per corrispondere con gli anarchici detenuti a Rebibbia, l'indirizzo della sezione maschile è via R. Majetti 165, quello della sezione femminile è via Bartolo Longo 92 - 00156 Roma.

Carlo Tesseri ha inviato un telegramma all'avvocato per informarlo che, al rientro nel carcere di Verona dal processo d'appello svoltosi a Trento, è stato sottoposto a un violento pestaggio da parte degli agenti di custodia.

Salvatore Gugliara si trova dallo scorso 2 novembre agli arresti domiciliari. Contrariamente a quanto avevamo riportato sullo scorso numero del giornale, questa misura gli è stata concessa per motivi di salute e non è quindi applicabile ad altri detenuti anarchici con la medesima posizione processuale.

Martedì 5 novembre, a Verona, gli abitanti di due case occupate hanno ricevuto la sgradita visita di alcuni carabinieri che - in borghese, con le armi in pugno e senza esibire alcun mandato - si sono presentati con la scusa di “cercare anarchici”. Presumibilmente si riferivano ad un abitante di quelle case che deve scontare una condanna per obiezione totale ma che comunque non sono riusciti a trovare. Questo obiettore, non avendo ovviamente alcuna voglia di finire ospite delle prigioni dello Stato, si è reso irreperibile già da qualche tempo.


Penitenza è fatta

“Hanno ragione i ragazzi e le ragazze del forte Prenestino a protestare”. Così cominciava l'articolo del manifesto in risposta ad una lettera pervenutagli in redazione, con cui gli occupanti del Forte Prenestino di Roma denunciavano lo scarso rilievo che il quotidiano comunista aveva dato ad una gravissima provocazione subita Sabato 2 novembre da parte di alcuni poliziotti che, introdottisi nel Forte, avevano sparato interi caricatori in mezzo alla folla, minacciando e malmenando alcuni avventori. Per puro caso non si è arrivati al macello, sia da una parte che dall'altra.

Una protesta più che giustificata: l'episodio era stato liquidato con un semplice trafiletto. Probabilmente se ci fosse scappato il ferito i redattori avrebbero dedicato alla vicenda la prima pagina, mentre in caso di morti scommetto che Il manifesto avrebbe subito proposto una bella manifestazione nazionale. Ad ogni modo, penitenza è stata fatta: la lettera del Forte è stata pubblicata e Sandro Medici per Il manifesto ha riconosciuto come l'entità dell'accaduto avrebbe meritato ben altro spazio ed altre argomentazioni.

Tra le altre cose, gli occupanti del Forte nella loro lettera accusavano, giustamente, il giornale comunista di comportarsi proprio come tutte le altre testate - abituato ormai a seguire solo le notizie-standard senza vagliare in modo più appropriato eventi coinvolgenti l'universo “antagonista” - citando tra gli esempi di ciò che stigmatizzavano anche il silenzio stampa sull'inchiesta giudiziaria degli anarchici partita da Roma (gli arresti, gli scioperi della fame: eventi noti ormai a tanti).

Possiamo tranquillizzarli: di tutto ciò Il manifesto non si occuperà mai. Nell'arco di un intero anno una sola volta il quotidiano comunista si è trovato costretto a farlo (escludendo gli articoli che riportavano le veline della polizia), e questo perché gli anarchici gli hanno occupato di forza la redazione romana. Poi il silenzio è calato di nuovo. Non abbiatevene a male, o Prenestini. Se non foste stati di sinistra non sarebbe comparsa neanche la vostra lettera. Così va il mondo (anche quello “antagonista”).

Mario Spesso


Le matite spuntate di Cuore

Non hanno avuto nemmeno il tempo di temperare le matite, i compagni di Cuore - il settimanale ridanciano della sinistra democratica italiana - per dare l'ultimo addio ai lettori. Si faranno ospitare - come ai bei tempi - dai compagni de L'Unità, visto che, senza preavviso, l'editore ha chiuso la testata e mandato i redattori a casa, probabilmente con la liquidazione mutilata a causa delle perdite accumulate negli ultimi tempi di vita del giornale. Il settimanale verdolino, difatti, rischia di fare fallimento dopo il crollo delle vendite di questi anni.

I compagni di Cuore, insomma, non ridono più. E se la prendono anche con l'ex-direttore storico, fondatore e compagno Michele Serra, colpevole di aver espresso più solidarietà all'editore - seppur rimproverandolo di una certa mancanza di stile per i metodi bruschi della chiusura - che ai colleghi di un tempo.

