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Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n.
18/89 del Tribunale di Cagliari
Non è solo una questione di proporzioni. Ci pare sempre di essere piccoli piccoli, di fronte a questo mondo che ci sommerge e che ci sembra non solo incomprensibile con il suo insieme infinito ed intricato di rapporti, di dipendenze tra infinite cause ed infiniti effetti ma anche sostanzialmente inattaccabile.
Sì, certo, lo vorremmo rovesciare questo mondo, li vorremmo distruggere questi rapporti, ma non sappiamo da dove cominciare; tutto ci sembra inutile, tutta la nostra furia distruttrice sembra ridursi a un quasi inoffensivo solletico ad un impassibile gigante. I nostri cuori si accendono per la rivolta, ma quante volte ci siamo scontrati sulla supposta immu-tabilità del gigante che ci opprime? La pentola bolle, pensiamo; ma non sappiamo come scoperchiarla, questa benedetta pentola, non ne capiamo il verso né il significato. E pur se l'urgenza delle cose ci spinge sempre all'azione, questa non ci sembra che riesca ad innescare quei meccanismi in grado di mettere in seria difficoltà l'esistente. Le nostre continue testate contro il mondo non riescono a riprodursi, a scatenare le passioni, le feste selvagge e collettive, le rivoluzioni che desidereremmo. Eppure il gigante, lo sappiamo bene, non è né così grande né così impassibile come ce lo immaginiamo. La festa è sempre dietro l'angolo, perché se sono infinite le strade del dominio lo sono anche quelle della rivolta: il gigante che abbiamo in testa nella realtà è un insieme, enorme sì, ma ben concreto, di relazioni che utilizzano determinati canali, determinate strade. Strade che sì, si possono bloccare, innescando, a volte, meccanismi imprevedibili.
Una simile eventualità da qualche settimana sta facendo vivere momenti difficili al governo francese. I camionisti quelli salariati, che percorrono la Francia e l'Europa avanti ed indietro per trasportare le merci per conto del capitale sono in sciopero. Non solo tutte quelle merci non verranno comprate e vendute, con tutti i problemi conseguenti per le città francesi e per l'economia; infatti, per sciopero i camionisti francesi non intendono la semplice astensione dal lavoro. No, loro parcheggiano i propri bestioni alle porte delle città, sulle autostrade, e bloccano il traffico; oppure accerchiano le raffinerie, per impedire i rifornimenti di carburante.
Bordeaux è già completamente bloccata, come una parte consistente delle città dell'ovest e del sud-est, e a Parigi sta cominciando l'assedio. Pensate cosa può scatenare una situazione di blocco di questo tipo protraendosi: già adesso, a pochissimi giorni dall'inizio della protesta, alcune fabbriche stanno rallentando notevolmente la produzione. Senza materie prime le industrie non possono lavorare, così come non possono lavorare se i loro prodotti non vengono trasportati né venduti. E insieme alle fabbriche saltano gli uffici, i ministeri.
Cosa può succedere in una città bloccata? Tutto o niente, è una questione di tempo. Le città sono costruite attorno al lavoro e al suo tempo. Il tempo delle città è quello scandito dalle lancette degli orologi, che ticchettando ci regolano la vita marchiando a fuoco i nostri giorni. L'ufficio, la famiglia, le domeniche, le serate: la sopravvivenza non sopravvive senza il ticchettio degli orologi.
In una città bloccata, però, il tempo può non aver più bisogno di quadranti e di lancette, si sgancia dal lavoro, può dilatarsi e restringersi fino all'inverosimile o fino a scomparire.
Questo per il gigante può essere pericoloso. Vuoi vedere che, senza il tempo, alla gente vengono bizzarre idee in testa, che nascono strani vizi, che si scatenano meccanismi imprevedibili tanto da scavalcare i limiti angusti della rivendicazione, al di là dei quali non importa più che cosa vogliono contrattare i camio-nisti, se il salario, la pensione o le ore lavorative, perché ciò che si gioca è tutt'altro e di tutti.
Oppure può non succedere nulla, in una città bloccata. Può essere solo una enorme, tristissima, domenica.
La pentola bolle e non è solo una questione di proporzioni: il gigante non è mai troppo grosso per noi, non può ancora dormire sonni tranquilli. Le sue arterie che siano strade, elettrodotti o reti informatiche sono scoperte e possono essere tagliate generando un'infinita ed imprevedibile serie di possibilità.
Il Panda
Lo hanno trovato in cella, impiccato con la manica del pigiama. Una morte che avrebbe dovuto esser silenziosa, quella di un immigrato prigioniero nel carcere bolognese della Dozza, viene invece amplificata dalla flebile voce delle cronache quotidiane grazie a una perizia medica, inaspettatamente zelante, che svela la verità: alcuni secondini hanno ucciso l'uomo e, successivamente, ne hanno inscenato il falso suicidio.
Poca cosa. La Giustizia, se proprio dovrà farlo, allestirà il suo spettacolino autoassolutorio redarguendo i propri servi fedeli per reinserirli nei ranghi, al momento opportuno, come aguzzini. Non mancherà una stretta di mano al coscienzioso medico del carcere, e magari un trasferimento ad altro incarico. Così i detenuti potranno in santa pace tornare a suicidarsi, o essere suicidati, o in alternativa regalare alla morte tutto il tempo che lo Stato ruba loro nelle sue galere.
Certo, un immigrato morto non è poi un grosso problema.
Così come silenziosamente sbarca sulle spiagge d'occidente, allo stesso modo può ingrassare i meccanismi del dominio o da questi essere triturato. Senza fare rumore. Se non saprà alzare la sua, di voce, l'unica che sentirà sarà quella pacificatrice ed arrogante del suo oppressore.
Pixie
Tra pochi giorni sarà il 12 dicembre, ventisettesimo anniversario della strage di Piazza Fontana.
Anche quest'anno, come ogni anno, ci saranno manifestazioni, cortei, dibattiti, convegni. Anche quest'anno, come ogni anno, parteciperanno i familiari delle vittime, i sopravvissuti, i giornalisti, gli intellettuali, i politici. Un mucchio di brave persone che a turno prenderanno la parola e terranno discorsi pieni di dichiarazioni di ferma condanna e di appelli per non dimenticare. E soprattutto chiederanno che finalmente si venga a conoscenza della verità, una richiesta alimentata dalla recente scoperta in un magazzino del Viminale nei pressi di Roma di duecentosessanta faldoni di documenti relativi alle inchieste sugli anni della cosiddetta strategia della tensione.
Già, la verità. L'unica cosa al mondo per cui valga la pena fare un po' di rumore, per questi signori, anche se solo una volta all'anno. Quella verità che per ottenere sono disposti a tutto; persino a perdonare. Diteci cosa è veramente accaduto e non se ne parli più. Solo se sapremo potremo fidarci di voi e l'unità nazionale potrà dormire sonni tranquilli. Ecco che cosa verrà detto il prossimo 12 dicembre.
