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LAVORO

Pubblica amministrazione


Lo scorso 10 febbraio il Governo ha approvato uno schema di decreto legislativo che completa la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.
E’ arrivato così a conclusione un processo iniziato alla fine degli anni ’70. E’ infatti del 1979 il rapporto Giannini, ex ministro della Funzione Pubblica, che sollecita la riforma della pubblica amministrazione, puntando l’indice sui dipendenti pubblici, e sui diritti, contenuti nel Testo unico (Dpr 3 del 1957) che producevano enormi rigidità da parte del dipendente pubblico.
Seguono 15 anni di campagne stampa di criminalizzazione della figura del dipendente pubblico, campagne che nascondevano le vere radici del malaffare e della corruzione (l’occupazione da parte dei partiti di ogni forma di spazio pubblico, con il fine di piazzare personale fedele e fidato ai vertici, senza trascurare il saccheggio delle casse), e che venivano usate per attaccare il diritto di sciopero, la legge antisciopero, L. 146/90, è conseguenza anche di questo clima.
Il governo Amato, quello che esce fuori dalle elezioni dell’aprile 1992 e gestisce la crisi del sistema politico con la svalutazione, l’accordo del 31 luglio che blocca i salari ed una delle più pesanti leggi finanziarie (90 mila miliardi), ottiene dal Parlamento una maxi delega (L. 421/92) con cui riordinare le pensioni, la sanità, la finanza locale, ed il pubblico impiego nel suo complesso.
la banda bassottiCome sia andata in materia di pensioni e sanità, e come le misure di contenimento della finanza locale abbiano a loro volta rappresentato un taglio generalizzato di servizi pubblici (dagli asili nido agli scuola bus) ed un aumento delle tasse comunali e regionali è cosa nota.
Un po’ meno conosciuta, al di fuori di chi ci lavora, è la revisione dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego.
Il Decreto legislativo 29 del 1993, con le successive modifiche ed integrazioni contenuti nei decreti 470 e 546 emanati sempre nel corso del 1993, sancisce la privatizzazione del rapporto di lavoro, delineando una profonda gerarchizzazione dello stesso: tutto il potere viene dato ai dirigenti, a cui spetta, oltre all’emanazione degli atti ed ai poteri di spesa, il controllo pieno della forza lavoro alla stregua di qualsiasi datore di lavoro privato.
Al Decreto 29 si sono ispirate le varie amministrazioni dello stato, le regioni e gli enti locali che hanno condotto processi di ristrutturazione in questi anni, tutti caratterizzati da una pesante verticalizzazione dell’organizzazione del lavoro.
Come tutte le riforme disegnate sulla carta ha avuto bisogno di continui aggiustamenti, fino a quando il governo Prodi lo ha eletto come uno dei terreni principali della modernizzazione capitalistica dell’Italia (“Una pubblica amministrazione al servizio della competitività delle imprese”).
Conseguentemente, il ministro Bassanini, con la L. 59/97, ha riaperto la legge delega 421 mettendo mano all’intero processo di lavoro, finendo con l’introdurre il cosiddetto Spoils System, sistema usato negli Stati Uniti, che da la possibilità ai vertici politici delle amministrazioni di scegliere i propri dirigenti.
Questo processo complessivo di privatizzazione del rapporto di lavoro ha escluso le corporazioni forti, quelle che coincidono con funzioni di tutela dello Stato (ordine pubblico, e quindi la polizia, difesa, tutto il complesso militare, magistratura, fino alle baronie universitarie).
Parallelamente doveva avvenire il trasferimento delle controversie dalla giurisdizione amministrativa (i Tar, Tribunali amministrativi regionali) al Giudice del lavoro; dopo tanti rinvii avverrà dal 30 giugno 1998.
Guardiamo le novità che Bassanini pensa di introdurre, con il citato schema di decreto legislativo e che dovrà essere approvato entro il 31 marzo, una volta acquisito il parere delle Camere:

ALCUNE RIFLESSIONI:
Il governo Prodi, con l’azione mirata del ministro Bassanini, continua l’opera dei governi che lo hanno preceduto nel peggioramento delle condizioni di vita di lavoratori e dei disoccupati, la sempre più evidente integrazione dei sindacati istituzionali nell’apparato statale. Da questo punto di vista, la precarizzazione del rapporto di lavoro, anche nel pubblico impiego, fa il paio con le misure liberticide (si veda il decreto Bassanini sulla rappresentanza) in materia di diritti sindacali - che è divenuto urgente nel pubblico impiego per la diffusione delle forme alternative a quelle tradizionali di organizzazione sindacale e a strutture di base di vario genere.