Possono essere polemici quanto vogliono ma non c'è proprio nulla da fare, i bei tempi sono irrimediabilmente passati. I tempi di Craxi, di Andreotti e, poi, di Berlusconi al governo. Vendevano bene i compagni, allora: bastava solo nominare il nome di un socialista qualsiasi che l'Italia intiera si metteva a ridere. Ma di acqua ne è passata sotto i ponti ed i poveri burloni di Cuore si erano ridotti, ultimamente, a mimare stancamente se stessi, non sapendo più bene a chi fare il verso. Oramai, ciò che c'era da dimostrare l'hanno dimostrato e non servono più a nulla: i democratici di sinistra - ci hanno ripetuto per anni - non dispongono soltanto del sorriso triste di Occhetto, del pallore di Veltroni o del ghigno burocratico di D'Alema. I democratici di sinistra sanno anche ridere, dire parolacce ed usare espressioni oltremodo sconvenienti: dei simpaticoni insomma. E poi la satira è una delle colonne della democrazia, così come i giullari lo erano nella vita delle corti. I potenti, si sa, hanno la faccia come il culo - dicono da sempre i compagni di Cuore. Qualche volta, la faccia come il culo ce l'hanno anche le cariatidi dell'opposizione, hanno anche sussurrato. E di gente con la faccia come il culo se ne incontra tanta pure per strada, dimostravano dalle paginone del settimanale. é questa in fondo la democrazia, ragazzi. E visto che queste facce e questi culi ce li dobbiamo proprio tenere, almeno ridiamoci sopra.


E con tante scuse

Ci sono film e film. La maggior parte di questi serve per rimbambire le persone, per distoglierle dall'esistenza che conducono, per far sì che non riescano più a scaricare direttamente la propria tensione e ad agire in prima persona contro ciò che le opprime.

Altri film, molto più rari, la realtà invece la documentano e, secondo qualcuno, contribuiscono ad incitare alla violenza: questa è l'interpretazione data dalla polizia tedesca del film “Hoe to come trough” che a fine settembre veniva proiettato a Francoforte nel centro culturale “Café Exzess”. Questo film evidenzia la situazione degli immigrati in Germania. Qualche scena: una gentile hostess saluta all'areoporto gli “ospiti di tutto il mondo” -taglio- le autorità di sicurezza federali chiudono in cella alcuni profughi -taglio- ignoti danneggiano i cavi in fibra di vetro della Telecom -taglio- i cittadini di Rostock applaudono l'aggressione di alcuni profughi.

Da notare che l'1 febbraio 1995 e il 9 luglio 1996 all'aeroporto di Francoforte veniva distrutto un cavo della Telecom, quello che tra l'altro serviva al collegamento con un computer centrale a cui inviare i dati sugli immigrati. Gli autori di questa azione, rimasti ignoti, venivano ricercati dalla polizia all'interno degli ambienti della sinistra.

La proiezione del film era alla fine, quando le porte del centro culturale si sono spalancate ed alcune centinaia di poliziotti si sono scagliati contro le persone presenti, circa un'ottantina. All'improvviso gli spettatori sono diventati attori: tutti trattenuti per due ore in sala, mentre all'esterno stazionavano cellulari e carri armati di idranti, oltre a numerose auto della polizia. Tutto il quartiere era stato circondato e i passanti controllati, e gli spettatori venivano poi trasportati nel cortile di un vecchio carcere di Francoforte che - secondo le indiscrezioni di una poliziotta - in origine veniva usato dalla Gestapo. Diverse persone, contro cui erano state formulate accuse di “propaganda e favoreggiamento a sostegno di attività terroristiche” (art. 129a), sono state ammanettate.

Poi abbiamo appreso da un quotidiano che la polizia ha fatto marcia indietro e ha depennato ogni accusa, distruggendo le schedature (beato chi ci crede). Il film, che era stato sequestrato, è stato restituito e non corre più il rischio di essere vietato.

Dimenticavamo, la legge non prevede che le autorità debbano fornire delle scuse. E chi se ne frega, delle scuse.

Alcuni attenti osservatori


Tenuti al guinzaglio

Ma quanti sono i sistemi di controllo e di repressione di cui si è parlato negli ultimi anni, soprattutto riguardo al problema della sovrappopolazione delle carceri. Si è parlato di scarcerare semplicemente i detenuti per reati di poco conto, di chiudere i carceri minorili, sono aumentati gli strumenti extra-carcerari di restrizione della libertà, come i bracciali per controllare elettronicamente gli spostamenti degli individui sotto vigilanza speciale. Apprendiamo che in Inghilterra li usano già da ben diciassette mesi.