E nulla potrà impedirmi di pensare che è ormai impossibile aprire bocca senza suscitare la più disastrosa delle confusioni, che questo mare di parole che sta per sommergerci sarà solo capace di annegare ogni considerazione reale, di assopirci ancor di più a furia di chiacchiere. Perché non sarà di certo quella montagna di carta ritrovata a Roma a svelare i misteri di quella strage, perché non esiste alcun mistero. Tutti sanno chi ha voluto la strage di Piazza Fontana. Tutti l'hanno sempre saputo. Ed è anche stato detto, da pochi prima e da molti dopo. Ma non è cambiato niente, proprio niente. Perché qualcosa potesse cambiare, la verità su quella strage doveva riempire non solo la bocca, ma anche il cuore delle persone, traboccando da tutto il loro corpo fino ad armarne il braccio.
No, non c'è bisogno di fare luce su quella strage, perché luce è già stata abbondantemente fatta. Una luce talmente forte da rendere ciechi gli occhi di tutti, che ora vagano brancolando in una nuova forma di oscurità. Prima si avevano gli occhi per vedere ma non si sapeva dove guardare. Oggi si sa dove guardare, ma non si hanno più occhi. Ci rimangono solo le parole.
Anche quest'anno, come ogni anno.
A.P.
Per quanto possa sembrare di cattivo gusto non riesco mai a nascondere la mia letizia quando vengo a sapere che due cacciatori, nell'adempimento del loro hobby domenicale, si sono presi a fucilate tra loro. Mi pare ben che la loro bramosia di macchiare di sangue il proprio carniere trovi solo così adeguata soddisfazione. E mi piace immaginare la preda fagiano, coniglio o cinghiale che sia voltarsi indietro e scoppiare in una risata nel vedere la fine che hanno fatto i suoi potenziali assassini.
Questa scena si è ripetuta pochi giorni fa a Padova, ma con una variante particolarmente significativa: ad essere cacciato era un essere umano. Un poliziotto in borghese aveva infatti adocchiato un borseggiatore che si era appena impadronito di un portafoglio, e si è lanciato al suo inseguimento. Una folle corsa a piedi per le vie del centro cittadino, interrotta dall'intervento provvidenziale di un'automobile, che ha investito lo zelante poliziotto riducendolo in coma: la sua ansia di catturare la preda gli è costata cara. Alla guida del veicolo, un carabiniere. I cacciatori, questa volta di uomini, si sono impallinati tra loro.
E ancora una volta, non posso evitare di pensare alla loro preda che si allontana tranquilla, finalmente in salvo, scossa non più dalla paura ma da un eccesso di ilarità. Lo stesso che ha scosso anche me.
M.Z.
16 novembre - Palermo. È stata incendiata la vettura del maresciallo dei carabinieri di Pollina.
17 novembre - Gioia Tauro. Dalla piazza centrale del paese è scomparso il busto di tale Antonio Barone, soldato di leva diventato martire quando nel lontano 1908 fece scudo al proprio comandante preso di mira da un rivoltoso durante una sommossa popolare.
18 novembre - Roma. Tre guardie giurate hanno rapinato un istituto di vigilanza privata dopo aver immobilizzato i colleghi. Erano banditi travestiti, naturalmente.
18 novembre - Florida. La lezione era un po' noiosa, così l'alunno di un liceo ha pensato di vivacizzarla mettendo Lsd nella bibita dell'insegnante.
21 novembre - Corsica. Tre attentati dinamitardi hanno colpito gli uffici della Camera del Commercio e dell'Industria a Bonifacio, un deposito della France Telecom a Porto Vecchio e la dogana a Toga. Gravi i danni e nessuna vittima.
21 novembre - Praga. Un misterioso incendio è scoppiato all'interno del Parlamento, devastando diverse stanze che si trovavano all'ultimo piano dell'edificio barocco.
22 novembre - Rotterdam. Un monumento posto nel centro della città è stato fatto crollare a terra. Per la cronaca, la statua raffigurava quell'Erasmo autore dell'Elogio della pazzia.
23 novembre - Bangalore (India). Il primo concorso di Miss Mondo svoltosi in India si è concluso con questo bilancio: violenti scontri tra i dimostranti che volevano assaltare il palco della sfilata e la polizia, che hanno portato all'arresto di duemila contestatori, nonché un suicidio di protesta contro questa ennesima invasione culturale da parte dell'occidente.
24 novembre - Sassari. Mentre stavano facendo rientro alla loro stazione, quattro guardie forestali sono state prese a fucilate e sono rimaste ferite.
24 novembre - Budapest. Mesut Yilmaz, leader della formazione politica di destra turca denominata partito della madrepatria, è stato aggredito da uno sconosciuto mentre si trovava in un hotel, rimanendo ferito lievemente al volto.
24 novembre - Signa (Firenze). Hanno svaligiato un paio di casseforti del Comune dopo essersi barricati dentro. E non hanno nemmeno fatto dormire i vicini, tenuti svegli dai colpi di mazza e lamentatisi più volte contro i ladri troppo rumorosi.
A dire il vero, non capisco bene cosa si intenda oggi quando si parla di "illegalismo". Pensavo si trattasse di un vocabolo ormai in disuso, che non sarebbe più sgusciato fuori dai libri di storia del movimento anarchico, rinchiuso per sempre in compagnia dell'altrettanto vetusto propaganda col fatto. Quando negli ultimi tempi ne ho sentito riparlare, con toni critici quanto spudoratamente strumentali, non ho potuto trattenere un moto di stupore. Comincio a non sopportare questa mania di rispolverare vecchie polemiche pur di non affrontare nuove discussioni, ma tant'è.
Una cosa comunque mi sembra di averla capita. L'illegalismo di cui si (s)parla oggi non è quel concetto di cui si dibatteva animatamente in seno al movimento anarchico all'inizio del secolo. All'epoca questa definizione soleva indicare per lo più tutte quelle pratiche proibite dalla legge utili per risolvere i problemi economici dei compagni: rapine, furti, contrabbando, contraffazione di denaro e quant'altro. Mi sembra che oggi alcuni anarchici a corto di argomenti stiano tentando con troppa disinvoltura di attribuire al termine illegalismo il significato di una esaltazione fine a se stessa di ogni comportamento vietato dalla legge, non solo di quelli dettati da esigenze di sopravvivenza. Insomma, l'illegalismo diventerebbe una specie di teorizzazione dell'illegalità eretta a sistema, a valore di vita.
Qualcuno si è spinto più in là, fino a biasimare aspramente un non meglio precisato "illegalismo a tutti i costi", vagheggiando di compagni che infrangono la legge quand'anche potrebbero fare altrimenti: così, tanto per assaporare il brivido del proibito o magari per appagare un qualche dogma ideologico. Mi domando come abbia fatto quel qualcuno ad imbattersi in questo illegalismo a tutti i costi, dove ne abbia sentito parlare. Chi potrebbe essere tan-to grullo da sfidare i rigori della legge quando potrebbe farne a meno? Nessuno, è ovvio.
