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Supplemento ad "Anarkiviu"
Redattore responsabile Costantino Cavalleri - Registrazione n.
18/89 del Tribunale di Cagliari
Ormai ci siamo. Comincia la farsa processuale. Martedì prossimo, il 10 dicembre, si terrà a Roma l'udienza davanti al giudice per le indagini preliminari, che dovrà decidere se rinviare a giudizio i 68 indagati dell'inchiesta Marini che ha portato lo scorso 17 settembre all'arresto di numerosi anarchici, oltre al coinvolgimento di quelli che già erano detenuti per i motivi più svariati. Qualche giorno dopo, venerdì 13, riprenderà a Trento il processo d'appello contro quattro anarchici accusati di rapina. In quella data, per appurare la veridicità delle sue accuse, verrà sentita nuovamente Mojdeh Namsetchi - la pentita di Stato addestrata in qualche caserma o ufficio giudiziario allo scopo di fare piazza pulita fra gli anarchici - nonché il suo tutore Mercurio Farino, il maresciallo dei carabinieri di Civitavecchia che l'ha aiutata e sollecitata a collaborare con la magistratura. Ed è solo sulle dichiarazioni di questa ragazza, come ormai i nostri lettori ben sapranno, che si basa l'inchiesta condotta contro tutti gli anarchici inquisiti.
Due scadenze del potere, indubbiamente, ma a cui non rifiuteremmo di partecipare nemmeno se non ci fossimo costretti dalle circostanze: le intimidazioni non ci piacciono. Come abbiamo già avuto modo di dire, la posta in gioco in questa inchiesta non consiste soltanto nella libertà fisica di alcune decine di compagni. Ma nella libertà di chiunque di disporre della propria vita come meglio crede e di avere i rapporti che preferisce: libertà di frequentare chicchessia, libertà di andare dove si vuole, libertà di scrivere a chi si trova in carcere, libertà di leggere giornali e riviste dal contenuto sovversivo, libertà di assistere a qualsiasi processo e di provare ripugnanza per chi stringe le catene attorno ai polsi di un altro uomo. La libertà di essere anarchici. Ma anche quella di essere semplicemente individui privi di pregiudizi morali, e per questo non disponibili a scattare sull'attenti al primo ordine che viene dall'alto. E da questa minaccia, chi può mai sentirsi al sicuro? Chi riesce a sentirsi soddisfatto accontentandosi di mettere bene in mostra la propria distanza da certe persone, quando sono le idee ad essere messe sotto processo? Chi può dirsi così certo che il proprio cuore non abbia mai tremato dall'emozione di fronte al gesto che sfida apertamente il potere?
Al di là di quanto verrà stabilito martedì prossimo presso il tribunale di Roma - anche se molto probabilmente il gip dovrà rinviare l'udienza ad altra data per vizi di forma - e al di là anche di quanto risulterà coerente alla fine il discorso che la collaboratrice di giustizia avrà imparato a memoria per i giudici trentini, rimane però un fatto: la necessità sentita ovunque da molti compagni di impedire che questa operazione giudiziaria trovi davanti a sé la strada sgombra da ostacoli. La necessità - sentita in Italia come in altri paesi europei - di difendere la libertà con l'arma della complicità. Martedì 10 dicembre, alle 9.30 - presso il tribunale romano di piazzale Clodio, aula Occorsio, primo piano - e venerdì 13 - presso il tribunale di Trento - avremo e avrete la possibilità di impiegarla, quell'arma. Facciamone buon uso.
In vista del 10 dicembre 1996, quando a Roma il giudice per le indagini preliminari dovrà decidere sul rinvio a giudizio di 68 indagati, su richiesta dei pubblici ministeri Antonio Marini e Franco Ionta, esprimiamo la nostra piena solidarietà a tutti gli individui che si trovano a dover subire questa montatura. In occasione di tale giorno è uscito un giornale specifico - Der Ausbruch/The Breakout - in tutti i paesi europei di lingua tedesca ed inglese, riguardo la montatura Vigna/Marini/Ionta e compagnia. Non ci lasceremo zittire, solo perché ai giudici piacerebbe così. Anzi.
Non daremo corso alla nostra rabbia sprecando parole fuori luogo con Voi giudici, elemosinando la vostra attenzione. Ma sappiate che Vi stiamo osservando. Anarchici di tutta Europa hanno rivolto lo sguardo contro di Voi.
Non solo siamo rabbiosi che altri anarchici - in quanto tali, compagni nostri - si trovino presi dalla vostra infida macchina giudiziaria. Siamo tristi nel sapere rinchiusi in gabbia individui che fanno della libertà la propria ragione di esistere. E il dolore, sappiatelo, può trasformarsi incontrollabilmente e fare brutti scherzi. Dove anche un solo anarchico si trovi ad essere accusato, sezionato e condannato da una qualsiasi autorità, ci saranno sempre moltissimi altri a rispondere alle Vostre calunnie e fantasie obbrobriose.
Non chiediamo la libertà per i nostri compagni. La esigiamo.
E non sarà di certo una risata a seppellirvi!
Redazioni anarchiche, realtà anarchiche, anarchici individualisti, punx, libertari di tutta Europa.
Der Ausbruch/The Breakout è una documentazione aggiornata in lingua tedesca e inglese sui fatti repressivi che hanno colpito una parte di anarchici italiani. Esiste anche un manifesto formato volantone stampato in due lingue (tedesco/inglese) dal titolo Repentance is for sale on the law's bazaar. Chi fosse interessato a riceverlo, può rivolgersi all'indirizzo dell'Evasione (c.p. 45, 38060 Rovereto - Tn) o al Comitato di solidarietà di Monaco (Solidritatskomitee Italien c/o Infoladen Mnchen, Breisacherstr. 12, D - 81667 Mnchen), inviando almeno le spese postali.
S
Anche in Francia è stato pubblicato da poco il numero unico di un giornale, Le loup-garou (Il lupo mannaro), interamente dedicato all'inchiesta condotta dalla magistratura contro decine e decine di anarchici italiani.
Per lui, la solidarietà ha nulla a che vedere con il Codice Penale. La legge riguarda lo Stato e non i ribelli. Pensa che la solidarietà valga per i compagni imprigionati e che sia anche una maniera differente di stare insieme, senza bandiere né capi. Non aspira all'onnipotenza. Conosce i propri limiti, anche se ne maledice l'esistenza. Sa che l'Ordine regna ovunque. Ragione di più, aggiunge con impazienza, per dire insurrezione e agire di conseguenza. Crede che la forza necessaria per rivoltarsi non debba situarsi sullo stesso terreno del nemico, poiché allora per vincerlo ci vorrebbero pù soldati, più armi, più sacrificio, più potere. Su quel terreno, dice, abbiamo tutto da guadagnare, comprese le nostre catene. Quanto alle prigioni, non ha alcun dubbio: Che brucino, tutte. Ho appena descritto un lupo mannaro (Charles Meslet, Traité du loup-garou).
Chi volesse riceverne una copia, può farne richiesta alla redazione di Canenero.