Gli inglesi sono decisamente all'avanguardia, e che ciò sia merito di Tony Blair e dei suoi laburisti non v'è dubbio alcuno. Costoro, come tutti i partiti di sinistra in odore di governo, subito dopo aver fornito al Mercato sufficienti garanzie circa la propria affidabilità, hanno dovuto battersi sull'altro grande fronte, quello più popolare: l'ordine pubblico.

Chi si sia recato a Londra negli ultimi anni avrà notato come ovunque siano state poste telecamere, dagli incroci stradali all'entrata delle botteghe più microscopiche. Ora stanno progettando la costruzione di stazioni di polizia automatizzate, con telecamere, microfoni e porte blindate, ma senza personale, dove il cittadino può recarsi a far denunce, segnalazioni, potrà rifugiarsi o manifestare la propria reperibilità alle autorità. Quale opposizione incontrerà una nuova politica poliziesca europea che prevede per determinati individui, in date condizioni sociali, il controllo elettronico sin dalla tenera età? In fondo, se si fa nulla di male, non c'è di che preoccuparsi, anzi. I genitori saranno contenti: se i piccini dovessero mostrare qualche tendenza criminale è meglio saperlo ed intervenire subito per evitare il peggio.

Da qualche tempo nella banlieu parigina hanno proibito ai giovani di sostare per strada in gruppetti. Negli Usa hanno instaurato il coprifuoco per i minorenni. In Italia si è parlato di strumenti quali i bracciali, per scarcerare arrestati per droga e piccoli delinquenti.

Dappertutto parlano - la polizia come i sociologi, gli insegnanti come gli psicologi, gli urbanisti come gli assistenti sociali, il governo come le opposizioni - di prevenzione. E sempre più a questa parola viene accostato il termine tecnologia. Il controllo non è un'ossessione inglese, è un segno dell'impotenza sociale, è il sintomo della resa individuale al sistema gerarchico, alla dipendenza, alla delega.

Controllate, sì, controllate noi ed i nostri figli e se trovate il modo di controllarci in sordina, senza farlo vedere, meglio ancora, salveremo le apparenze. Pensateci voi a noi, è meglio, ne abbiamo bisogno.

Lo Spesso


Colpo gobbo

Il potere custodisce le sue ricchezze in luoghi inaccessibili, ma per farle fruttare le regole del commercio gli impongono di trasportarle nei luoghi del loro consumo. Saper approfittare di questi spostamenti, in ciò consiste la peculiarità della nobile arte della pirateria.

I pirati bordeggiano solo dove sanno di poter incrociare galeoni dai ricchi bottini e, anche solcando i mari impetuosi di turbolente fantasie fanciullesche, sono pronti ad ingaggiare duelli con chi , nelle proprie galere, volesse ridurli in ceppi a vogare. Coloro che tutto sanno trasformare in merce e profitto conoscono quanto vale la fantasia di un bambino, che non è poca cosa, ma anzi un piccolo tesoro, e tante fantasie sono una fortuna. La Disney, il colosso economico americano nato sfruttando i sogni e contabilizzando la creatività messa a marcire nelle segrete del diritto d'autore, sta distribuendo il suo nuovo film a cartoni animati - Il gobbo di Notre Dame. Per proteggere le preziose pellicole dalle mire di qualche moderno pirata, ognuna di queste viaggerà scortata da una guardia del corpo. Inutile precauzione: potenti, imprimete pure il vostro marchio su tutto ciò che nel regno abbia un valore, su tutto imponete la vostra gabella, con la forza e l'astuzia i pirati tenteranno sempre di spezzare il sacro sigillo della proprietà, per banchettare spensieratamente con l'allettante bottino. All'arrembaggio.

pixie


Le droghe dello Stato

Sabato 16 Novembre a Torino si terrà una manifestazione “per la legalizzazione della marijuana e la riduzione del danno” promossa da varie organizzazioni giovanili di partito, da Magistratura democratica, dalla Cgil, nonché dal manifesto. Certa anche la partecipazione di alcuni Centri sociali che, pur riconoscendo alla sinistra istituzionale la paternità dell'iniziativa, non vogliono rinunciare a pronunciarsi sul tema.