E’ nel mirino del governo il significato stesso della rivendicazione di base e dell’azione diretta come modalità specifiche di un movimento di lavoratori di tipo nuovo, di autonomia dallo stato, dai padroni e dai partiti, autonomia che implica una capacità di elaborazione e di proposta che il sindacalismo tradizionale non ha per definizione nella misura in cui ha scelto di delegare ad altri (lo stato, i partiti, gli apparati) la politica generale.
A questo enorme spazio politico-sindacale corrisponde il nuovo ruolo svolto da C.G.I.L. C.I.S.L. e U.I.L. nella determinazione dei momenti portanti e qualificanti della legislazione lavoristica “dell’emergenza”.
Intorno alla ideologia della crisi, “l’emergenza permanente”, quale pietra angolare della nuova produzione normativa, quale prospettiva per affrontare le emergenze sociali non solo, come è ben noto, in materia di politiche del lavoro, il ruolo delle grandi confederazioni sindacali si trasforma e si ridefinisce.
Il ruolo via via assunto dal sindacato ufficiale (moderato e responsabile) ha in un certo senso scavalcato il ruolo proprio dei partiti politici nel processo di produzione normativa. Si è creata così una dialettica perversa e stringente tra organizzazioni sindacali, padronato e governo.
La concertazione delle politiche di crisi e la cogestione del nuovo modello produttivo e normativo ha sempre più determinato il comportamento delle tradizionali confederazioni sindacali.
Ciò spiega, almeno in parte, l’apparente paradosso della coesistenza di una significativa crisi di rappresentatività del sindacato tradizionale e la crescita contemporanea del suo “peso” su un piano generale. Già agli inizi degli anni “90 assistiamo ad un crollo della tradizionale rappresentanza politica ed alla “tenuta” del sindacato quale supporter e consigliere dei governi chiamati ad applicare dure politiche di attacco alle conquiste dei lavoratori ed ai livelli raggiunti dalla spesa pubblica.
E quali sono le ormai ventennali parole d’ordine che caratterizzano questa inversione di tendenza? Flessibilità e precarizzazione. I momenti cruciali di tale evoluzione (o involuzione) sono il “pacchetto Treu” E il “decreto Bassanini”.
Dopo le trasformazioni che hanno attraversato il settore industriale con altrettanta volontà ristrutturatrice si sta ora procedendo nei due settori che oggi diventano fondamentali: la pubblica amministrazione e i servizi a rete. La pubblica amministrazione è destinata a diventare sempre più strumento funzionale agli interessi delle imprese che da tempo lamentano un eccesso di attenzione al Welfare State, costoso e a loro dire inutile, a discapito della fornitura in tempo reale di strumenti per la competitività. La ristrutturazione dei servizi a rete sta passando direttamente attraverso le privatizzazioni con il duplice obiettivo di socializzare le perdite e privatizzare gli utili e di garantire le infrastrutture necessarie al sistema-paese, e cioè in poche parole al sistema delle imprese, anche qui con l’obiettivo di renderle competitive.
Bisogna pertanto guardare al nuovo ruolo assunto dalle pubbliche amministrazioni che congiuntamente agli istituti finanziari presenti sul territorio (lobbies politico-affaristiche, banche) diventano soggetti determinanti del dominio locale.
Modello di sviluppo locale sempre più basato sulla pubblica “amministrazione-impresa” succube ai processi di concentrazione aziendale.
Processi ormai finalizzati all’imposizione sociale dell’assunzione dei comportamenti di potere incentrati su modelli relazionali tipici dell’impresa.