Ma probabilmente il punto su cui bisognerebbe riflettere è un altro. Può un anarchico fare a meno di sfidare la legge? Certo in molte occasioni ciò è possibile. Ad esempio, in questo momento sto scrivendo su un giornale che esce a norma di legge: sono forse un anarchico legalista? E se invece questa sera andassi ad affiggere manifesti clandestini, diventerei per questo un anarchico illegalista? Ma allora, cosa mai distinguerà queste due categorie di anarchici?
La questione del rapporto fra un anarchico e la legge non può essere liquidata in un modo così sbrigativo e fuorviante. A mio avviso l'agire di un anarchico non può essere condizionato dalla legge, né in positivo, né in negativo. Voglio dire che a sospingerlo non può essere il rispetto reverenziale della normativa vigente in quel momento, e tanto meno il gusto della trasgressione fine a se stessa, quanto le sue idee e i suoi sogni, uniti alle sue attitudini individuali. In altre parole, un anarchico può essere solo un alegale, un individuo che si propone di fare ciò che più gli piace al di là della legge, senza basarsi su ciò che è consentito o vietato dal codice penale.
Certo, la legge esiste e non si può far finta di non vederla. So bene che c'è sempre un manganello pronto ad attendere i nostri desideri al varco della loro realizzazione, ma questa minaccia non dovrebbe influenzare la decisione sui mezzi da impiegare per realizzare ciò che più ci sta a cuore. Se ritengo importante pubblicare un giornale cosa questa considerata lecita posso ben cercare di seguire le disposizioni della legge sulla stampa per evitarmi inutili fastidi, giacché ciò non modifica affatto i contenuti che intendo comunicare.
Ma se considero altrettanto importante compiere un'azione considerata illecita come l'attacco contro le strutture e le persone del potere non è di certo agitandomi davanti gli occhi il drappo rosso dei rischi cui vado incontro che mi si può far cambiare idea. Se mi regolassi diversamente, sarebbe il codice penale a suggerirmi quale deve essere la mia condotta, limitando di molto le mie possibilità di agire e quindi di esprimermi.
Ma se è un controsenso definire "illegalista" un anarchico, altrettanto assurdo sarebbe attribuirgli la qualifica di "legalista". Come potrebbe un anarchico, un individuo che desidera un mondo senza autorità, sperare di poter realizzare il proprio sogno senza mai infrangere la legge, che dell'autorità è l'espressione più immediata, senza cioè trasgredire quelle norme che sono state appositamente stabilite e scritte per difendere l'ordine sociale? Chi intende trasformare radicalmente questo mondo dovrà necessariamente mettersi prima o poi contro quella legge il cui fine è la sua conservazione.
A meno che. A meno che quel desiderio di cambiare il mondo che pur cova nel cuore di questi anarchici, venga in qualche modo subordinato alla preoccupazione di correre rischi, di venir perseguitati dalla polizia, di essere coinvolti in qualche inchiesta, di perdere l'apprezzamento di amici e parenti. A meno che la libertà assoluta cara agli anarchici venga sì considerata una gran bella cosa, ma più che altro dal punto di vista teorico quello che si manifesta nelle chiacchiere inoffensive da scambiarsi in sede dopo una soffocante giornata di lavoro , perché dal punto di vista pratico la saldezza del dominio non concede alcuna speranza. Allora diventa consigliabile far diventare concreta l'utopia, collocarla coi piedi per terra, coniugarla col buon senso, giacché la rivoluzione non potrà mai essere considerata lecita da nessun codice penale.
Basta col sognare l'impossibile, cerchiamo di ottenere il tollerabile. Ecco, ora le invettive contro il mito dell'illegalismo da parte di certi anarchici acquistano un significato preciso. Quello di giustificare la propria interessata predisposizione a conformarsi ai dettami della legge, accantonando ogni velleità di sregolatezza. In nome del realismo, naturalmente.
Penelope Nin
Quando il potere percorre i tappeti rossi della sua autocelebrazione le trombe squillano. E squillano forte, affinché tutti le debbano udire. E il Pds, che del potere si sta innamorando sempre più, ora che ha smesso i panni dell'oppositore per vestire quelli del despota, ha deciso che deve omaggiarlo con il lirismo della musica. Quello che più si adatta a questa necessità dello stuolo di aguzzini della Quercia detentori della possibilità di decidere sulle vite degli altri non può essere che un inno. L'inno della maestà.
Così, quando a febbraio si riuniranno per dar vita al congresso, le loro imposture verranno introdotte e sancite dalle note di una vecchia cariatide musicante. Chi mai, se non uno dei musicisti italiani più quotati all'estero, sempre pronti a scodinzolare dietro ai potenti per un briciolo di notorietà, poteva farsi carico di un impegno così pomposo? Vi ricordate le musichette che accompagnavano le gesta da duri dei polverosi personaggi degli spaghetti western di Sergio Leone? Ecco, sarà quello lo zelante bardo. Tale Ennio Morricone. Dalle stalle alle stelle. Dagli spari agli spurghi. Gli infetti spurghi di chi detta la legge. Lo staff di D'Alema, composto da qualificatissimi e professionali modellatori di sterco, ha dichiarato che quest'anno si occuperà in modo particolare della coreografia. Certo, i soldi non dovrebbero mancargli per allestire con tutti i riguardi un altare sbrilluccicante e maestoso. L'estate è stata lunga, e di imbecilli che lavoravano come volontari alle feste de l'Unità ce ne sono stati a bizzeffe. Un marchingegno, questo, in grado di macinare quattrini in quantità impressionante, forte soprattutto di quell'impegno e del sacrificio che i compagni hanno sempre giurato ai propri capipopolo.
Che Morricone avesse, come tutti gli odierni menestrelli, le mutande sporche della fanghiglia politica, si poteva benissimo immaginare. Del resto, c'è ben poca differenza fra musicare le pazze cavalcate dei film della Rai e glorificare le porcate delle scrofe del Pds.
A destra come a sinistra, è fin troppo evidente, c'è la sicurezza di andarsi a schiantare nella miseria della sottomissione. O forse qualcuno ci tiene a specificare che qualche differenza c'è, che sulle note di Morricone c'è più gusto ad esser servi?
Il notturno
Dall'istante in cui la nostra penna tocca la carta e lascia il suo segno noi non siamo più i padroni delle nostre parole: iniziano a vivere di vita propria, a volte per anni e anni, ogni volta ripetute, stravolte o negate da mani ed occhi sconosciuti. Figuratevi le canzoni, che hanno diffusione ancora più veloce ed ampia. Uscite dalle nostre bocche e dalle nostre chitarre, nate insieme a lotte, scontri ed amori eccessivi, si perdono. Da segni, da frammenti di emozioni e situazioni, si mutano in rappresentazione, in merce che a forza di riproporsi e riciclarsi diviene sterile, non vibra più di vita.
Le canzoni sovversive finite le barricate che le hanno generate sono fatte, nel migliore dei casi, per diventar cibo per gli studiosi del folklore popolare. Altrimenti riscalderanno col fuoco dei ricordi vecchiaie spente o, peggio ancora, entreranno debitamente riarrangiate nei repertori di grattacorde più o meno conosciuti.