Ora, due sono le riflessioni possibili: la prima riguarda il fatto che per tutti coloro che sono intervenuti politicamente sul tema sembra scontato che il fulcro del problema risieda nella mancanza di leggi adeguate (realistiche, progressiste, eccetera). La seconda verte sull'atteggiamento degli interessati riguardo alle “droghe”: non a caso si parla specificamente di marijuana mentre per l'eroina si accenna solo all'introduzione di una prassi assistenziale di supporto; di altre “droghe”, non si parla.

A parte le possibili considerazioni da fare sulla realizzabilità dell'ipotesi che in una tale società si vogliano e si possano impiegare soldi e risorse per evitare sofferenze ai tossicodipendenti (a meno che non rendano moltissimo, si fa più bella figura aiutando altri, che so, i bimbi affamati del Ruanda), ridurre il danno - come pure rendere libero il commercio della marijuana - equivarrebbe a legittimare la democraticità del sistema capitalistico che tollera paternamente e cristianamente anche i suoi figli più sfigati, purché ad esso si rivolgano, per curarsi o per consumare.

Il sistema non ha il problema di decidere se tollerare la marijuana. O l'eroina. Esso vende svende e ci propina quotidianamente veleni ben peggiori. Il suo problema è il mantenimento della nostra dipendenza nei suoi confronti. Avete un problema? Insistete. Se andate avanti a lungo e siete tanti, vi accontentano. Qualcuno dubita che dopo possano esserci - se già non esistono - droghe “peggiori”? E quale dipendenza è preferibile, quella da un governo - o autogoverno - o quella da una sostanza? Da quale pensate sia più difficile liberarsi? Da quale volete liberarvi?

Sinceramente non capisco perché ci si debba impegnare tanto per il problema della tossicodipendenza senza mai affrontarla come fenomeno istituzionale, e non politico, medico, o sociologico. Forse perché le soluzioni non parrebbero più così a portata di mano. Certo, una legge è sempre più raggiungibile della rivolta.

Basta accontentarsi.

M.S.


Non l'ho letto - non l'ho visto - ma qualcuno mi ha detto

Giuseppe Rensi
Filosofia dell'autorità
De Martinis & C., Catania 1993
pagine 232, lire 28.000

La Verità, di questi tempi, non gode molta fortuna. Lo scetticismo, al contrario, sembra offrire ogni virtù. Si è scoperto che la pretesa del vero è parente stretta della volontà di dominio. I dogmi, le ideologie e ogni odore di ortodossia sono dunque in svendita. Si è tutti relativisti, perché così vuole la libertà.

Ben venga, allora, questo libro di Rensi, in cui si mostra come lo scetticismo sposi infine la causa dell'autorità. La tesi, svolta con tagliente consequenzialità e con quella chiarezza e quel gusto della digressione che furono dei grandi moralisti classici, è semplice. Non esiste il bene. Esiste solo la parola “bene” dietro la quale ognuno mette quello che vuole. L'universalità del bene - il fatto, cioè, che tutti siano favorevoli a questo valore - è un accordo nominale e niente di più. Sotto il nome, non è che lotta e conflitto continui. Questo vale anche per la verità, la libertà, la bellezza e tutti gli altri universali etici ed estetici. Il giusto, il vero e il bello che dominano in una società sono sempre determinati dalla forza, cioè dall'arbitrio, con buona pace di tutti i fondamenti assoluti della morale. Ora, senza arbitrio non vi sarebbe la possibilità di imporre a chicchessia un giusto e un vero comuni, non vi sarebbe la possibilità di leggi e, dunque, di alcuna vita associata. Ma, essendo quest'ultima necessaria agli uomini, necessaria diventa anche l'autorità, cioè la forza. Lo scettico, quindi, accetta l'autorità in carica, convinto che ogni cambiamento non farebbe che sostituire un bene ad un altro bene, arbitrio ad arbitrio. Ecco il ragionamento di Rensi.

Detto di sfuggita, non si capisce perché, in questo quadro, egli rimproveri a Kant o a Rousseau di aver voluto dare - imbrogliando il pensiero - un fondamento universale al bene. Dal suo punto di vista la giustificazione razionale dell'universalità dei valori non dovrebbe essere che un'arma di guerra. Perché mai chi difende l'autorità - cioè l'arbitrio necessario - non dovrebbe usare, oltre alla forza, la menzogna? Oppure solo il filosofo è il custode del retto ragionare, cioè di quella Verità la cui pretesa non è che vuoto nominalismo, cioè pura “irrazionalità”? Insomma, in battaglia ogni strumento vale. Tanto più che se si togliesse all'autorità il potere di rappresentarsi come collettività, cioè di mostrare come comuni interessi che in realtà sono di gruppo, di casta, di classe, la si priverebbe di un suo fondamentale sostegno: l'ideologia.

