NEGATIVELAND - USO CORRETTO

   

tratto da NO COPYRIGHT, p. 260-267

   
   

Il caso dei Negativland è un episodio abbastanza conosciuto per gli amanti di musica sperimentale e di avanguardia. Si tratta di un gruppo musicale dalle chiare ascendenze situazioniste, che nel 1991 si è macchiato di lesa maestà nei confronti di un gruppo basilare dell'attuale starsystem: gli U2.
I Negativland hanno difatti decostruito I Still Haven't Found What I'm Looking for accostando brani della versione originale del pezzo degli U2 a materiali di varia origine, tra i quali un nastro registrato del presentatore televisivo americano Casey Kasem, in cui venivano espressi dei giudizi pesanti nei confronti del gruppo irlandese. La dicitura sul disco recitava in grande U2 e un po' più in piccolo il nome dei Negativland. L'ufficio legale della Island immediatamente chiese i danni e il sequestro del disco in questione, producendo così una serie di contraddizioni tra l'etichetta che aveva prodotto il disco (la SST) e gli stessi Negativland.
Dopo l'avvenuto sequestro del corpo del reato si sono prodotte forme di solidarietà in tutto il mondo nei confronti del gruppo americano: gruppi si sono organizzati per duplicare il disco incriminato e i proventi dell'operazione vengono versati su un conto corrente utilizzato per pagare le spese legali relative alla causa.