Dove sono i poveri, quei poveri che l'antica retorica rivoluzionaria identificava nel serbatoio inesauribile della palingenesi sociale? Non ce ne sono più, assicurano uomini di potere e uomini che il potere si sono ormai stancati di combatterlo. Non ci sono più quelle masse di pezzenti, senza nulla da difendere e quindi pronti a salire sulle barricate. L'opulenta civiltà occidentale li ha spazzati via, garantendo a tutti una televisione e un monolocale.
Non proprio a tutti, a dire il vero. Secondo una recente inchiesta, nella sola Milano ci sarebbero quattrocentomila persone che vivono in condizioni di estremo disagio economico. Come a dire, un terzo della popolazione ufficiale. Certo, nulla di spaventosamente eversivo. Basta pensare che in Danimarca alcuni barboni hanno costituito un albo professionale che rilascerà tessere di riconoscimento agli iscritti, per comprendere come la fame e il freddo non soffino necessariamente sul fuoco della rivolta.
Rimane però l'incapacità del dominio di fare fronte a quei bisogni legati alla mera sopravvivenza biologica, e la cui soddisfazione dovrebbe rappresentare il programma minimo di ogni progetto di pacificazione sociale. E se non è capace di riempire le pance dei suoi sudditi, come potrà mai riempirne il cuore?
K.T.
Non ci serve chi è in lotta con se stesso, per loro non c'è posto nell'esercito... I giovani sono incapaci di affrontare l'esistenza, con i sacrifici, le attese, le delusioni e al primo ostacolo crollano. Di che cosa sono fatti i nostri ragazzi?.
Con queste parole il generale Loi (ex comandante della Folgore dal `92 al `93 e dell'operazione Vespri Siciliani nel `92) ha commentato il suicidio di un cadetto della prestigiosa Accademia Militare di Modena, da lui diretta, ricevendo per questo una serie di critiche indignate più o meno interessate.
Ma che diavolo pretendono da un militare, da un uomo pagato per uccidere disposto a soddisfare le richieste di chiunque si trovi al potere? Cos'altro può dire un essere addestrato ad obbedire a qualsiasi ordine, escludendo ogni facoltà critica personale quando non è funzionale all'efficacia del proprio adempimento al dovere?
D'accordo, non ha fatto una bella figura parlando di preparazione militare, il generale: mentre si trovava in missione in Somalia, due dei suoi uomini sono stati uccisi, uno da un ragazzino mentre faceva jogging come se fosse nel cortile di casa sua, l'altro dopo aver fatto uno scherzo al suo caporale spuntando dalla finestra di casa dove era affacciato il suo superiore (che gli ha sparato in fronte).
La facciata ipocrita dei politicanti della sinistra e dei patetici esponenti della nostra balda gioventù si evidenzia con argomenti che richiamano alla memoria gli slogan e le parole d'ordine delle pubblicità di arruolamento delle forze armate: mestiere sociale (soprattutto sicuro), professionalità, impegno civile e puttanate del genere. In Italia siamo abituati a vedere l'esercito come una commistione di anime pie che s'impegnano per mille cause umanitarie in giro per il mondo. Forse il problema è che in questo Stato di pagliacci si è abituati a sentir parlare i militari come assistenti sociali, come dame di carità, come pacifici educatori, come sportivi.
Ben più chiare le parole degli altri cadetti sull'accaduto: Dobbiamo essere sicuri di noi. Diventeremo ufficiali e di fronte alla truppa non possiamo essere indecisi.
Non fa piacere alle belle anime del pacifismo caritatevole, religioso e democratico, riconoscere che l'uomo in divisa è una pura creazione dell'oppressione dello Stato, un indispensabile strumento di imposizione cieca e violenta che viene fatto intervenire quando le storielle sui diritti e doveri non bastano più, quando gli individui tirano dritto per la propria strada, verso la libertà, abbattendo gli ostacoli che la impediscono. Allo Stato il dialogo interessa, sicuro, ma solo all'ombra di un buon numero di divise, presenti ormai ovunque in maniera asfissiante. Ancora i cadetti: Ci deve essere unità tra il mondo militare e il mondo civile. L'esercito non è estraneo alla nostra società. Quando facciamo giuramento lo facciamo per la società civile, per tutti.
Il generale e i suoi cloni hanno parlato chiaro, pur sfoggiando il consueto ridicolo armamentario d'ogni buon militare: sono ubbidienti robot, null'altro. La loro funzione è quella. Se non ci va, buttiamoli tutti a mare, senza discussioni.
Mario Spesso
26 novembre - Catania. Alcuni colpi d'arma da fuoco sono stati esplosi contro l'automobile di un deputato della formazione politica Rinnovamento italiano.
27 novembre - Catania. Danneggiati nella notte alcuni bancomat degli istituti di credito cittadini.
27 novembre - Catania. é stata data alle fiamme l'automobile di un vigile urbano del Nucleo motociclisti.
30 novembre - La Spezia. Durante una manifestazione di protesta contro la scoperta di rifiuti tossici sotterrati in una collina vicino alla città, il sindaco è stato bersagliato con uova e monetine lanciate dai numerosi dimostranti, per lo più studenti.
30 novembre - Vienna. Violenti scontri tra forze di polizia e centinaia di studenti che protestavano contro un raduno organizzato dall'estrema destra.
1 dicembre - San Diego. Nella stiva di una portaerei militare è stata rinvenuto un ordigno rudimentale pronto ad esplodere.
3 dicembre - Perpignan. Un attentato dinamitardo ha danneggiato gravemente l'edificio della Tesoreria generale, ma senza provocare feriti. Il palazzo ospita anche la residenza del sindaco della città. Nessuna rivendicazione ha seguito l'azione.
Non si può entrare due volte nello stesso
fiume
Eraclito
Di nuovo, c'è clio
una pubblicità della Renault
l sogno totalitario del potere è quello di farci bagnare non due, ma mille volte nelle stesse acque. I governanti del tempo vogliono costringerci a sopravvivere tra le mura di un eterno presente - la misura sociale di un continuo e collettivo rinviare la vita al futuro.
Cos'è accaduto oggi? Sono cambiate le immagini dei prodotti sui cartelli pubblicitari. Qualche faccia diversa è apparsa alla televisione e un identico commento ha accolto differenti fatti in successione. Un uomo di Stato è scomparso in quel vuoto che è l'assenza di notizie dopo quarant'anni di governo. Per quarant'anni è stata un'impresa ardua non imbattersi almeno una volta al giorno nel suo nome - ora è diventato un perfetto Carneade. Cos'è accaduto oggi?
Il capitale è riuscito a rendere quasi tutte le attività degli individui pressoché identiche giorno dopo giorno. Identico è anche il modo in cui sognano di farne qualcosa di diverso (la carriera, la vincita improvvisa, la fama, l'amore). I corpi però, ancorché malnutriti e atrofizzati, sono differenti tra loro e ogni momento da se stessi. Persino tutto ciò che è accaduto si può ricostruire e riscrivere (non si sa mai cosa ci riserva il passato come diceva un operaio sotto il regime staliniano), ma i corpi non si recuperano. Non ancora.