Da quando Rensi scrisse questo libro (1920) sono passati più di settant'anni. A trionfare oggi non sono più il razionalismo e lo storicismo di un Croce e di un Gentile, ma un pensiero che della presunta critica ai valori assoluti ha fatto la giustificazione del potere democratico, delle “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia. Le sue tesi scettiche non porterebbero certo il nostro filosofo, come gli capitò durante il fascismo, ad essere incarcerato. L'obbedienza del “saggio” all'autorità è la sola conquista che si è generalizzata, per di più con l'alibi della libertà.

La democrazia, mentre ha abbandonato la Verità ai “reazionari”, ha confezionato opinioni per tutti. E in questo spettacolo (la chiesa da un lato e i laici dall'altro, tradizionalisti in disuso contro progressisti senza progresso) l'unica verità indiscutibile è l'esistente. Non so cosa penserebbe il “relativismo” di Pirrone o di Protagora, certo è che rispetto alla polis l'unico progresso della democrazia è nel numero degli schiavi.

Oggi non è possibile parlare di menzogna rispetto, ad esempio, ai mass-media, senza essere accusati di avere ancora fede in un'obiettività da difendere. Criticare - nei discorsi e nella pratica - la sofisticazione dei cibi e dei rapporti, rivelerebbe il sogno di un'autenticità estorta dal capitale, dunque avrebbe il senso di una pretesa veritativa. Per farla breve, la rivoluzione, la quale si appoggia su questo mondo come una lima si appoggia alle sbarre da segare, sarebbe una nostalgia metafisica!

Come si vede, non c'è che un modo di sbarazzarsi della Verità: quello di accompagnare nella rovina anche i suoi falsi nemici.

M.P.

 

Re Nudo
Rivista mensile
ottobre 1996, numero uno
Re Nudo edizioni, Frosini (SI)
96 pagine a colori, lire 7.000

Denudare i re, all'epoca dei figli dei fiori, era cosa che veniva assai naturale. Spogliati della loro severità e intoccabilità, li si guardava con scherno, come a dire: “sotto sei nudo anche tu, sei come noi”. é rinata, per la gioia di fricchettoni ed ex-militanti della sinistra extraparlamentare, una rivista vissuta negli anni settanta, carta impregnata d'incensi e misticismi. La rivista torna alla luce in veste rinnovata, con una grafica di lusso, un prezzo pesante e pretese altisonanti. Come ci fa notare Majid Valcarenghi, il direttore, il mensile si propone una scommessa, quella di estrinsecare un nuovo modo di fare giornalismo, una collaborazione continua e interattiva, un'oasi liberata dai luoghi comuni dell'informazione normale, una tribuna per penetrare in fondo a se stessi e per raggiungere nuove dimensioni.

Quella che proclama essere una delle vere ricchezze della rivista è la diversità di coloro che ne prendono parte, una diversità tutta a favore del confronto e della crescita spirituale di ognuno. Di una gran bella fatta, questa diversità, non c'è che dire: il santone Osho che svela l'impossibilità di dare risposte giuste perché la vera risposta è nel non sentire più il bisogno di domandare, la rockstar Vasco Rossi che consiglia lo Stato di occuparsi del traffico e di far pagare le tasse, l'editorialista progressista Michele Serra, quel pretaccio del Dalai Lama, il redivivo Giorgio Gaber tagliente come un grissino, gli psiconauti, gli affermati psicologi, le pubblicità dei centri di meditazione che pensano a come spiritualizzare gli adepti per materializzare il proprio conto in banca.

Ricorrente fino all'asfissia il tema dell'Oriente come mondo incontaminato da cui trarre i benefici dell'anima e la pace interiore. Una pace interiore che è distacco dalla realtà, rifiuto di un intervento deciso mirato al suo abbattimento, critica flebile e quasi inesistente alle cause di qualsiasi schiavitù. Tante parole, intrecciate, ricamate, dolci e mielose. Fra uno spinello e l'altro sale in aria insieme alle capriole di fumo tutto quello che la rivista si propone: il proprio distacco dalla realtà. Cercate pure voi stessi, pregate se volete. Concludo con Gaber, abile parolaio: “Di tutte le parole dette inutilmente dovrete rispondere nel giorno del giudizio”. Che vi piomberà addosso nel bel mezzo di una meditazione.

