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Uno dei luoghi comuni più resistentemente diffusi
nel mondo dell'informatica è quello relativo al fatto
che grazie alla propria genialità individuale sia
possibile farsi comunque strada e guadagnare il proprio
posto al sole. Alla creazione di questo mito hanno
indubbiamente contribuito le tante storie che sono state
raccontate in questi ultimi vent'anni. Bill Gates, la
clamorosa avventura della Apple, Wargames, la targa
THXBILL in quel di Redmond... ma nel frattempo si
dimentica di ricordare che la situazione è totalmente
cambiata. Si è creato un mass-market, che prima non
esisteva, relativo sia all'hardware che al software e si
è assistito a una precisa spartizione delle quote di
mercato tra poche grandi corporation. L'articolo
che segue contribuisce a porre un sassolino anche nella
testa dei più ottimisti cantori delle possibilità
offerte dal mondo informatico: ecco s'avanza il processo
di globalizzazione mondiale dell'offerta di lavoro... Sono
stati paragonati ai braceros, i braccianti
messicani a cui nei periodi di scarsità di manodopera (o
di eccessiva sindacalizzazione di quella locale) sono
state aperte le porte della California per lavorare nei
campi di Bakersfield o Sacramento. Oggi non si tratta
più di far crescere viti o verdure, ma di scrivere
programmi per computer. E i nuovi braccianti
informatici vengono da India, Russia, Cina, Ungheria,
Malesia. Secondo stime del Carnegie Endowment for
International Peace sono circa 150.000. Arrivano con
visti di lavoro temporaneo, si fermano per periodi
variabili da pochi mesi ai due anni, poi tornano in
patria o tentano la fortuna aprendo un loro business
negli Stati Uniti. I programmatori stranieri sono sparsi
su tutto il territorio nazionale, con concentrazioni più
alte là dove sono localizzate le grandi industrie di
hardware e di software e i grandi utilizzatori finali di
programmi: California, Seattle, Illinois, Washington.
I softwaristi d'importazione sono reclutati con metodi
perlomeno discutibili. Prendiamo il caso dell'India.
Nella città di Bangalore, centro dell'industria
elettronica indiana, esistono decine di cosiddetti body
shops (letteralmente negozi di corpi). Sono
agenzie di reclutamento, a volte nate per iniziativa di
imprenditori locali, ma spesso di proprietà di società
Usa (e anche europee). Gli ingegneri elettronici vengono
assunti dall'agenzia locale che li piazza al
committente estero dietro congruo compenso. Sono pagati
in rupie e inviati in America. Prima di partire molti
sono costretti a firmare un impegno a non lasciare il
lavoro, pena il pagamento di una penale altissima (dai 30
ai 50 mila dollari). Una clausola è stata recentemente
(e vittoriosamente) impugnata da una programmatrice
indiana davanti al tribunale della California, dove stava
lavorando, in quanto per la legge californiana
configurerebbe una forma di schiavismo.
All'arrivo negli Stati Uniti i programmisti più
fortunati vengono alloggiati presso le foresterie più
grosse, società come Microsoft, Sun Microsystem, Hewlett
Packard. Ma spesso si trovano in situazioni meno
piacevoli: ritiro del passaporto da parte del datore del
lavoro, alloggiamento in baracche o in fattorie fuori
mano, controlli polizieschi per evitare tentativi di
fuga. Sulla stampa americana è stato riportato il caso
di due ingegneri russi, alloggiati in una baracca di
campagna vicino a Washington, pagati 80 dollari al mese
per lavorare sette giorni alla settimana, che sono
fuggiti clandestinamente dalle finestre, dopo che il
padrone della società per cui lavoravano aveva tagliato
il telefono e asportato la batteria della macchina per
impedire contatti con l'esterno.
Quali fattori alimentano questa moderna migrazione? Il
costo innanzi tutto. Un programmatore indiano produce
un'unità di software per 125 dollari, un ungherese costa
175 dollari per unità per unità, un malese 185. Per
contro un softwarista giapponese costa 1600 dollari, un
italiano 1150 e un americano 1000. Spesso l'arrivo di
contingenti di ingegneri elettronici a basso costo fa
parte di accordi di collaborazione tra compagnie
nordamericane e società di paesi meno sviluppati,
configurandosi come pagamento in natura per
prodotti e servizi forniti.
E' il caso della canadese Newbridge Networks che ha
concluso un accordo di joint venture con la
compagnia telefonica russa Moscow Telecom. Poiché il
governo russo non le permetteva di riesportare i
profitti, la Newbridge ha ricevuto in pagamento un gruppo
di ingegneri russi che si alternano a lavorare, a salari
russi, in Canada.