Del riciclaggio, in tutti i sensi, il potere ha fatto la propria pratica e la propria ideologia. La scienza dei trapianti - che un efficace eufemismo chiama medicina di frontiera - è al lavoro da tempo perché il ricambio dei pezzi assicuri a quella macchina sociale che è il corpo umano una sopravvivenza sempre più prolungata. Come ogni altra proprietà del demanio statale, l'esistenza degli individui non obbedisce che a un imperativo: durare. A chiunque produca (automobili o diritti, rassegnazione o falsa critica poco importa), il dominio è pronto a sostituire un braccio, un fegato, un cuore. In nome del progresso si può ben immolare qualche organo di chi non serve più. D'altronde, come diceva un medico favorevole ai trapianti, se qualcuno è clinicamente morto, perché sprecare tutto quel bendidio?.
Uomini le cui opinioni sono intercambiabili, proprio come le prestazioni che svolgono durante il lavoro e il tempo libero, debbono avere i corpi che si meritano. Questo mondo seriale vuole che tutto sia a propria immagine e somiglianza.
A parlare del Domani è rimasta solo la religione (le ideologie, come ben si sa, sono tutte morte). Il capitale, invece, parla di oggi, parla di quello che si deve comprare o vendere adesso. Ma in fondo dicono la stessa cosa. La prima allontana la felicità, il secondo avvicina la miseria. Per entrambi, il futuro è quella cosa sempre uguale per cui ci si sacrifica il giorno prima che diventi presente. Il giorno dopo, si ricomincia.
Cos'è accaduto oggi?
Vivere al di fuori delle leggi che asserviscono, al
di fuori delle regole strette, al di fuori finanche delle teorie
formulate per le generazioni a venire. Vivere senza credere al
paradiso terrestre. Vivere per l'ora presente, al di là del
miraggio delle società future. Vivere e palpare l'esistenza nel
piacere fiero della battaglia sociale. é più di uno stato dello
spirito: è una maniera di essere, e subito.
Zo d'Axa
Presto
scritta murale del Maggio francese
La lotta contro l'oppressione non è che il minimo indispensabile di un'insurrezione che vuole prendersi la vita. é adesso che si gioca la partita, non domani o dopodomani. Le nostre esistenze sono troppo brevi, e non sono mai state così tante le teste dei re da calpestare.
La mancata realizzazione della critica della militanza ha prodotto ovunque la propria misera controfigura. A parlare dei doveri della Causa e a promettere le società future non c'è ormai più nessuno. Sono tutti per il qui e ora, pronti ad accusare di martirio e di messianesimo ogni discorso e ogni pratica che non garantiscano qui e ora la sicurezza del noto e del consentito. A vendere oggi è la militanza nella sua versione più laicizzata: il realismo.
A coloro che dicono di volersi godere la vita senza occuparsi degli oppressori, non si può rispondere che in un modo: guardare come vivono. Si scoprirà quanto essi accettino che gli oppressori si occupino di loro.
Chi non si nasconde i propri limiti e le imposizioni cui è costretto sa che, di là dai vuoti proclami, egli può essere al di fuori di ciò che esiste solo nella misura in cui è contro. Proprio perché vuole molto di più egli si lancia nella lotta.
Quando gli mancano le forze, non ha bisogno di una ideologia del piacere per camuffare le sue debolezze e le sue paure, che esistono, e che fanno parte anch'esse del gioco, come ne fanno parte l'amore e l'odio, i rapporti strappati al valore di scambio e le azioni sputate in faccia all'ordine della passività.
Le mie idee, il mio agire e il mio corpo non sono quelli di ieri né di tutti - così vuole pensare e sentire. Oggi, è accaduto qualcosa. Ogni giorno deve sottrarre all'impersonalità - ora di soppiatto, ora con il fragore della tempesta - il proprio unico profumo. Allora si può parlare anche di domani. Di già scritto per noi c'è solo la schiavitù, nascosta dietro questo imperativo: attendere il futuro.
I governanti della sopravvivenza in un tempo sempre uguale vogliono imporre a tutto e a tutti la propria misura. La smisuratezza delle nostre pretese è l'unica vera necessità di un cambiamentio ben più che necessario, e cioè possibie.
Oggi è accaduto qualcosa.
Massimo Passamani
L'Utah è il paese degli Stati uniti con il maggior numero di allevamenti di animali da pelliccia. La cosa non è passata inosservata agli animalisti, che hanno pensato bene di attaccare i numerosissimi lager per visoni. Solo nell'ultimo anno sono stati colpiti ventidue allevamenti, migliaia di animali sono stati liberati e sono stati causati danni per svariati milioni di dollari.
Spesso si parla delle lotte per la liberazione animale come di lotte parziali, che prendono il mondo, i rapporti di potere - che sono un insieme indivisibile - e li sezionano in tante differenti orbite di intervento. Spesso, nelle teste degli animalisti è proprio così: esiste uno sfruttamento quasi buono, tollerabile - quello dell'uomo sull'uomo - ed uno sfruttamento intollerabile - quello dell'uomo sulle bestie. Quest'ultimo, secondo quel genere di animalisti, dovrebbe essere il nostro campo di intervento e di attacco privilegiato.
Dovrebbe essere chiaro per tutti, al contrario, che le condizioni in cui vengono rinchiusi gli animali - i visoni, nel nostro caso - sono intollerabili come intollerabile è la nostra sopravvivenza, la galera, l'economia, lo Stato. Questo mondo, per intero, ci è intollerabile e lo vogliamo distruggere: sono certo che qualche animalista sarebbe perfettamente d'accordo. Sia come sia, questa lotta - di dimensioni rilevanti - negli Stati Uniti, ci induce almeno ad una riflessione proprio perché, scavalcati i limiti delle pacifiche contestazioni, è passata diffusamente sul terreno più fertile dell'attacco sul territorio causando una serie di reazioni: non ci si poteva certo aspettare che gli allevatori restassero con le mani in mano. Ora pattugliano armati le strade, perquisendo le automobili sospette. Non è molto, ma può aprire le porte a reazioni più vaste e violente - ogni atto di attacco apre una serie di contraddizioni, mette in moto meccanismi che non sempre sono semplici da comprendere ma che dovremmo tentare di prevedere.
Come reagire alla nuova situazione? Non sono solo le istituzioni a reagire direttamente ad una maggiore intensità dello scontro, ma anche alcune categorie che sono direttamente legate allo sfruttamento. Pensate che cosa potrebbe succedere quando attacchi così diffusi sul territorio non avranno come oggetto un settore limitato dello sfruttamento - come quello animale - ma lo sfruttamento e la sopravvivenza nel suo insieme. Le reazioni - al di là di quelle, che possiamo dare per storicamente conosciute, degli apparati della repressione - potrebbero essere molto più imprevedibili e violente, e non ci sarebbe niente da stupirsi. Gli interessi e la stabilità del sistema del dominio e dello sfruttamento non sono cose astratte ma coincidono con i desideri ed i beni di una parte, pur piccola, della popolazione. In questo caso parliamo dei grossi allevatori, ma non sono esclusi gli industriali, i grossi imprenditori, i manager, i burocrati.
Quando i desideri traboccano dal campo del fittizio per entrare nel reale non ci si può fare sorprendere dall'acuirsi dello scontro, bisognerebbe arrivare preparati.
I nemici sono sempre un poco più numerosi e un poco più intelligenti di quanto ci si aspetta ed ogni lotta che non trova gli strumenti adeguati è destinata a prolungare ancora i tempi della rassegnazione e ad appesantire la reazione.