Come ha dimostrato Duchamp molti decenni orsono, l'atto della selezione può essere una forma di ispirazione originale e significativa come ogni altra. In tutti i media possiamo trovare artisti che lavorano selezionando materiali pre-esistenti, assemblandoli, riutilizzandoli come creazione e forma di critica. In generale, continua a essere una direzione che piace sia all'arte seria che all'arte popolare. Ma si tratta di furto? Gli artisti hanno o non hanno il diritto di campionare liberamente (a scopo di lucro o meno) da un ambiente elettronico già creato che li circonda, per usarlo nel proprio lavoro?
La psicologia dell'arte ha sempre favorito un furto frammentario, che non causasse danni al proprietario. Infatti, la maggior parte degli artisti parla liberamente e pubblicamente di tutto il materiale di cui si sono appriopriati in questa o in quella occasione. In questo regno di idee, tecnoteche, stili ecc., quasi tutti gli artisti sanno che rubare (anzi, essere influenzati, termine che suona più legittimo) non solo è OK, ma è un punto cruciale di ogni evoluzione creativa. È un percorso documentato che gli artisti hanno attuato da quando esiste l'arte e che non sarà mai smentito -- è semplicemente naturale nell'esperienza creativa.
Qualcuno potrà dire che c'è una bella differenza tra il rubare idee, tecniche e stili che non sono facilmente protetti e il rubare materiali attuali, che al contrario sono tutelati dalla legge. Tuttavia, al di là del fattore deterrente del copyright presente in tutte le leggi riguardanti l'industria artistica, non possiamo trovare nulla di intrinsecamente sbagliato nel fatto che un artista decida di incorporare campioni di arte già esistente nel suo lavoro. Il fatto di avere leggi (motivate economicamente) che si oppongono a tutto questo non rende certamente la cosa meno stimolante e importante. Infatti, questo tipo di furto ha una tradizione di tutto rispetto nelle attività artistiche, fin dalla Rivoluzione Industriale.
Nei primi anni del secolo, i cubisti mettevano insieme materiali di recupero simili a pacchetti e fotografie dei loro quadri. Ora questo sembra un desiderio ovvio e perfettamente naturale di racchiudere e trasformare le cose esistenti nel proprio lavoro, in una sorta di dialogo con l'ambiente materiale -- un ambiente materiale che cominciava a espandersi in modi strani e inediti. L'appropriazione nelle discipline artistiche ha attraversato l'intero secolo, passando attraverso i confini mediatici ed espandendosi costantemente in rilevanza emozionale dall'inizio alla fine senza curarsi di ascese e cadute delle frontiere dello stile. Si è sviluppata nel collage, negli oggetti recuperati del Dada e nel concetto di detournement, ha raggiunto le sue vette più alte nell'arte visiva dopo la metà del secolo con l'appropriazione da parte della Pop Art delle icone della cultura di massa e dell'immaginario massmediale. Ora, alla fine del secolo, è nella musica che ritroviamo la rabbia dell'appropriazione come metodo creativo e come controversia legale.
Pensiamo sia tempo che l'ovvia validità estetica dell'appropriazione venga sbandierata in opposizione alla supposta preminenza delle leggi di copyright, che reprimono il libero riutilizzo di materiale culturale. C'è bisogno di ricordare che la proprietà privata della cultura di massa è una contraddizione in termini?
Gli artisti hanno sempre percepito l'ambiente che li circonda come un'ispirazione per lavorare e come materiale crudo da modellare e rimodellare. In particolare questo secolo ci si è presentato con un nuovo tipo di influenza sull'ambiente umano. Siamo immersi in un ambiente mediale in continua crescita. Oggi siamo circondati da idee, immagini, musiche, testi inscatolati. Il 70/80% della popolazione mondiale riceve la quasi totalità delle proprie informazioni dalla TV. Riceve opinioni. L'incremento del nostro input sensoriale quotidiano non è basato sulla realtà fisica che ci circonda, ma sulla saturazione dei media. In quanto artisti, non possiamo non trovare questo nuovo ambiente elettrificato una fonte irresistibile di critica e di manipolazione.
L'appropriazione dall'assalto dei media rappresenta per noi una sorta di liberazione dal nostro status di spettatori acritici e sperduti (che tanto piace ai pubblicitari). È una forma assolutamente necessaria di autodifesa contro lo sbarramento corporativo unidirezionale dei media. Appriopriarsi vuol dire guardare ai media come a un soggetto da catturare, riarrangiare, eventualmente mutilare e riportare allo sbarramento da parte di chi ne è assoggettato. Gli appriopriatori reclamano il diritto a una creazione speculare.
La nostra cultura corporativa, d'altra parte, è determinata a raggiungere la fine del secolo, mantenendo però il suo punto di vista, dipendente da condizioni economiche, che in tutto questo c'è qualcosa di sbagliato. Tuttavia, sia a un livello percettivo che a un livello filosofico, negare che qualcosa, quando viaggia sulle onde, diventa di pubblico dominio rimane una scomoda stortura del senso comune -- il fatto che i proprietari della cultura e della sua distribuzione materiale possano tranquillamente negarlo, non è che un omaggio alla loro abilità di ristrutturare il senso comune per ottenere il massimo profitto.
La nostra evoluzione culturale non concede spiegazioni, come faceva invece la cultura pre-copyright. La vera musica folk, ad esempio, non è più possibile. Il procedimento folk originale di incorporare melodie e liriche già esistenti dentro canzoni in costante evoluzione non è possibile se melodie e liriche sono proprietà privata. Viviamo in una società talmente soffocata e inibita dalle proprietà culturali e dalle leggi di copyright che la stessa idea di cultura di massa si basa essenzialmente sul profitto e sui compensi della proprietà. Per essere chiari, quando queste leggi si occupano di chi realizza bootleg sembrano chiudere un occhio, mentre criminalizzano in partenza l'idea di creazione.