"Sbirri inorridite se la dinamite voi scrosciare udite contro l'oppressor...", così cantavano tanto tempo fa gli anarchici, promettendo al mondo un duello all'ultimo sangue; le canzoni di quegli anni raramente non sottoponevano padroni e carcerieri a mitragliate di parole. Chi di noi non si è sentito più sicuro e meno solo fischiettandole? E chi, però, non ha avvertito una sete ancora più ardente per quell'insicurezza e quella solitudine che sole potranno farci comporre nuove rivolte e far esplodere nuove e più nostre imprevedibili canzoni?
"Sbirri inorridite...", si diceva. Ma per quale ragione dovrebbero mai inorridire le guardie carcerarie di Prato, quando queste stesse strofe saranno loro declamate di fronte? Probabilmente non batteranno ciglio, visto che a cantare saranno quattro attempati ed onesti signori: il sindaco di Prato, il presidente della Provincia pratese, un assessore provinciale ed il sindaco di Vernio.
Sì, perché con Babbo natale arriveranno nel carcere pratese della Dogaia anche questi quattro menestrelli, a tempo perso specializzati in canzoni popolari, di protesta, della resistenza ed anarchiche.
Organizza il concerto la direttrice della casa di pena, in occasione del tradizionale scambio di auguri tra i rappresentanti delle autorità locali e i detenuti.
Qualcuno, toccato nelle sicurezze e negli affetti, avrà molto da ridire riguardo il singolare connubio tra gli inni delle rivolte passate e le carceri moderne. Ma in fondo non c'è proprio nulla di così strano in tutto questo. E se anche ci fosse qualche cosa di realmente fastidioso, che ce ne potrebbe mai importare, rapiti come siamo nell'inventare nuove canzoni che mai potranno essere ascoltate senza terrore da guardie e padroni?
A.V.
Checché se ne dica, sta dentro le chiese, gli oratori, le cattedrali, sotto le tonache dei frati e sovrasta le opere pie di tanti volenterosi e bravi ragazzi. Chi non l'ha mai incontrato Dio, tra le rughe di un prete, quando si era ancora ragazzi da allevare e da trasformare in soldati della Chiesa? Chi non si è mai trovato di fronte Dio con le sue regole e i suoi sacramenti, con le sue pretese ed i suoi ori nell'allungare le mani per afferrare il primo frutto proibito? Quante volte Dio ci ha fatto lo sgambetto quando correvamo verso la rivolta o fuggivamo dopo aver rubato una mela? Dio è la presenza brutale dei nostri sogni di fanciulli, è l'incubo che cresce dentro come un cancro difficile da estirpare.
Dio c'è e ci è nemico, la lista dei conti da saldare con lui ci cresce dentro ogni giorno di più. Ma lui, Dio, non può avere alcuna esistenza a sé stante: c'è perché ci sono le religioni, le Chiese ed i suoi ministri. Dalle nostre parti è la Chiesa cattolica che ha mietuto più vittime, cavalcata dal suo Dio crudele e sterminatore. È a lui, a quel Dio che esiste grazie a quella Chiesa, che si deve tanta morte e tanta assenza di vita.
Non c'è solo il Papa ed il Vaticano: la Chiesa è ovunque, dalle cattedrali a quegli oratori di campagna con quei bei prelati tanto bonari quanto ubriaconi. Anche lì, in quelle linde parrocchiette perse tra le colline c'è Dio che ci è nemico.
Dicevamo che con Dio e quindi con la sua Chiesa ciascuno ha i suoi conti da saldare, e li salda come può: anche con la brutalità più esasperata, anche colpendo chi a qualche d'uno potrà parere l'ultima ruota del carrozzone ecclesiastico.
Proprio come è successo ad Acilia, vicino Roma, dove uno sconosciuto ha dopo averlo cosparso di benzina dato fuoco al parroco assorto in preghiera, per poi darsi alla fuga. Un conto salato è stato chiuso.
Fino a qualche tempo fa la licenziosità nel perseguire il soddisfacimento dei vostri piaceri vi avrebbe condotto, senza appello, ad ingrossare le fila dei dannati arrostiti nelle fiamme dell'inferno. Ora potete tirare un sospiro di sollievo, lussuriosi d'ogni fatta, con moderazione vi è concesso accedere all'autosoddisfazione del piacere sessuale, nonché alla possibilità di abbandonare il tetto coniugale, financo alla pratica, tanto aborrita quanto ambita all'ombra dell'altare, della sodomia.
Un tempo si vendevano, salate, le indulgenze; adesso, miseria dei tempi, le si compra con poche lire in edicola. Infatti, secondo le più lette riviste cattoliche Famiglia Cristiana in testa l'ortodossia morale cristiana andrebbe aggiornata alla luce delle moderne concezioni scientifiche e sociali, ovviamente tenendo conto delle più informate indagini di mercato.
Il Vaticano, fedele alla tradizione, sta miseramente tentando di salvare la rispettabilità di princìpi che così vuole tradizione dovrebbero essere assoluti ed in quanto tali eterni. Sarà un nuovo scisma, il parto della rumorosa disputa teologica nata tra i moderni preti coraggio ed il baraccone ecclesiastico romano? Mi sembra che in realtà si tratti di affari, dei traffici da sempre magistralmente condotti dalla Chiesa. Non va più di moda l'austero monolitismo dei dogmi.
Adeguatevi, fratelli, alla varietà delle mode e dei tempi: ci sono ancora anime da accalappiare; assumendo le sembianze di innocenti colombe, oppure strisciando in torbidi pantani con l'astuzia dei serpenti.
Bestemmiatori, moderati o incalliti, spontanei o ricercati, sta ormai per giungere il momento in cui l'autorità riconoscerà il vostro pieno diritto all'utilizzo di una pratica che, da sempre, unisce in un coro mai acquietato le genti d'Italia.
La bestemmia che, la storia ci insegna, nasce con l'avvento del cristianesimo è il giusto compendio delle divine scritture elaborato dalla fantasia popolare. Il potere ha sempre considerato il bestemmiatore come figura avversa, osteggiandolo talora anche in maniera cruenta. Quando il dogma religioso rappresentava l'elemento centrale della cultura dominante e della politica, venivano approntati i ferri del boia per placare il turpiloquio che si levava dalle masse, per impedire che si passasse dall'insulto dei santi simboli del potere alla sua diretta distruzione fisica.
Bestemmiare Dio e i suoi degni compari è pratica che può raggiungere, nelle sue espressioni più nobili, e quindi ardite, il senso della rivolta. Non mi riferisco all'abitudinaria bestemmia dimenticata nell'intercalare verbale di tanti, ma piuttosto alla vigorosa, vitale e cosciente profanazione del bambin Gesù, dei suoi parenti ed affiliati, delle sue belle casette e dei suoi servi neri e striscianti.