Il panda
Un male lo sta consumando, lentamente ma inesorabilmente. E lui, David Earley, leader di un'associazione a favore dell'eutanasia, non ha avuto dubbi sulla scelta da prendere. Ha deciso di porre fine alla propria esistenza, annunciando l'intenzione di iniettarsi una dose letale di barbiturici al termine di una festa a base di cibo, musica e sesso, a cui inviterà tutti i suoi amici.
La vita, la morte e il piacere. Sulla conservazione della prima, da che mondo è mondo, non sono consentite discussioni. Su questo, credenti e laici si trovano d'accordo: la vita è un dono non richiesto, metterne in dubbio la qualità sarebbe di cattivo gusto. Un regalo si accetta sempre, non lo si discute. Come gli ordini. Tant'è che nessun giornalista rivolgerà domande a David Earley sul suo passato, magari su cosa abbia fatto in Vietnam quando indossava l'uniforme dell'esercito americano. L'importante è che abbia vissuto, cioè dato il suo contributo di desideri, sogni, sentimenti all'amministrazione dell'esistente. Il resto sono facezie da idealisti.
Sulla morte le diatribe sono invece infinite. Ma, almeno, quando a darla è una malattia i termini della questione sono abbastanza chiari. Da un lato, i paladini dell'eutanasia (da non confondere con il suicidio), cioè della morte dolce come ricompensa alla vita atroce: individui che sostengono il diritto dei più sfortunati ad abbandonare il teatro della vita prima della fine della rappresentazione, data la loro piena disponibilità a sborsare in anticipo il prezzo del biglietto e considerata la compostezza con cui hanno occupato le sedie della platea. Dall'altro lato, gli altri, che non ritengono ciò giustificabile: quelli che comprendono le buone intenzioni di chi vuole risparmiare inutili sofferenze, ma che non intendono privare l'individuo del suo arbitrio per consegnarlo nelle mani del potere, e poi ridarglielo all'ultimo momento. Non è cosa seria impietosirsi per un po' di dolore quando si impongono anni e anni di sofferenze. L'ideologia della vita umana come valore sacro e inviolabile, che tanta importanza riveste nel garantire ovunque la pace sociale, vedrebbe minate le proprie fondamenta.
Quanto al piacere, quello non si trova mai quando lo si cerca. Se ne sta in disparte, pronto a saltarci addosso e a lasciarci tramortiti, all'improvviso, quando meno ce lo aspettiamo. é per questo che le feste organizzate sono quanto di più triste ci sia al mondo. é per questo che una festa organizzata per rivendicare il diritto di crepare, almeno quello, lo è ancora di più.
U.C .
Qualcosa di più che una diversità di vedute: mentre nella sala comunale di Susa gli amministratori votavano un ordine del giorno per proteggere la Valle dal devastante passaggio del Treno ad Alta Velocità, qualcuno con spirito prammatico faceva saltare con una bomba il nuovo impianto di blocco automatico installato fra le stazioni di Bussoleno e Bruzolo. Nella stessa zona il 24 Agosto scorso ignoti avevano incendiato la trivellatrice che doveva servire per le prime rilevazioni. Qualche esempio di come a livello locale ci si può opporre alla distruzione dell'ambiente, che la realizzazione del Tav comporterà. A finanziare e promuovere questo progetto non sono soltanto le Ferrovie, ma quasi tutte le grandi banche italiane, da Mediobanca alla Bnl, finanziarie come la Citinvest e alcuni fra i più importanti istituti assicurativi. Il desiderio di stabilire un rapporto differente con la natura, contrariamente alle affermazioni degli interessati ambientalisti, non può che passare attraverso l'attacco agli interessi ed alle strutture che impongono alla vita la propria nocività.
Bosnia-Italia, amichevole in diretta da Sarajevo. Si è voluto sancire la pace di Dayton anche con un avvenimento sportivo, col calcio, che unisce tutti i popoli intorno alla Nazionale. Un gesto di solidarietà, quello che spinge la Rai a lasciare parte dei proventi dei suoi diritti sulla partita alla città di Sarajevo, ma il governo cittadino ci aveva già pensato e aveva venduto i diritti televisivi ad un altro network.
L'illusione dell'ipocrisia nascosta si infrange con la reale situazione di occupazione in ogni luogo delle truppe Ifor e dei carri armati della Folgore che percorrono le strade un tempo territorio dei cecchini. Non si spara più a Sarajevo, la Nato ha spostato il proprio asse d'intervento, non individua più il principale fronte nemico nell'Est europeo, ma nel Nord Africa e nel Medio oriente. Il nuovo modello di difesa richiede un'estensione delle basi Nato: Aviano in Friuli, già potenziata allo scoppio della guerra in Jugoslavia, e Sigonella in Sicilia, dove sono presenti un centinaio di testate nucleari - quantità che viene aumentata in particolari periodi di esercitazioni aero-navali nel Mediterraneo o durante le crisi internazionali, come nel corso dei conflitti con la Libia e con l'Irak. Ed è proprio alla base di Sigonella che è diretto il nuovo appalto di ampliamento assegnato dal Dipartimento per la difesa degli Stati uniti. Ben ottantotto miliardi di lire aggiudicati alla Cmc (cooperativa muratori e cementisti) di Ravenna, aderente alla Lega delle cooperative.
Un altro introito per il governo dell'Ulivo, che dovrà cercare di placare lo starnazzare del Comitato per la pace e il disarmo unilaterale che ha lanciato l'allarme - come a dire che, se si impedisse questo ampliamento, potremmo dormire sonni tranquilli.
La Cmc di Ravenna è una ditta ben conosciuta da chi lotta contro lo sfruttamento dell'uomo e contro le fabbriche di morte, una ditta con appalti in tutto il Medio oriente, legata al fu Raul Gardini, gruppo Montedison, con interessi in diversi affari che ci inquinano l'esistenza e ci incuriosiscono a tal punto che talvolta finiamo con l'interessarcene, ognuno col proprio bagaglio culturale.
Antonio Budini
La divisa è anche un simbolo, simbolo del decoro delle forze dell'ordine, dell'autorità dello sbirro e di quella dello Stato, infine di quel desiderio di protezione che solo un intruppamento adeguatamente retribuito può garantire. In poche parole, un simbolo d'oppressione. Alla sua vista ci si deve ricordare che lo Stato in nessun momento dimentica il valore del proprio demanio: fatto di uomini e di cose. Ma l'uniforme è anche cosa concreta. Migliaia di aziende appaltano le commesse per lavare e stirare questo distinto capo d'abbigliamento, altrettante si preoccupano di produrre dalle mostrine alle giacche, dagli stivali alle camicie. Quest'anno alle camicie ci penserà la Mediconf di Palermo, che ne sfornerà ben centosessantamila, per adornare i pettorali di poliziotti, carabinieri, guardie di finanza e anche di quegli agenti di custodia che, nonostante l'oscura attività svolta indefessamente, vengono snobbati persino da quelle deliziose sfaccendate che subiscono il fascino dell'indumento indossato da questi tutori dell' umana sicurezza.