L'attuale intensa rete internazionale di restrizioni di copyright ha preso forma durante i congressi mondiali e non è stata decisa da nessuno che si occupasse attivamente di arte, bensì da una parassitaria classe media della cultura -- le corporation e i potentati manageriali, che vedevano una buona opportunità per arricchire le loro proprietà e i loro redditi semplicemente sfruttando un'attività umana, che procedeva in modo del tutto naturale attorno a loro, ovvero il riutilizzo della cultura. Questi rappresentanti della cultura -- gli avvocati dietro gli amministratori, gli agenti, gli artisti -- si sono dati da fare per estrarre ogni minima possibilità marginale di potenziale monetario nelle loro proprietà artistiche. Tutto ciò viene svolto a norma di legge con la copertura di sostenere gli interessi degli artisti nel mercato, e il Congresso, irrimediabilmente chiuso a ogni punto di vista alternativo, li ospita sempre.
Ci sono due tipi di appropriazione oggigiorno: legale o illegale. Qualcuno potrà chiedersi perché allora tutti non seguano le regole operando in modo legale. Negativland rimane nel lato oscuro delle leggi vigenti, perché questo ci mantiene fuori dal business. Ecco un esempio personale di come le attuali leggi di copyright servano a prevenire totalmente il procedimento creativo appriopriativo che è parte integrante delle attuali tecnologie riproduttive.
Per un'appropriazione o un campionamento anche di soli pochi secondi di qualsiasi cosa, dovrebbero essere fatte due cose: chiedere il permesso e pagare la tassa di vendita. L'aspetto della concessione diventa un blocco inevitabile per chiunque intenda usare il materiale in un contesto non adulatorio dell'autore e del suo lavoro. Quanta satira troveremmo se gli autori dovessero chiedere il permesso all'oggetto della loro satira? La faccenda della tassa è un ostacolo enorme per noi. Negativland è un piccolo gruppo di persone che intendono mantenere una posizione critica e restare fuori dal mainstream. Creiamo e produciamo personalmente il nostro lavoro, la nostra label, ci occupiamo personalmente delle nostre entrate e uscite di denaro. Il nostro lavoro è un tipico assemblaggio di elementi ritrovati, di frammenti e citazioni registrate da tutti i media disponibili. Una cosa che va molto oltre uno o due, o anche dieci o venti elementi. Possiamo usare anche cento elementi differenti su un solo disco. Ciascuno dei nostri frammenti audio ha un diverso proprietario e ciascuno dei proprietari può essere identificato -- normalmente questo non è possibile, perché la natura frammentaria della ripresa casuale dalla radio e dalla TV non comprende nome o recapito dei legittimi proprietari. Se ciascuno dei proprietari è riconoscibile, supponendo che sia d'accordo con il nostro lavoro, ha diritto a ricevere una somma che va dai cento ai mille dollari. Le tasse di vendita, naturalmente, esistono in virtù di attività lucrative interaziendali. Anche se fossimo in grado di pagarle in qualche modo, rimarrebbe comunque la frustrazione di avere a che fare con una burocrazia letargica e immotivata. Sia il nostro budget che la nostra liberatoria sarebbero interamente fuori dalle nostre mani e per ottenere la liberatoria potremmo essere costretti ad aspettare anche per anni. Come piccolo gruppo indipendente, letteralmente non potremmo lavorare in tali condizioni. Ogni tentativo di entrare nella legalità blocca la nostra attività.
OK, siamo solo delle piccole teste dure che si ostinano a lavorare con metodi non contemplati dalla legge; e se questo è così problematico, perché non tentiamo di lavorare in un altro modo? Perché questo modo di lavorare ci interessa sinceramente, esattamente come non ci interessa emulare i vari status accomodanti. Quante prerogative artistiche ci sono date nel mantenere la nostra cultura della proprietà? L'arte può imboccare strade talvolta pericolose (il rischio della democrazia) ma certamente non possono essere dettate dalle concessioni del business. Se andiamo a guardare in qualsiasi dizionario, l'arte non viene mai definita come un businness!
Quando i procuratori del business vogliono porre limiti alla sperimentazione artistica è segno di uno stato di cose in buona salute o piuttosto di un incoraggiamento alla stagnazione culturale?
Negativland propone alcune possibili revisioni alle vigenti leggi di copyright che potrebbero liberarci di tutte le repressioni su ogni pratica di appropriazione frammentaria. In generale, gli intenti su vasta scala delle leggi di copyright. Ma, per esempio, la tutela e il pagamento agli artisti e ai loro amministratori potrebbe essere ristretta all'uso di interi lavori da parte di altri, o di utilizzi a scopo pubblicitario e commerciale. Mentre gli autori dovrebbero essere liberi di mettere frammenti dai lavori altrui nel proprio. Un frammento può essere definito come meno di un intero, per dare il beneficio del dubbio all'infallibilità. Tuttavia, una semplice compilazione di lavori pressoché interi, se contestata dai proprietari, rischierebbe di non superare un esame cruciale: se il materiale usato è sostituito dalla nuova natura del riutilizzo, è qualche cosa di più che non una semplice somma delle parti? Confrontando gli esempi attuali, non è una cosa difficile da valutare.
Oggi, questo tipo di incoraggiamento per la nostra esigenza vitale di remixare la cultura compare solo in modo molto vago nelle leggi di copyright sotto la voce uso corretto (fair use). Gli statuti dell'uso corretto concedono la libera appropriazione in casi di parodia o di telecronaca. Correntemente, queste condizioni sono interpretate in modo conservatore da tanti violatori. Ci sarebbe un grandissimo miglioramento se la sezione uso corretto della legge fosse atta a liberalizzare qualsiasi utilizzo parziale per qualsivoglia ragione (l'intero è più della somma delle parti). Se fosse così, il resto delle leggi di copyright potrebbe rimanere invariato ed applicabile in tutti i casi di furto integrale a fini commerciali (bootleg di interi lavori, ad esempio).
L'importanza della Fair Use Doctrine è che si tratta dell'unico accenno a una possibilità per la libertà artistica e di linguaggio nell'intera legislazione, ed è persino in grado di passare sopra le altre restrizioni. Processi per appropriazione incentrati sull'uso corretto e l'assoluta necessità di un suo aggiornamento potrebbero cominciare a smuovere un po' questo pantano culturale. Fino a che non ci saranno aggiustamenti, le società moderne continueranno a trovare i detentori corporativi delle proprietà culturali impegnati nell'ostinata battaglia fra il senso comune e le inclinazioni naturali del loro popolo di utenti.