Con una recente sentenza un pretore ha stabilito che bestemmiare Dio è reato, mentre la Madonna può venir fatta fin d'ora bersaglio dei più coloriti apprezzamenti in piena legalità. Una decisione frutto di un'accurata distinzione teologica, che apre comunque un'importante questione: togliendo il veto alla bestemmia la si vuole forse uccidere, minando il senso più intimo di questa, eliminando il gusto stesso della trasgressione? Le toccherà forse d'essere accomunata anche nella misera fine alla sua acerrima nemica e compagna di viaggio la religione ormai diventata un reliquiario per turisti, avendo questa trasferito la sua sacra natura nella più moderna astrazione che è l'umanità? Ma no, visto che di miserabili baldacchini da profanare ne esistono ancora molti, si tratta probabilmente solo di ricercare nuovi soggetti ai quali applicarsi volenterosi.
Senza alcuna remora ovviamente. Non v'è cosa più triste di un insulto intriso nell'ombra del rimorso.
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(...) Laddove l'uomo s'innalza, laddove si esaltano la sua immaginazione e i suoi desideri, le religioni non hanno mai saputo che avvilire il suo rapporto con il sacro. L'uomo vuole decuplicare le proprie potenzialità, vuole aprire un orizzonte, le religioni si affrettano a mascherarlo con un cielo coperto di dogmi e divieti. La necessità umana del sacro, spesso incosciente, si manifesta allora sviandosi in credenze e in pratiche di cui una delle più nauseanti è la proliferazione delle sette. Irreprimibile, l'irrazionale sorge nel suo aspetto negativo, laido, reazionario. Roma approfitta di questi slanci d'esaltazione drenando le anime in vena di effusioni mistiche verso un movimento carismatico che, nei paesi dell'America latina, ha per scopo quello di liquidare tutte le sovversioni che si richiamano ad un messianesimo liberatore.
Nell'arsenale offensivo del liberalismo, le migliori carabine, quelle della carità cristiana e dell'umanitarismo, devono mantenere un ordine sociale dove i poveri sono colpevoli di non ringraziare a sufficienza i loro affamatori, i potenti. Ciò che l'Islam assicura di già in alcuni paesi viene abbozzato qui quando Chirac rende sollievo al legato pontificio, fa dire una messa alla memoria del suo predecessore e propone per la prossima estate di accogliere a Parigi, a spese dei contribuenti, un incontro internazionale di rampolli dell'anticaglia cattolica.
La religione, Çquesta terribile malattia dello spiritoÈ, tutte le religioni sono sette che sono riuscite ad espandere l'infezione delle fogne sanguinose di Dio. L'ateismo ci offre tutto il suo significato quando apre ad una umanità infine maggiorenne la coscienza della sua avventura...
Non si può certo dire che la situazione di chi non obbedisce alle regole imposte e non si piega al modus vivendi del gregge dei pecoroni sia migliore in Italia di quella spagnola. Infatti in questo autunno caldo, lo Stato spagnolo sta dimostrando concretamente come Aznar (il capo di Stato, leader del partido popular) rappresenti la sintesi dei due regimi precedenti, quello di Franco e quello socialista di Felipe Gonzalez.
Dopo l'entrata in vigore del nuovo codice penale, il 24 maggio scorso, ora si è passati ai fatti. In questi ultimi tempi si sta assistendo ad una serie di sgomberi brutali di case e centri occupati, di cariche brutali e selvagge contro manifestazioni e dimostrazioni di solidarietà; il tutto sotto la minaccia delle più pesanti condanne del nuovo codice penale. Attualmente qui in Spagna l'occupazione sia di immobili privati che di uffici pubblici (come nel caso di occupazioni simboliche a solo scopo rivendicativo) prima sanzionata dal codice civile, viene giudicata da quello penale; occupare è diventato quindi un delitto. Inoltre la pena aumenta se chi ha occupato ha cercato di usufruire della corrente elettrica o di altre comodità senza chiedere il regolare permesso alle rispettive imprese produttrici.
Nulla di sorprendente, certo, però qualcosa è cambiato le leggi e i loro inventori e difensori più accaniti ci tengono a dimostarlo a suon di sgomberi, detenzioni, pestaggi, intimidazioni, eccetera.
Così è cominciata la stretta del governo Aznar, giovanile cattolico dai baffetti di hitleriana memoria. Il caso più eclatante, anche perché l'unico verso il quale la stampa ufficiale ha rivolto in qualche modo la sua attenzione, è quello dello sgombero del Cine occupato, un ex cinema nel centro di Barcellona, sgombero conclusosi con l'entrata in ospedale così come in gattabuia di svariate persone, mentre la polizia presidiava l'ospedale. Del resto, cosa ci si può aspettare da una polizia che non esita a sparare i suoi famosi proiettili di gomma anche all'interno di un centro sociale.
E come sempre in Euzkadi l'atmosfera è differente, anche se, strana coincidenza, stanno portando avanti più di uno sgombero nello stesso momento. È che in Euzkadi c'è un livello di scontro sociale che confonde un poco le varie lotte e nello stesso tempo impegna a tempo pieno la polizia. In effetti alcuni temi, riflessioni, sentimenti libertari è quasi più difficile farli circolare qui piuttosto che in posti dove lo scontro sociale è meno manifesto. In Euskal Herria si celebrano ogni giorno sabotaggi a succursali bancarie, ad autobus, alla Telefonica (la Telecom spagnola), a vetture pubbliche e private di sbirri, manifestazioni con conseguenti blocchi stradali, barricate e dichiarazioni di non sottomissione all'esercito. Tutto ciò non può nascondere a lungo la sua natura, sì di ribellione, ma all'interno di un quadro abbastanza ben delineato di rivendicazione dell'indipendenza e dell'autodeterminazione che ormai morto Franco e finiti i tempi dell'era assemblearista ben poco ha a che fare col sentimento antiautoritario, anticapitalista e antigerarchico che contraddistingue la rivoluzione delle marionette dalla rivolta per una vera indipendenza, individuale e collettiva, dalle forme di potere (spagnole, italiane, cinesi o indiane che siano).
Così stanno le cose. Tutti i ribelli (ma non proprio tutti) gridano Çgora Euskal HerriaÈ (viva il popolo basco) nel gran baraccone capitanato dall'Eta. Se assieme a tanta ribellione ci fosse la coscienza intima dell'inganno dell'autorità (qual-siasi essa sia) e del capitale, l'Eta impallidirebbe di fronte a quello che si scatenerebbe qui in Euzkadi. Però è pur vero che qui la polizia sperimenta tecniche repressive e di controllo nuove e sofisticate, quelle che saranno adottate dalla polizia europea, importate tutte dalla Germania, paese promotore e modello della nuova polizia a livello europeo.
Tecniche di videovigilanza (sta per essere varata una legge in proposito, e già da anni nelle capitali dell'Euzkadi sono state installate telecamere che controllano le vie) o di identificazione attraverso l'uso del computer e delle registrazioni audiovisuali. Insomma, questo è un poco il banco di prova delle novità poliziesche...