Ma accanto ai motivi strettamente economici ce ne sono
altri che hanno a che fare con specifiche abilità dei
programmatori stranieri. La scelta di utilizzare
ingegneri indiani o russi -- ci spiega Fred Shulman,
presidente della Comsys di Rockville, Maryland, una
società specializzata nella selezione di personale per
lavori a tempo determinato in grandi aziende hi-tech -- dipende
da una combinazione di fattori. I costi sono uno di
questi. Ma per certi tipi di lavori esistono competenze
all'estero che è difficile trovare in America, sia per
scarsità di personale, sia perché la maggior parte dei
programmatori americani si porta dietro il peso della
relativa vecchiaia della nostra industria
elettronica. Sono ingegneri formatisi sugli obsoleti mainframe
[1] che non hanno avuto il tempo, né l'opportunità di
riciclarsi sui linguaggi usati per la programmazione dei
personal. I programmatori del terzo mondo hanno saltato
la fase dei mainframe. I russi hanno poi un altro
vantaggio. Costretti a lavorare nell'austerità
informatica del loro paese (a fine 1992 c'erano solo un
milione di PC in Russia, con una configurazione tipica di
1 megabyte di RAM e 40 Mbyte nell'hard-disk), i
programmatori hanno sviluppato un talento per la
scrittura creativa di programmi in codici
compatti. Sono qualità che hanno indotto la Sun
Mycrosystems di Silicon Valley a impiegare 50 ingegneri
russi nella progettazione di nuovi chip Sparc. [2]
L'immigrazione dei programmatori a basso costo ha
suscitato reazioni tra i softwaristi americani, colpiti
da migliaia di licenziamenti (a Los Angeles, terzo polo
mondiale, dopo Tokio e Londra, per concentrazione di
programmatori, oltre 110.000 sono senza lavoro per la
crisi dell'industria aereospaziale). A San Francisco sono
nati gruppi che hanno iniziato campagne per forzare le
autorità a limitare concessione di visti di lavoro
temporaneo. A Seattle ci sono state reazioni furibonde
quando Microsoft ha assunto un programmatore malese
preferendolo a 50 candidati americani. E i gruppi
nativisti come quello dei californiani per la
stabilizzazione della popolazione hanno denunciato
grandi aziende del settore per aver assunto programmatori
a condizioni schiavistiche. Su altri versanti
(come Fred Shulman e Edward Yourdon) hanno messo in
guardia sulle conseguenze negative, in termini di
produttività complessiva e di perdita di egemonia Usa,
dell'uso di manodopera a basso costo, sostenendo invece
la necessità di investimenti per formare il personale
locale. Questo allarme ha provocato un effettivo
irrigidimento delle autorità Usa. È più difficile
avere un visto temporaneo e chi l'ottiene deve ora pagare
tasse e contributi sociali per tutta la durata del lavoro
negli Usa.
E' possibile che il flusso dei braccianti informatici
diminuisca o si arresti nel prossimo futuro. Ma non
sembra possa fermarsi la spinta verso la ricerca di
manodopera a basso costo su scala planetaria, in un
settore divenuto sempre più labor intensive.
Basti pensare al caso dei sistemi operativi creati da
Microsoft (i più diffusi nel mondo): il primo sistema
Ms-Dos era composto da poche centinaia di linee di
codice. L'ultimo arrivato, il Windows Nt, ne contiene
oltre un milione. Paradossalmente, dunque, prodotti che
riducono la necessità di intervento umano richiedono per
il loro sviluppo quantità sempre più massicce di
lavoro. E' sulla base di questa prospettiva che Taiwan,
Cina e India hanno promosso la creazione di parchi
informatici dove centinaia di ingegneri elettronici
lavorano per compagnie americane (in regime di esenzione
fiscale), collegati via satellite con gli Usa. Cina e
India hanno lanciato inoltre grandi programmi di
formazione dei softwaristi: nei due paesi i programmatori
sono quadruplicati negli ultimi tre anni e nel 1995
saranno il 50% in più degli americani.
NOTE
- Termine
utilizzato per indicare elaboratori di grande
potenza e dimensioni. Dispongono di grandi
capacità di memoria e vengono utilizzati
soprattutto come gestori di grandi volumi di
dati.
- Acronimo di
Scalable Performance Architecture.
Microprocessore a 32 bit sviluppato dalla Sun
Microsystems ed utilizzato sulle proprie
workstation.
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