I.N.


Che schifo

Dalle poche e pilotate righe che la stampa ha dedicato all'operazione poliziesco-giudiziaria che ha portato all'arresto degli anarchici, abbiamo tratto alcune delle menzogne più clamorose, utili per apprendere qual è il modo più spiccio per un giornalista di fare carriera. Non avere un pensiero e saperlo esprimere - è questo che fa di qualcuno un giornalista.

“Gli anarchici italiani sono inquadrati in una struttura gerarchica, con capi e gregari: la Federazione anarchica italiana (Fai). Della federazione Bonanno e i suoi hanno rappresentato per anni l'ala più estremista e indulgente verso l'uso della violenzaÉ Ed era uno di loro, De Blasi. Pare provenisse dagli ambienti dell'eversione nera. Quell'anno, a Roma, i Nocs della polizia uccisero nel corso di un conflitto a fuoco quattro anarchici responsabili del sequestro Belardinelli” (Andrea Cangini, La Nazione)

“Sembra che durante le perquisizioni siano stati trovati dei candelotti di esplosivo pulvirento, detonatori di otto millimetri in alluminio e micce a lenta combustione del tutto simili a quelli utilizzati per gli attentati alle strutture Enel della linea Spezia-Acciaiolo... A capo dell'organizzazione Alfredo Maria Bonanno, che è stato arrestato dai carabinieri del Ros di Firenze nella sua casa di campagna a Bagno a Ripoli... il personaggio di maggior spicco. Secondo quanto da lui stesso dichiarato dopo essere stato arrestato per aver svaligiato una oreficeria di Bergamo compiva rapine per autofinanziare le sue attività di propaganda... Un ordine di custodia cautelare è stato notificato nel carcere di Livorno a Orlando Campo, 42 anni, calabrese di Campocalabro, arrestato a Roma quattro anni fa nel covo di via della Garbatella. L'inchiesta prese l'avvio proprio in seguito alla scoperta di quel covo dove venne trovato anche l'armeno Gregorian Garagin” (Giorgio Sgherri, L'Unità/Firenze Mattina)

“ViaÉ, sesto piano, prima porta a sinistra. Stava qui il covo torinese dell'Organizzazione rivoluzionaria anarchica insurrezionalista, il gruppo di neo-terroristi sgominato in tutta Italia dai Reparti operativi speciali dei carabinieri” (Angelo Conti, La Stampa)

“casse e casse di opuscoli, volantini e pamphlet di un gruppo che si firmava “Anarchismo e provocAzione”, una delle filiazioni giornalistiche dell'organizzazione (un'altra pubblicazione “Cane nero”, si stampava a Firenze)” (Massimo Lugli, La repubblica)

“Le indagini dei Ros sono state avviate dopo le perquisizioni del 1991 nell'abitazione catanese di Alfredo Bonanno, nel corso delle quali sarebbe stato rinvenuto materiale compromettente riguardante preparazioni di rapine o sequestri di persone, che avrebbero provato i collegamenti di Bonanno con gli esponenti dell'anarchia europea” (Salvo Barbagallo, La Sicilia)

Infine, il settimanale anarchico “Umanità Nova” ha deciso di rompere il suo prolungato silenzio sulla vicenda, pubblicando sul numero del 10 novembre una breve nota.


Fuoco sul carro funebre

Alla fine del mese di ottobre è morto Emilio Lopez Arango, direttore del giornale anarchico argentino La Protesta, ucciso con tre pallottole di rivoltella esplosegli in pieno petto. Smanioso di convertire il mondo ai propri ideali, Lopez Arango giudicava indispensabile estirpare dal seno del movimento il cancro del banditismo praticato da “volgari delinquenti che si dicono anarchici o che in precedenza lo sono stati” e “che fanno più danno all'anarchismo che alla borghesia”.

Per questo motivo trascorse la sua breve esistenza a calunniare quegli anarchici la cui attività riteneva nuocesse all'immagine del movimento di fronte al grande pubblico, denunciandoli come fascisti, provocatori, strumenti della polizia.

Questa sua attitudine alla diffamazione gli aveva attirato l'odio di molti, persino degli operai panettieri argentini, che usavano chiamarlo “pompiere” perché si adoperava indefessamente a placare ogni loro atto di ribellione, e che in più di un'occasione l'avevano minacciato di morte. La sua uccisione è avvenuta per mano di un anarchico.

Per chi non lo sapesse, si tratta di un episodio successo oltre sessant'anni fa. Tutto qui.


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