Giovanni
(Aritzkuren)
Sinistra, questo termine circoscrive gli incerti confini di un mondo variegato e curioso. I personaggi che lo animano, anche questi talvolta bizzarri, sembrano soffrire di una particolare forma di sdoppiamento della personalità. La caratteristica che li distingue è che, pur sedendo sulle poltrone del potere proprio in primissima fila nei loro discorsi, quasi per incanto, sembrano dimenticarsene, sempre pronti a rilanciare l'alternativa, la lotta, il progresso. Mi sembra quasi di vedere quel genere di individui che si presentano come Napoleone Bonaparte, e lo fanno con un'aria così candida che ti verrebbe quasi voglia di credergli, se ciò che dicono non stridesse enormemente con la realtà. Cari compagni, quando strillavate da dietro le barricate si poteva ancora supporre che foste in buona fede, ma ormai quelle barricate le avete saltate da un pezzo, per passare nelle trincee del nemico. Allora non gridavate che slogan, vuote parole, così bene imparate a memoria che ancora oggi vi ritrovate a ripeterle, magari davanti allo specchio, senza accorgervi che le vostre espressioni sono diventate più tristi di quelle dei padroni che un dì combattevate.
Fausto e Renato: due delle figurine del mondo testé descritto. Il primo, illuminato dalle luci della ribalta, è il simbolo della sinistra moderna e ragionevole, dalla parte degli operai nelle manifestazioni, e in Parlamento vota per i padroni; il secondo, che da vent'anni sta scontando in galera le sue colpe di giovane scapestrato, se saprà giocare bene le sue carte potrà occupare un posto sul carretto dei vincitori, togliendo un peso dalla coscienza di molti compagni di questa sinistra ingrassata. La sua faccia potrebbe essere incorniciata accanto ad altri miti del comunismo recuperabile, basta mostrarsi buono, ammettere gli errori di quelle irragionevoli irrequietezze di gioventù, per essere accolto a braccia aperte come il figliol prodigo. Renato Curcio, che sta intrattenendo da qualche tempo un dialogo epistolare con Fausto Bertinotti, sostiene che la sua è una detenzione ormai ingiusta. E quando mai avrebbe potuto essere giusta, quando mai un solo giorno di galera dovrebbe essere giusto da scontare per chi si dichiara nemico dello Stato. Figuriamoci, non ci sembra potrebbe esserlo nemmeno per chi riconosce i metodi autoritari, perché semplicemente sono i suoi, per chi rimasto sconfitto nella lotta per il potere riconosce nell'avversario un fratello e gli si consegna sottomesso.
Baraban
Il potere si distingue non solo per le carogne che lo rappresentano in vita ma anche per quelle che celebra da morte.
Sabato scorso le spoglie dello scrittore André Malraux hanno fatto il loro ingresso in pompa magna all'interno del Panthéon, il mausoleo parigino che accoglie i resti dei grandi di Francia. Nel corso della cerimonia il presidente Chirac ha tenuto una orazione funebre in cui ha salutato in Malraux Çl'uomo dell'inquietudine, della ricerca, dell'avventura, dell'apertura al mondo, e dunque della tolleranza e del rispetto dell'altroÈ.
Ed è vero, Malraux è stato effettivamente tutto questo. La sua vita ne è la migliore testimonianza. L'avventura l'ha vissuta sulle barricate di Canton, durante la rivolta cinese del 1925. All'epoca era un giovane estremista di sinistra, e l'inquietudine che lo travagliò per tutta la vita era tale che lo portò in vecchiaia a marciare nel 1968 in testa alla manifestazione a favore del governo scosso dalle giornate del maggio.
La sua ricerca si concentrò soprattutto nei confronti del potere che inseguì prima nelle fila dello stalinismo, ma che trovò solo dopo la guerra, quando il generale De Gaulle gli garantì l'apertura al mondo dei grandi da scranno, nominandolo ministro prima dell'informazione e poi della cultura. È a lui che si deve la nefasta idea delle Case della Cultura, a cui affidò il compito di sottomettere il pensiero alle esigenze dello Stato.
Quanto alla sua tolleranza, era tale che lo portò, lui partigiano, a proteggere il fascista Drieu La Rochelle. Ma questo rispetto dell'altro non gli impedì comunque di approvare la fucilazione degli anarchici durante la rivoluzione spagnola, a cui prese parte sotto la bandiera degli stalinisti.
Insomma, una bella figura. Malraux non era Çné di destra né di sinistraÈ, come ha giustamente fatto notare il presidente francese Chirac. Era semplicemente un uomo di potere. Come stupirsi se destra e sinistra si sono spellate le mani per applaudirne la santificazione?
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Gli Stati Uniti risarciranno i familiari di dodici delle diciotto cavie umane alle quali venne iniettato, a loro insaputa, del plutonio. Una sola di queste è ancora in vita, per sua fortuna le avevano iniettato solamente dell'uranio. Da tempo si è venuti a conoscenza che gli Stati Uniti hanno compiuto esperimenti di esposizione a sostanze radioattive su civili e militari inconsapevoli, proprio come è avvenuto anche in Inghilterra, nei territori dell'ex blocco sovietico e in molti altri paesi.
Questo genere di esperimenti hanno il loro precedente storico più noto nei bombardamenti atomici di Hyroshima e Nagasaky, avvenuti più che per vincere una guerra ormai conclusa per dimostrare l'esistenza di uno strumento di morte, su cui tanto si sarebbe investito dopo, sia economicamente che politicamente. Anche uno dei più gravi incidenti nucleari avvenuti nell'applicazione civile di questa nocività quello di Chernobyl in Ucraina venne utilizzato come laboratorio a scopo sperimentale dai paesi occidentali, che acquisirono e nascosero l'intera documentazione statistica dell'evento, per elaborare una risposta tecnica e di condizionamento politico ed informativo adeguata, quindi in definitiva per perpetuare la sua mortale presenza sul pianeta. L'uomo in tutto questo non è che una merce da utilizzare e consumare; la sua libertà, la vita stessa, sono concessioni del potere, e in quanto tali revocabili, nel caso esigenze superiori lo richiedano.
L'energia atomica, nelle sue applicazioni industriali e militari oltre ad essere estremamente nociva richiede una forte concentrazione di poteri e di conoscenze; giustificando, anche a causa della sua pericolosità, la necessità di mantenere un assetto politico stabile dove viene utilizzata.
Il nucleare ha in sé quindi caratteristiche implicitamente autoritarie, senza contare che mantiene la sua nocività eternamente, anche quando l'opinione pubblica se ne disinteressa. Per questo vanno continuamente attaccate le strutture che lo rappresentano, e vanno smentiti nella prassi gli ecologisti parlamentaristi e quei compromessi che vengono fatti per giustificare la sopravvivenza del potere e dei suoi veleni.
P. R.
(Dagli interrogatori di Namsetchi Mojdeh, 15 maggio e 1 giugno 1995)
"Attualmente io abito da sola in un appartamento in via Ludovico Pavoni e svolgo l'attività di ragazza che intrattiene i clienti in un locale notturno di Cerenova dalle ore 22.00 fino alle 04.00 del mattino. Mi sono trovata questo lavoro, che non mi è congeniale, proprio perché non intendevo essere più mantenuta, né dal Tesseri né dagli altri membri dell'organizzazione, avendo deciso di dissociarmi da loro e dalla loro attività. Però non mi sento tranquilla, soprattutto dopo che ho iniziato l'attività di collaborazione con la Giustizia. Temo che la mia dissociazione e la conseguente collaborazione con la giustizia costituisca per me un grave pericolo e perciò sono disposta a lasciare il mio appartamento ed il mio lavoro per essere tenuta in una località protetta, per continuare con maggior serenità e tranquillità la mia opera di collaborazione con la giustizia".