Stonchiti
La campagna romana è fatta di rade boscaglie di lecci, di erba stopposa e opaca, di pecore e di ruderi delle epoche passate. é già triste per sua natura la campagna romana, senza contare che là dove correvano gli acquedotti e le strade consolari ora è regno di svincoli, palazzoni di periferia, discariche e baracche. Tra la via Pontina e la Colombo, però, si apre una valle nella quale, a detta di molti, non si respira quella stessa aria di periferia sporca e malinconica: il parco di Decima. I romani, qui, possono trovare molte cose che oramai credevano vivere solo all'interno del tubo catodico dei propri televisori. Passeggiando in questi seimila ettari destinati da qualche mese a fare da argine all'avanzare più estremo delle case della capitale, scoprono lecci e boschetti di pioppi. Possono imparare a riconoscere i sugheri, a distinguere salici e frassini, possono scoprire l'odore delle lepri italiche, e stupirsi nel vedere le martore spuntare dalla macchia. Chi l'avrebbe mai detto che a pochi chilometri dalle piazze e dalle fontane capitoline vivessero ancora i gatti selvatici - così differenti dai loro cugini sempre impegnati a conquistarsi un boccone di ombra e avanzi di cene proletarie nei cortili della città? E chi si sarebbe mai aspettato che le testuggini palustri potessero uscire dai documentari naturalistici della Rai fino a capitarci tra i piedi tanto da farci inciampare? Il mondo cambia forma quando possiamo toccarlo, quando possiamo modificarlo con le nostre mani, quando ogni nostro passo fa alzare in volo le starne - senza lasciarci più dentro quel ronzio di televisore rotto, che trasmette sempre lo stesso programma.
Quando la volontà ritrova i suoi oggetti e le sue armi può distruggere ogni riserva, ogni limite ed ogni città.
Proprio là, lungo la Via del Risaro, oltre Tor de' Cenci - dove si apre la valle e comincia il parco - c'è un lembo di terra stretta da una rete arancione e un cartello ci annuncia che la ditta Erma Srl di Roma sta facendo indagini archeologiche. Cosa stanno cercando sotto le zolle della campagna romana? Niente, perché il progetto reale è quello - coperto in parte dal segreto militare - di costruire il più grande centro di addestramento per i Nocs, le teste di cuoio italiane che tanto spesso vediamo in televisione armate fino ai denti e mascherate, figure che ci paiono quasi incredibili. Anche loro, come le martore, esistono per davvero: si alleneranno nel parco. Quella delle verifiche archeologiche è solo una formalità amministrativa - le leggi sui beni culturali - ed un'ottima copertura. La costruzione del centro di addestramento - aule, spogliatoi, poligono di tiro - è stata affidata alla Società Italiana Costruzioni, che fa capo ai Navarra. Imprenditori ed aziende che - come le martore - esistono per davvero: hanno delle case, delle sedi, dei cantieri.
E noi ora lo sappiamo quanto è diversa una martora quando esce dalla televisione e la possiamo annusare, toccare e, se lo desideriamo, farle la festa.
In riferimento ad un nostro precedente scritto apparso su Canenero n. 39, che trattava delle perquisizioni subite dagli anarchici spezzini e sarzanesi, aggiungiamo che: i punx e anarchici sottoposti lo scorso 6 novembre, tra Spezia e Sarzana, alla perquisizione della Digos sono stati in tutto cinque, con il risultato di tre compagni indagati (per il fatto che la perquisizione ha dato esito positivo) per i reati relativi agli art. 110 e 270 c.p.
Proprio in questi giorni, ai tre inquisiti sono stati consegnati degli avvisi di comparire il 27 novembre negli uffici Digos della questura spezzina, per essere sentiti come indagati (Éper aver intrapreso da tempo una condotta diretta alla diffusione ed esaltazione di ideali diretti al sovvertimento di ogni ordinamento politico e giuridico della societàÉ). Non abbiamo, da parte nostra, nessun obbligo e nessun motivo per essere interrogati dagli sbirri, quindi non perderemo tempo con queste buffonate poliziesche.
Intanto, per quanto riguarda la nostra città, informiamo tutti i compagni e le compagne che sabato 30 novembre si è tenuto un volantinaggio in solidarietà con Giacomo Caligaris - obiettore totale di Savona in carcere (trasferito presso il penitenziario di via dell'Uvaspina 18, 70022 Altamura - Bari) - un'occasione utile anche per parlare e denunciare la locale situazione repressiva.
I virus anarchici spezzini
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L'udienza della Corte di Cassazione che il 28 novembre scorso doveva esprimersi sulla validità del processo d'Appello sul sequestro Silocchi, che vede tra gli imputati anche alcuni anarchici, è stata rinviata al prossimo 18 dicembre.
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Il 16/1/1997 si terrà a Rovereto il processo contro i compagni Antonio Budini, Carlo Tesseri, Jean Weir e Christos Stratigopulos accusati di ricettazione delle armi usate nella rapina di Serravalle, per cui sono già stati condannati.
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Lo scorso 26 settembre il Tribunale di Firenze ha dichiarato prescritta la condanna che costringeva il compagno anarchico Pasquale Valitutti alla latitanza. Presto farà rientro in Italia.
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Ad Apollonia Cortimiglia, arrestata lo scorso 17 settembre su ordine dei pubblici ministeri Marini e Ionta, sono stati revocati gli arresti domiciliari cui era sottoposta. Attualmente, l'unico obbligo che le è stato imposto è di firmare dai carabinieri tre volte alla settimana.
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La sera del 28 novembre scorso a Roseto, in provincia di Teramo, qualcuno ha pensato di colorare con scritte in solidarietà con gli anarchici arrestati e contro Antonio Marini sei autobus dell'Arpa, le autolinee locali. Gli autori del gesto hanno usato una vernice indelebile, tant'è che il giorno seguente gli automezzi hanno dovuto viaggiare ugualmente con i loro messaggi ben visibili agli occhi di tutti. Il giornale locale, nel riportare la notizia, ha ipotizzato potesse trattarsi dell'opera di tossicodipendenti, poiché quel giudice Marini infame scritto sugli automezzi è nient'altro che il magistrato che ha condannato Marco Pannella, uomo politico radicale, per aver distribuito la droga inscenando una vera e propria manifestazione a favore della liberalizzazione delle sostanze stupefacenti. A cosa non ricorrono per tentare di avvolgere nel silenzio l'operato dei magistrati romani contro gli anarchici.
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Marzio Muccitelli, l'anarchico disertore detenuto a Forte Boccea, ha deciso di non indossare più la divisa che gli viene imposta persino in carcere e di non obbedire agli altri ordini che gli vengono impartiti. Ora più che mai è importante fare sentire a Marzio la nostra vicinanza e agli sbirri che lo rinchiudono il nostro fiato sul collo. Chi volesse mettersi in comunicazione con Marzio, scrivere, inviare telegrammi o quant'altro, può farlo al seguente indirizzo:
Marzio Muccitelli, carcere militare, via di Forte Boccea 251, 00167 Roma.
Udine, Venerdì notte 22 novembre. Anarchici imbrattano con varie A cerchiate la sede prescelta per la festa sindacalista libertaria, in uno stabile con sala pubblica e sede del Pds, per provocare incongruenze tra istituzione ed utente (Usi).