Il consociativismo neoliberista dell’era della globalizzazione anche in Italia propone politiche economiche, fiscali e della spesa pubblica, percorsi di privatizzazione sfrenata, l’abbattimento del Welfare-State, riforme politico-costituzionali in genere con l’unico condizionamento legato alla logica del mantenimento del consenso elettorale, andando di volta in volta a soddisfare interessi particolaristici legati al mondo dell’impresa, ad una nuova partitocrazia ancora più assetata di potere di quella precedente, ma più compatibile ai nuovi schemi di ristrutturazione capitalistica.
E’ all’interno di queste dinamiche che va interpretato il duro attacco che tale consociativismo neoliberista sta effettuando alle condizioni di vita dei lavoratori, dei precari degli anziani, dei disoccupati, degli emarginati; comportamenti di regolazione sociale di ogni forma di antagonismo, evidenti negli interventi e nei documenti del governo, nelle posizioni e nei documenti sul Welfare dei sindacati confederali, nei modelli di riferimento di Stato sociale della Banca d’Italia e della Confindustria.
Il cosiddetto terziario avanzato, divenuto ormai settore strategico nei nuovi modelli di sviluppo metropolitano, anche nell’area fiorentina, vede le amministrazioni, a partire dalla Regione, assumere un ruolo importante nella spartizione dei ruoli e dei poteri nel quadro della centralità del sistema impresa.
Le esigenze di riorganizzazione capitalistica del lavoro stanno dissolvendo la tradizionale configurazione del lavoro salariato e con esso anche le forme di rappresentanza sindacale che vi si ispiravano, investendo anche il vasto e variegato mondo del pubblico impiego dove garanzie, e spesso privilegi, si sono costruiti in nome dell’inefficienza, dello spreco di risorse, del sistema delle clientele politiche.
Oggi alla nuova organizzazione produttiva necessita un altro tipo di forza lavoro. E’ in via di emersione la nuova figura nella produzione e nei servizi che potremmo definire “LAVORATORE UNICO”, estremamente flessibile, capace, perché scolarizzato, di cambiare mansioni, e svolgere funzioni anche molto diverse tra loro, tenuto all’oscuro di qualsiasi conoscenza complessiva rispetto al processo in cui viene coinvolto, privo di qualsiasi tutela e garanzia, da quella sindacale a quelle salariali e previdenziali.
Un cittadino lavoratore estremamente docile e duttile da poter collocare con facilità in qualsiasi tipo di impresa sia a carattere pubblico che privato, disposto a mobilità territoriale e salariale prigioniero dell’ansia di poter passare dalla condizione di disoccupato poi occupato e magari nuovamente disoccupato, disponibile pertanto ad accettare qualsiasi forma di orario, lavori pesanti, paghe ridotte mancanza di regolarizzazzione contributiva e previdenziale, ambienti di lavoro malsani, il rischio di incidenti, fino alla disponibilità ad accettare rapporti di lavoro subordinato mascherati da lavoro autonomo, magari aderendo a una delle tante cooperative sociali alle quali viene progressivamente appaltato il lavoro pubblico.
Le esperienze passate ci insegnano che i processi di privatizzazione dei servizi e delle aziende pubbliche, non solo hanno determinato aumento di prezzi, coniugato spesso ad un abbassamento della qualità del servizio erogato. Le privatizzazioni sono state il banco di prova dei cosiddetti “tagliatori di teste”, aumentando la disoccupazione e il disagio sociale senza nel contempo abbattere il sistema clientelare, assistenziale, inefficiente e tangentocratico. Per la stessa pubblica amministrazione fiorentina il programma di privatizzazioni non rappresenta quindi soltanto una scelta “tecnica” di contenimento della spesa per alcuni settori isolati per i quali si ipotizzano gestioni diverse da quella diretta, ma è una scelta politica strategica totalmente in linea con gli indirizzi politici comuni sia alla giunta cittadina che al governo del paese.
Altrettanto strategica e decisiva è la battaglia politico-sindacale che le strutture sindacali di base hanno il compito di avviare sulla questioni delle privatizzazioni nella consapevolezza che esse non sono mirate al risparmio ma alla trasformazione del lavoro da garantito e stabile a deregolato e precario e l’Ente Pubblico da istituto deputato alla ridistribuzione della ricchezza sociale in termini di lavoro e servizi a strumento funzionale agli interessi di impresa e a centro di controllo politico della deregolazione sociale.



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