"E quando ho raggiunto la convinzione che quanto avevo fatto fino ad allora non era giusto, ho interrotto ogni rapporto con il Tesseri e con gli altri membri dell'organizzazione, mostrando la mia disponibilità, per una sorta di resipiscenza, a collaborare con la giustizia, per evitare che quelli che ancora pensano di risolvere i problemi con l'uso della violenza, vengano fermati o comunque vengano messi in condizione di non causare ulteriori danni alla collettività.
Dico ciò con estrema sincerità, non perché spero di trarre vantaggio dalla mia attività di collaborazione, ma perché sono sinceramente pentita per quello che ho fatto e sono anche pronta a pagare il mio debito con la giustizia".
Roberto Benigni
E l'alluce fu
Einaudi Tascabili, Torino 1996
pagine 168, lire 12.000
Eccolo qua, il saltimbanco di Vergaio, mettere su carta monologhi e interviste, caratterizzati dalla mancanza di serietà che solo un comico, incellophanato nel suo ruolo, si può permettere. Citando Duchamp Çl'allegria perde il suo stesso senso di vita se viene presa sul serioÈ lancia un messaggio ai comici: guai a chi lancia messaggi. Proprio così, si può far ridere partendo dalla facezia, magari dagli schermi della tivù di Stato, magari permettendosi di sfottere i potenti, i politici, un capo di Stato, il Papa.
Ma giustamente, come egli stesso ci fa notare, la sua non è iconoclastia. È la critica inevitabile all'evidenza. Una critica che, talvolta sfrontata, lo ha reso celebre. Lo spettacolo è talmente bene organizzato che anche un moscone, inquadrato nelle sue fila, non lo può disturbare, ma lo rende più variegato, più completo.
Com'è solito, Benigni sfodera la sua brillantezza specie nei riguardi delle donne, catalizzatrici di ogni sua performance. Dopo il geocentrismo di Tolomeo, l'eliocentrismo di Copernico, ci presenta infatti la sua nuova concezione del mondo e del pensiero: il sistema topacentrico Çl'hanno messa al centro del corpo perché così non si sbaglia maiÈ. Su questi argomenti, si sa, e al solo pronunciare parole celate dal moralismo, parole scabrose (di un gusto sopraffino lo "sventrapapere"), con certa gente le risate sono assicurate. Una gran soddisfazione.
Quando narra le vicissitudini della sua infanzia, le sue origini contadine, comuniste, per lo più anticlericali, ci spiega in parte l'origine di molti dei luoghi comuni che ha acquisito, che non ha ancora abbandonato. E la feroce satira sulla religione, sebbene satira rimanga, ma fra le più azzeccate, si distende con un simpatico frastuono. Nonostante la sua faccia non gli appartenga quasi più, per volontà d'immagine, ha sempre rifiutato di prostituirsi a un certo tipo di pubblicità. Inveisce contro i medicinali, molto garbatamente. Addirittura declama Buuel, riuscito a rimanere ragazzo per tutta la vita. Piccole note di un opaco merito.
Resta nel mucchio, in ogni caso. Come ho detto all'inizio, dai balconcini del Palazzo le invettive al re fanno sogghignare anche lui.
Per il resto, di divertente c'è ben poco.
I.N.
A distanza di due mesi riproponiamo l'elenco aggiornato degli anarchici contro cui venne spiccato l'ordinanza di custodia cautelare su richiesta dei pm Marini e Ionta.
Antonio Budini (già detenuto)
Garagin Gregorian (già detenuto)
Salvatore Gugliara (arresti domiciliari)
Guido Mantelli (libero)
Massimo Passamani (libero)
Stefano Moreale (scarcerato dal Tribunale della libertà)
Roberta Nano (libera)
Pina Riccobono (arresti domiciliari)
Carlo Tesseri (già detenuto)
Emma Sassosi (detenuta)
Antonio Gizzo (detenuta)
Pippo Stasi (detenuto)
Jean Weir (già detenuta)
Horst Fantazzini (già detenuto)
Alfredo Bonanno (detenuto)
Eva Tziutzia (libera)
Christos Stratigopulos (già detenuto)
Orlando Campo (già detenuto)
Rose Ann Scrocco (libera)
Francesco Porcu (già detenuto)
Giovanni Barcia (libero)
Tiziano Andreozzi (detenuto)
Apollonia Cortimiglia (arresti domiciliari)
Salvatore Condrò (libero)
Cristina Lo Forte (arresti domiciliari)
Paolo Ruberto (detenuto)
Angela Lo Vecchio (libera)
Francesco Berlemmi (scarcerato dal Tribunale della libertà)
Marco Camenisch (già detenuto)
Quasi tutti si trovano ancora nel carcere romano di Rebibbia. La sezione maschile è nel nuovo complesso di via Raffaele Majetti 165, mentre la sezione femminile in via Bartolo Longo 72 00156 Roma.
Come già riferito sul numero scorso, sono stati concessi gli arresti domiciliari a Pina Riccobono. Ma a differenza degli altri compagni è sottoposta ad ulteriori misure restrittive quali il divieto di fare e ricevere telefonate e il divieto di ricevere visite.
Lo scorso 22 novembre il Tribunale militare di Torino ha condannato l'anarchico Luca Bertola a tre mesi di reclusione per mancanza alla chiamata di leva.
I compagni Alfredo Cospito, Arturo Fazzio e Guido Ceragioli sono stati condannati a sei mesi di reclusione senza condizionale al processo di primo grado relativo all'occupazione di un isola sul lago Maggiore, avvenuta nell'estate 1993.
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Per penelope nin e la redazione di cane nero riferito all'articolo cin cin all'anarchia n. 36 pag. 6.
Le manifestazioni più vistose dello stalinismo sono l'uso della menzogna come metodo di lotta politica e l'alterazione della verità storica come mezzo di indottrinamento delle masse.
Ora il fatto che tu (voi), per poter meglio attaccare alcuni compagni anarchici, abusi (abusiate) dell'ignoranza altrui e vostra è veramente meschino eÉ
Se Barbieri, che era un compagno del gruppo di Severino Di Giovanni, potesse leggere quello che tu, infame, hai scrittoÉ pronunzierebbe le stesse parole che rivolse all'agente stalinista che lo stava arrestando (lui, anarchico individualista, insieme a Berneri, anarchico stalinistaÉ come lo chiami tuÉ Testa di cazzo!): Di questo me ne renderai conto!. L'agente al momento dell'arresto dichiarò che erano accusati di essere controrivoluzionari perché anarchici.