Sabato sera 23 novembre. Inizio concerti. Raid dei soliti tre gatti anarchici con rimozione ed appropriazione della bandiera anarchica (rossonera) situata sotto il simbolo del Pds. I nostri vengono inseguiti fin sotto il Treblinka e minacciati, volano insulti e spintoni. E la bandiera torna al legittimo proprietario.
Domenica sera 24 novembre. Volantinaggio al concerto conclusivo della rassegna festaiola.
Anche noi ci siamo divertiti!
Scusate se abbiamo imbrattato la vostra festa
Non ce n'è mai fottuto di avere una bandiera né di rubarla (forse è dovuto a questo la nostra poca oculatezza nel portarcela via). Tenetevela stretta la vostra bandiera, nascondetevela pure dentro le mutande se è di questo che avete bisogno per essere anarchici. Ma mettere lì quella bandiera davanti alla sede di un partito, del partito di governo, mentre gli anarchici sono in galera ci è sembrato troppo. Non vi sentite ridicoli?
Certo, dal vostro punto di vista quella bandiera serviva, serviva a fare da contraltare all'egida del Pds, ad indicare che oggi lì a mangiarsi le salsicce ci stavano gli anarchici e non i soliti pidiessini.
Tenetevela pure la vostra bandiera, compratevene o costruitevene (conoscete l'autoproduzione?) delle altre, esibitele quando scendete in piazza a manifestare con la massa belante contro l'attuale opposizione al governo o il rincaro del pane.
Noi, quello che ci serve, preferiamo prendercelo od ottenerlo senza carte bollate, permessi e regole compromissorie.
Questi metodi li lasciamo ai politicanti, perché noi crediamo nell'azione diretta e la sovversione nel quotidiano.
Se siamo individualisti è perché non ci piacciono i vostri giochi e soltanto dall'individuo può partire quella scintilla che porta ad un percorso di liberazione anarchico. Noi preferiamo agire piuttosto che servire.
Buon lavoro!
Individualità Treblinka okkupato
Collettivo corrosione anarchica
Io troverò sempre dei compagni che si uniranno a me
senza prestare giuramento alla mia bandiera
Max Stirner
La paura di non ottenere riconoscimenti istituzionali può giocare brutti scherzi, così chi agisce con questo scopo finisce con l'assumere comportamenti contraddittori e voltafaccia repentini.
Le nostre scelte, le nostre azioni, sono una diretta conseguenza degli obiettivi che ci prefiggiamo. Ecco perché il rivoluzionario, che ha come obiettivo la distruzione del sistema capitalista e dello Stato, in genere non accetta mediazioni né cerca di ricevere elargizioni dalle istituzioni.
Qualche mese fa uno stabile in via degli Angeli a Roma è stato occupato da alcune persone, il cui obiettivo era quello di realizzare un centro sociale autogestito, un luogo dove incontrarsi e svolgere un'attività sociale. Ma non sempre è chiaro il senso dell'autogestione, che dovrebbe porsi in quanto tale al di fuori e contro le istituzioni che esercitano la loro funzione di controllo. C'è chi pensa di poter praticare l'autogestione anche col consenso e il beneplacito del Comune, di assessori e sindaci, e addirittura qualcuno ritiene giusto ricevere da personaggi del genere sostegni e finanziamenti. Non so se fosse questo l'obiettivo di quei baldi occupanti di via degli Angeli, ma il successivo sviluppo della faccenda mi fa sorgere qualche dubbio al riguardo.
La loro esperienza di occupazione è stata interrotta dopo poco tempo dalla polizia municipale che ha sgomberato quello spazio. In seguito allo sgombero, alcuni degli occupanti hanno deciso di occupare i locali della circoscrizione del quartiere Torpignattara, trattenendone il presidente per pretendere da lui una pubblica dichiarazione di condanna di quello sgombero. Per tutta risposta, il presidente Puzo ha avvisato la polizia, la quale ha provveduto a spiccare un mandato di cattura per occupazione e sequestro di persona nei confronti di quattro persone, tre delle quali sono state arrestate. Secondo le ultime notizie, pare che attualmente i tre siano stati scarcerati e un altro si trovi agli arresti domiciliari.
Fin qui la cronaca di una delle tante occupazioni, se non che è entrato in scena qualcuno che a subire la repressione non ci stava, e che perciò ha deciso di dare una risposta appropriata colpendo un responsabile di quell'atto repressivo. L'automobile di Puzo è stata fatta oggetto di un attentato con un ordigno incendiario. I giornali hanno parlato di un'azione rivendicata dai Nuclei comunisti combattenti. Al di là di questo, forse un'azione come questa costituisce un punto di rottura, forse è stata considerata un ostacolo ad un possibile tentativo di riprendere il discorso interrotto con gli amministratori comunali che dovrebbero venire incontro alle loro esigenze, così gli ex-occupanti di via degli Angeli si sono affrettati a stilare, non uno, ma ben due comunicati per dissociarsi da quell'atto: uno firmato occupanti di via degli Angeli e l'altro comitato di lotta del Quadraro. In questi comunicati, letti a Radio Onda Rossa, i firmatari si lamentavano di quegli eventi in quanto non fanno altro che aumentare, quando non creare, la repressione.
Personalmente, come anarchico e rivoluzionario, avrei magari avuto qualcosa da ridire sulla sigla della rivendicazione, su chi cerca di mettere il proprio cappello su una lotta espropriando altri del piacere dell'attacco.
Ma tant'è, ognuno persegue i propri obiettivi e agisce di conseguenza.
Paolo Ruberto
E due. Per la seconda volta nel giro di pochissimi giorni, un prete romano è finito al centro di una poco amichevole attenzione. Il parroco di Settebagni, nella periferia della capitale, è stato insultato e picchiato da un giovane che aveva appena redarguito per averlo visto sputare sul tabernacolo.
Uno squilibrato - hanno scritto i giornalisti. Lo stesso aggettivo usato per descrivere l'aggressore del primo prete, quello di Acilia, di cui ora si conosce meglio l'identità. Non era un mafioso - come qualcuno aveva ipotizzato malignamente nel tentativo di ottenere un'unanime condanna - ma semplicemente un marito da poco abbandonato dalla moglie ed arrabbiato per l'intrusione del sacerdote nella sua vita sentimentale. E quel prete non era stato l'unico ad aver suscitare le sue ire. Anche i carabinieri si erano messi di mezzo e lui li aveva accolti a modo suo: un pugno in faccia a un milite e due bottiglie molotov contro una loro caserma.
Uno squilibrato, anche lui. Non ci possono essere dubbi. I preti, i carabinieri, insomma, brava gente forse non saranno, ma perché prendersela con loro in questa maniera. Senza nemmeno cercare di discutere. E senza una nobile giustificazione, un alto ideale, discutibile finché si vuole ma comodissimo da sventolare come una bandiera. Anzi, come un certificato medico capace di togliere di dosso il marchio infamante del capriccio, della follia.
Invece, niente. Chissà cosa gli sarà passato per la testa. Chissà qual è il motivo di quegli sputi sul tabernacolo e di quelle bastonate ai preti. Già, chissà. Squilibrati, è chiaro. Perché è da squilibrati cercare di risolvere da soli i conflitti che angosciano la propria vita, senza ricorrere a mediatori. Ancor più da squilibrati è identificare chi su quelle angosce, su quei conflitti, costruisce il proprio potere. Preti e carabinieri, la giustificazione del loro ruolo - per non parlare del loro stipendio come delle loro prebende - non consiste forse nella loro competenza a fornire una soluzione ai problemi degli altri? E che dire poi di qualcuno che, dopo aver identificato quelli che ficcano il naso nell'unica vita altrui, arriva addirittura a colpirli? Squilibrati, non occorrono altre parole.
Proprio così. Gli equilibrati stanno dall'altra parte. Assieme ai preti, ai loro fedeli in ronda e in preghiera e ai carabinieri.
C.V.
Domenico Tarantini
Contro lo Stato e contro la politica
La Fiaccola, Ragusa 1996pagine 40, lire 4.000
Un pamphlet rivoluzionario, scritto quasi alla fine degli anni `70, è facile che venga abbandonato in quel santuario cadente propriamente detto memoria storica. Avvoltoi d'ogni risma si premureranno di far sapere a destra e a manca che i tempi sono cambiati, condannando, col funereo rigore degli archivisti, queste pagine al contesto in cui l'opuscolo è stato pensato e realizzato.
Se è vero che la tecnologia ha determinato profondi mutamenti nella realtà e che rispetto a vent'anni fa non si possono più descrivere le differenze di classe con vocaboli quali borghesia e proletariato, questo nulla toglie all'efficacia con la quale Tarantini tratta i termini dello scontro. Già dal primo capitolo non lascia spazio a letture di comodo; l'essenzialità della rivolta si coglie appieno, essa è fatto ininterrotto, una condizione permanente, è individuazione del nemico, è l'atto violento con cui l'affrontiamo. Questo nemico siamo anche noi stessi, perché preparandoci all'attacco dobbiamo fare violenza su quella parte che in noi è conservazione e rinuncia, vale a dire morte. Ed è proprio la morte che risiede nelle parole di quegli anarchici che, timorosamente solidali con le fanfare democratiche, si affannano tutt'oggi a pronunciare condanne assolute della violenza, senza più distinguere da quale parte proviene. Meglio per queste oneste persone parlare di un immaginifico esodo dal capitalismo oppure di erosione graduale delle quote di potere dello Stato. Meglio rintanarsi nella nicchia del sindacalismo di base che naviga nell'asfissiante palude della rivendicazione di categoria, affermando, sottovoce per non farlo sapere agli iscritti, che è pur sempre rivoluzionario. Per Tarantini questo termine applicato al sindacato diventa più un'etichetta che una realtà concreta: sotto qualunque forma si presenti è uno strumento del capitale poiché promuove un'azione che non solo rientra nelle prospettive, nel programma del capitale, ma è addirittura da esso voluta e promossa. Quanto somigliano certi anarchici all'intellettuale di sinistra descritto nel capitolo dedicato al nemico degli sfruttati. Proprio come chi tuona oggi dalle pagine dei propri giornali - non disdegnando ogni bassezza, dalla calunnia alla delazione, o anche adoperando ragionamenti raffinati - contro chi si ostina a ribellarsi, che posso persino immaginare a cosa potrà ricorrere domani di fronte ad episodi insurrezionali.
D.M.
Per la redazione di Canenero
e per conoscenza alla redazione di Umanità Nova
e p.c. alla redazione di "A"
e p.c. alla redazione di Germinal
Roba da preti?
Potrei parlarvi di preti, noti secondo la tradizione popolare per predicare bene (?) e razzolare male, ma non mi va di perdere tempo su di loro.
Potrei parlare del mio non far parte di nessuna struttura (FAI, FDCA...) organizzata del movimento (caratteristica che non essendo una presa di posizione potrei, se volessi e se/quando penso sia più utile al mio pensiero, variare in qualsiasi momento) ma non credo che vi interessi.
Posso però dire che leggo con molto interesse tutta la stampa anarchica che mi capita sotto mano, e su questa mi capita spesso di avere qualche critica da avanzare.
Non è la prima volta che scrivo ad un organo di stampa, e non fatevi scrupoli a non pubblicarmi se non vi interessa, visto che non ho mire di grandezza.
Sugli articoli del vostro Cane e sui comunicati del CDA leggo le tirate d'orecchio al movimento dicendo che un anarchico non si sogna di scrivere le regole di vita d'anarchico e di dare la patente di anarchico, per questo non vuole neanche essere giudicato delle sue scelte di vita o propaganda, e ciò mi sta bene; leggo che da anarchici non se ne vuole sapere di giudici togati, magistrati, o di chi si erge a difensore della collettività con le sue leggi, il suo potere di vita e di morte, di privazione della libertà... e mi sta più che bene.
Ma che cosa mi dite dell'articolo di Passamani nel numero uscito dopo gli arresti, sugli anarchici buoni e cattivi?
Che cosa su un articolo di qualche tempo fa che lodava alcuni ladri (se non sbaglio napoletani) che erano morti mentre cercavano di colpire una banca, mentre sulla strada sopra dei loro corpi passavano alcuni manifestanti che, come tali, non ci avevano capito niente?
Da anarchico ripudio la violenza, specialmente dello stato, dei suoi assassini e i suoi giudici.
Invece apprezzo e lodo l'azione di Gaetano Bresci che ha messo fine alla vita e alle violenze di un monarca quale umberto primo.
Non mi va (né penso sia utile) di stendere un regolamento di quali sono i delitti giusti e quali quelli sbagliati, di quali sono i crimini accettabili o utili e quelli inaccettabili o inutili, di quali azioni positive e quali negative. Mi fido della mia pelle e giudico ogni azione e non l'insieme di esse, catalogato e codificato dallo stato o gli organi legiferanti.
é con il mio giudizio, in parte istintivo, ma che potrei approfondire con la logica e la passione, che vedo con simpatia Gaetano Bresci.
é con lo stesso istinto che depreco l'atto di alcuni anarchici (?) che la bellezza di sessant'anni fa hano ucciso l'anarchico Emilio Lopez Arango, direttore de La Protesta, ma a maggior ragone di chi dopo tanto tempo rivendica (fuoco sul carro funebre - Canenero 15.11.96), e porta come bandiera del proprio anarchismo proprio chi si erge a giudice dei compagni e stabilisce le azioni o i pensieri giusti per il vero anarchismo.
Piantatela, per favore, di essere dei preti dell'anarchismo, e continuate a cercare e praticare le vostre vie senza mettere i bastoni sulle ruote di chi non fa quello che dite voi.
roberto - Ancona
P.S. tanto per capirci, confesso di non aver mai sentito parlare dell'omicidio in questione, ma questo va a pesare maggiormente su chi ha scritto l'articolo in questione, visto che incendia il carro funebre, non ci dice chi è il morto e vuole che noi siamo con lui.
Come vedi pubblichiamo la tua lettera e lo facciamo anche molto volentieri. Certo, solitamente chi fa un giornale non ama molto le lettere anonime, e converrai con noi che un nome e una città sono un po' poco. Ma il contenuto della tua lettera è tale da renderla ai nostri occhi di un valore inestimabile.