Purtroppo ne il compagno Barbieri ne il compagno Berneri sono qui per poter rispondere alle tue stupidagginiÉ così voglio prendermi il carico di rispondereÉ senza secondi fini se non la lotta anarchica stessa. Berneri è stato ucciso proprio perché era uno degli avversari più lucidi, coscienti, implacabili e quindi pericolosi, dello stalinismo, della dittatura e del marxismo. Parlare di Berneri come fai tu (voi) vuol dire, equivale a non aver capito nienteÉ dello stalinismo.
Prenditi le responsabilità di quello che scrivi!... Dubito fortemente che tu ne sia capace, viste le tue capacità intellettive... Ti darò quindi io stesso una mano, testa di cazzo, per venire a capo della enorme idiozia che tanto ti pesa nella testa vuota.
Se non ci fosse la rabbia, per quello che hai scritto, si potrebbe morire dal ridere... La tua spaventosa ignoranza e, non so fino a che punto, la malafede sono arrivate a calunniare Berneri così come neanche gli stalinisti ci erano riusciti in tanti decenni... solo il tradimento può raggiungere tanto... Loro mica potevano accusarlo di essere stalinista?É al massimo potevano accusarlo di difendere dei troskisti, dei fascisti... Tu, imbecille, hai perfezionato la calunnia degli stalinisti accusando l'uomo che morì combattendo, a viso aperto, contro lo stalinismo, di essere un marxista... addirittura un marxista eretico... ortodosso, uno stalinista!... Ora che loro stessi non possono più accusarlo di difendere dei fascisti, perché si opponeva all'accusa che gli stalinisti lanciavano contro quelli del P.O.U.M., di essere delle spie franchiste. Tu hai collaborato a nascondere la verità... Hai fatto di più... Hai perfezionato la strategia stalinista. Il tuo articolo è una trovata degna del peggiore demagogo, è una battuta parolaia che trasforma la morte di molti compagni e la stessa rivoluzione anarchica in Spagna, in un paradosso. Magie della parola. Staresti sicuramente a tuo agio, se la finzione orwelliana di 1984 si realizzasse, tra la psicopolizia o al Ministero dell'Amore... Ma forse la tua idiozia potrà ritornare utile subito... forse un giorno prenderai il posto di liguori, di fede...
Che differenza c'è tra la menzogna, la falsificazione stalinista di quegli anni... che tu col tuo articolo non fai altro che aggiornare e la delazione contro la quale tanto vi scagliate?...
Dopo sessanta anni di testimonianze, di indagini storiche arrivi tu e vieni a svelarci tutta la verità... il senso recondito di quel fatto (l'uomo e la sua morte)... Berneri era un fesso, secondo te,... lottava contro lo stalinismo senza accorgersi di essere uno stalinista egli stesso... gli stalinisti a loro volta hanno ucciso un loro possibile alleato... Il tratto di unione fra stalinisti ed anarchici... come scrivi tu, IDIOTA!!... appunto, la tua è proprio la presunzione dell'idiota.
Documentati, non improvvisare coglione/a... Barbieri era un'anarchico d'azione, un espropriatore... era stato in Argentina con Severino Di Giovanni a cui voi avete fatto più volte riferimento.
Ti dovresti chiedere perché abitassero insieme e perché furono uccisi tutti e due quella stessa notte.
Finché ci saranno degli imbecilli come te che si definiscono anarchici individualisti non si potrà fare niente sopratutto contro... gli stalinisti!
Nel 1937 Oka Gorodikov disse a Budennyj: ÇSemen! Prendono tutti, uno dopo l'altro! Che cosa succederà?È. Budennyj rispose: "Non tutti, ma solo quelli intelligenti. Questo non riguarda me e te"... Ed io aggiungerei neanche te... Deficiente... Idiota! Penelope Nin.
Non ti preoccupare per lo stalinismo, a te può solo giovare!...
Con tanta pazienza, Luca. 30/10/96
P.S.
Ho letto sull'ultimo numero del giornale nella prestigiosa quarta pagina un articolo a firma penelope nin su quelli che voi chiamate i mostri sacri dell'anarchismo... nell'articolo in oggetto si parla di Malatesta e delle deformazioni che ha subito la sua teoria rivoluzionaria in un articolo comparso su Germinal... Mi sta molto bene quello che è stato scritto... non si può scrivere infatti che Malatesta fosse contro l'uso della violenza. Ma vorrei... desidererei che voi rivedeste allo stesso modo la vostra posizione su Berneri e sull'articolo in questione... Mi spiego meglio: Voi dovete dire appunto che di Berneri non si può fare uno spunto di dibattito con gli stalinisti del manifesto... Con l'articolo cin cin all'anarchia è stata persa questa occasione! In passato già una volta avete corretto un vostro articolo impreciso... Vi chiedo appunto di correggere la svista che avete preso. Poi il fatto specifico dell'incontro tra alcuni professori anarchici e alcuni intelletuali comunisti tipo fofi e quelli del manifesto può essere giudicato in un altro momento ed io non lo giustifico proprio in questo momento... Bisognerebbe sapere che cosa sono andati a dire in quell'occasione... non posso credere che abbiano fatto un brindisi all'anarchia quattro chiacchiere di pace e basta.
11/11/96 Luca Svenza
Rispondere alla lettera qui accanto integralmente riprodotta giunta in redazione, ci pare un'impresa davvero impossibile. Poiché questo offeso e offensivo lettore mi rimprovera di qualcosa che non ho fatto cioè definire Berneri uno stalinista ne consegue che non c'è proprio nulla da rispondere. Magari potrei invitarlo ad imparare a leggere con maggiore attenzione, onde evitare di rodersi il fegato inutilmente, oppure potrei chiedergli chi mostri di calzare meglio la veste dello stalinista, se io che ho constatato come Berneri sia diventato oggetto di discussione comune fra anarchici e stalinisti, o lui che mi mette in penna cose che non ho scritto (ad esempio, quando mai ho rivendicato il mio individualismo anarchico?). Ma servirebbe a qualcosa? Sicuramente no, perché qui il problema non consiste in ciò che è stato scritto, ma in ciò che qualcuno vi vuole leggere.
E se il paziente Luca di tutto il mio articolo non ha voluto leggere i chiari riferimenti agli anarchici che si trovano oggi in galera, né ha inteso soffermarsi sul particolare non certo irrilevante che anche Il manifesto ha sorretto l'operazione giudiziaria riportando le veline di Marini e Ionta, se men che mai ha da ridire sul fatto che altri anarchici decidano di organizzare un convegno insieme e non in conflitto con loro a questi stalinisti camuffati per discutere di Berneri, cosa posso dire? A lui interessa solo il buon nome del Morto, pace all'anima sua. Non che pensi che sia in malafede, il nostro caro lettore. Il solo fatto che abbia messo nero su bianco le proprie critiche, per quanto assurde siano, e che le abbia firmate, dimostra come la sua sia una genuina reazione di rabbia. Stupida, offensiva, sopra le righe, ma genuina. Ben altri metodi usa chi critica un aspetto per non dibattere dell'insieme, o chi preferisce dedicarsi alla diffamazione sistematica praticata negli angusti corridoi del pettegolezzo.
Penelope Nin