E' incredibile. Quasi una quarantina di numeri del giornale, decine e decine di articoli densi di idee, analisi e commenti, e - quasi - mai un cenno critico da parte dei nostri lettori. Mai una lettera di rabbuffi o di indignazioni. Ma è bastato nominare i nomi di alcuni anarchici del passato, come Camillo Berneri o il meno conosciuto Lopez Arango, ed ecco che improvvisamente le lettere di critica prendono a fioccare. Finalmente. Quel dibattito che non siamo riusciti ad ottenere con la semplice esposizione delle nostre idee, pare stia a fatica venendo fuori, dopo aver rotto il silenzio che avviluppa il cimitero dell'Anarchia. E questo la dice lunga sui pregiudizi che a qualcuno impediscono una serena lettura di quanto viene espresso su queste pagine.
Ci chiedi conto di due articoli, per scovare uno dei quali sei dovuto risalire fino al numero 15 di Canenero. Ma, caro Roberto, li hai letti davvero quegli scritti? No, non che ne dubitiamo. Tuttavia quei tuoi riferimenti in tutta sincerità ci lasciano perplessi. Sembra quasi che tu ti sia risentito della critica che Massimo Passamani ha fatto di quella figura di anarchico buono descritta dal potere e dai suoi organi di informazione (la lingua batte dove il dente duole?). E anche del fatto che qualcuno ha osato deprezzare una manifestazione di disoccupati - che tra parentesi non erano alla ricerca di patenti d'anarchici. Ma da quando fra anarchici non è consentita né apprezzata la critica, anche quella più accesa, sempre che sia argomentata e sostenuta pubblicamente, pronta ad affrontare qualsiasi discussione?
E, proprio dopo aver affermato che ti sta bene che un anarchico non si sogna di scrivere le regole di vita d'anarchico, rovini tutto con la tua precisazione che da anarchico ripudi la violenza. E aggiungi: specialmente quella dello Stato. Specialmente, quindi non solo - se la lingua italiana non è un'opinione. E qual è allora l'altra violenza che ripudi, caro Roberto? Non quella di Gaetano Bresci, come ti premuri di informarci, di cui nessun anarchico oserebbe parlare male. Non foss'altro perché sono passati novantasei anni dal suo gesto e le indagini condotte dalla magistratura per scoprire i suoi presunti complici sono già archiviate da un pezzo. E magari sei uno di quegli anarchici che non disprezzano nemmeno la violenza di un Durruti, di un Makhno, di un Caserio e di tanti altri anarchici lontani nel tempo e magari nello spazio. Gente in gamba, da ammirare, purché se ne stiano lontani. Per giudicare le loro azioni saresti capace persino di mobilitare la tua logica e la tua passione. Saresti pronto, istintivamente, ad apprezzare l'utilità dei loro delitti e crimini, come ti pregi di definirli.
Invece, per quanto riguarda l'omicidio di Lopez Arango, per quello no. Quell'omicidio turba il tuo istinto. E ancor più lo turba il fatto che Canenero lo abbia omaggiato di un tardivo carro funebre. Ciò che non turba il tuo istinto è che Lopez Arango calunniasse regolarmente gli anarchici che in quel periodo prendevano le armi in Argentina. Che li additasse alla polizia per salvaguardare il proprio benessere. Per i termini usati, costui ricevette il biasimo di molti altri anarchici, come l'Adunata dei refrattari e Luigi Fabbri. Un anarchico calunniato che spara sul suo calunniatore ti riempie di orrore - queste cose non si fanno tra compagni -, viceversa che ci siano anarchici che ricorrono abitualmente alla calunnia e alla delazione ti lascia indifferente. La tua logica e la tua passione tacciono, così come i tuoi fax di protesta, vero Roberto? Secondo la leggenda, fu l'anarchico Severino Di Giovanni ad uccidere Lopez Arango. E lo fece non perché questi criticasse l'uso di certi metodi, cosa legittima nell'àmbito di un dibattito fra compagni, ma in quanto lo aveva a più riprese definito pubblicamente agente fascista, provocatore, strumento della polizia. Alla richiesta di un'altrettanto pubblica smentita da parte di Di Giovanni, Lopez Arango si era rifiutato, rincarando la dose e continuando a diffamare lui e gli altri compagni a lui vicini. Ma forse tu e il tuo istinto condividete questi metodi, forse sei d'accordo con chi ha l'abitudine di spacciare l'uso della calunnia come libertà di espressione. Ieri come oggi.
Qualcuno di noi ti ha messo i bastoni fra le ruote, caro amico? Qualcuno si è mobilitato per boicottare una tua iniziativa di lotta, ha seminato menzogne pur di metterti in cattiva luce agli occhi di altri compagni, ti ha chiamato provocatore, agente dei servizi segreti, sprangatore, arraffatore dei soldi dei compagni, camorrista, teorico delle stragi sui treni di pendolari e via diffamando, rifiutando poi coraggiosamente di avere un confronto diretto con te? Qualcuno si è mai affrettato a fare finta di non conoscerti, ad additarti come ladro e amico dei terroristi con la polizia presente, ad affermare pubblicamente e prudentemente che con le tue idee ed azioni dai una mano alla repressione? A noi è capitato. E con questo noi non ci riferiamo a un gruppo o ad un partito, ma ad alcuni individui anarchici che pensano e agiscono per estendere le proprie idee di sovversione, non per accrescere il proprio numero, non per aggregare, e che proprio per questo non hanno problemi a mostrare l'unica faccia che hanno. (Nemmeno se/quando pensassimo che variare sarebbe più utile al nostro pensiero - come puoi fare tu che non hai una presa di posizione). Non ci interessa affatto che gli altri la pensino come noi, soltanto ci piacerebbe venir criticati per quello che ciascuno di noi sostiene: peccato che il dibattito sui contenuti manchi regolarmente, mentre in alcuni ambiti si continuino a privilegiare il pettegolezzo, la menzogna, l'infamia.
Caro Roberto, i preti non si distinguono dal fatto che predicano bene e razzolano male, ma perché incitano alla rassegnazione, esortano a essere tolleranti perché siamo tutti fratelli, invitano ad accantonare i desideri del presente promettendo il paradiso futuro, sminuiscono ogni individuo davanti a un Dio o ad una collettività superiori. Hai mai trovato traccia di tutto ciò su Canenero?
Di feste ce n'è ben poche quando le vite sono amministrate dai tempi del potere. A meno che ognuno decida personalmente dove, quando, cosa festeggiare. Chi pensa che la festa sia solo una sosta, una parentesi che naufraga tristemente nell'oceano dei compiti e dei doveri quotidiani, ebbene per costui le feste saranno solo occasioni per riprendere fiato dalla quotidiana schiavitù.
Ma chi pensa di assaltarla, questa vita, è ben lontano dal considerare una sosta quello che più gli piace.
Per lui la vita è festa.
E la festa divora tutto, soprattutto le scadenze, gli orari e le miserabili decisioni della legge.
Ci sarà una festa dove non sarebbe possibile, ma molto è possibile per chi non ha padroni.
(dal volantino della occupazione Matticao? di via Petrella 14 - una parallela di via Ponte alle Mosse - a Firenze, nata da una settimana).