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Nel mondo informatico e non solo è
diffuso in maniera quasi inossidabile un mito che, per
certi versi, trae origine dalla stessa storia
dell'informatica americana. E' il mito relativo alla
genialità individuale, un mito che ottimisticamente
individua per coloro che hanno i "numeri" anche
concrete possibilità di successo. Sorta di figlio minore
della filosofia americana della Gold rush, questa
ideologia ha anche in Italia una presa di massa,
soprattutto negli ambienti informatici, che tende a
tramutarsi in imperituro luogo comune. Nella mente di
tutti coloro che vi credono alberga vivido il mito dei
fondatori della Apple o di Bill Gates e di Paul Allen, i
due fondatori della Microsoft, già hacker, che hanno
saputo edificare un impero partendo dal nulla. Proprio
per questo, per capire effettivamente quanto di vero
esista dietro il mito, è necessario ripartire da qui e
porre sotto attento esame non solo il repentino successo
della società di Redmond, ma anche e soprattutto il
nascere dell'industria informatica così come noi oggi la
conosciamo.
Già nel 1972 Allen, Gates e un terzo personaggio, Paul
Gilbert, fondarono una società (la Traf-O-Data), che
avrebbe dovuto fornire statistiche generiche sul flusso
di traffico autostradale. Per una serie di varie ragioni
l'iniziativa dei tre fallì, ma subito dopo furono
chiamati da una ditta canadese (TRW) la quale, in cambio
di un compenso di 30.000 dollari, offrì loro del lavoro
in un gruppo di sviluppo di software. Nel 1975 uscì
intanto il primo minicomputer in kit, il pioniere Altair,
di produzione MITS, un computer che inizialmente non era
dotato di alcun software significativo: in realtà i
primi acquirenti dell'Altair erano esclusivamente degli
hobbisti, in grado quindi di apportare da sé le
migliorie hardware e software necessarie al funzionamento
della macchina. Apparso l'annuncio celebrativo del
prodotto sull'importante rivista di elettronica
"Popular Electronics", Gates e Allen
telefonarono immediatamente a Ed Roberts, il capo della
MITS, per proporgli il loro BASIC, scritto assieme a
Marty Davidoff. Era quella la loro prima vendita di
software: la prima vendita della Micro-Soft (allora si
scriveva così), da poco tempo nuovo nome della
Traf-O-Data. E sempre nel 1975, dapprima Paul Allen e poi
anche Bill Gates si trasferirono ad Albuquerque, sede
della MITS, per scrivere un programma che permettesse
all'Altair di comunicare con un'unità a disco.
Successivamente Roberts utilizzò il software di Gates e
Allen come un'arma: vincolò il prezzo del BASIC
all'acquisto della scheda di memoria e di altro hardware
della MITS. Quando gli hobbisti videro che le schede da 4
K non valevano nulla e che il BASIC aveva un prezzo
eccessivo, si misero a fare delle copie del BASIC su
nastro e le distribuirono gratuitamente. Fu a questo
punto (1976) che Bill Gates, che nel frattempo aveva
frequentato come tutti del resto l'Home Brew Computer,
scrisse una lettera aperta agli hobbisti, in cui
polemizzava contro la pirateria del software.
Ma questa lamentela era veramente legittima? Per
rispondere al quesito è sufficiente richiamamare quanto
detto ultimamente da Marwin Minsky a proposito
dell'atmosfera degli anni Settanta. A fronte dell'attuale
processo di sempre maggiore privatizzazione delle
scoperte di base dell'industria informatica, un fenomeno
che conduce l'industria americana a perdere in
competitività nei confronti di quella giapponese, il
grande fondatore della ricerca mondiale relativa
all'intelligenza artificiale ha richiamato con nostalgia
l'atmosfera di quei mitici anni Settanta. In quel
periodo, difatti, l'insieme della ricerca accademica
aveva come obiettivo quello di elaborare una serie di
elementi o programmi che, grazie alla esplicitata pratica
del "public domain", avrebbe dovuto diventare
in pochi anni la base utile alla creazione di standard
condivisi, sia da una larga utenza sia dalle maggiori
ditte informatiche. Non casualmente sono gli anni
dell'elaborazione del sistema iconico, del mouse,
inventati da istituti di ricerca privati (quali il Parc
della Xerox), ma successivamente implementati da una
miriade di case informatiche, perché resi di pubblico
dominio.
Sono anni di allegra sperimentazione, in cui non si
differenzia ciò che è mio da ciò che è tuo, avendo
tutti per scopo l'avanzamento generale dello stato
dell'arte. Sono anni, d'altro canto, in cui un ruolo
centrale fu assunto proprio dall'utenza hobbistica,
l'unico tipo di pubblico in grado in quel periodo di dare
una certa rilevanza economica all'intero affare del
personal computer e di dare corpo alla nascita
dell'industria del software. In questo senso una
dimensione essenziale fu indubbiamente giocata da un
eretico per eccellenza, quale fu Felseinstein,
californiano di lontana ascendenza wobblie, le cui tracce
sono rilevabili in ogni importante passaggio della storia
informatica perlomeno degli anni Sessanta-Settanta.
Progettista di hardware e di software, la sua funzione
più importante risiede probabilmente nel fatto di essere
stato tra i fondatori dell'ormai mitico gruppo
dell'Homebrew Computer Club. Un'associazione che
raccoglieva appassionati, hobbisti e ricercatori
universitari i quali, collettivamente, discutevano e
progettavano insieme. Le riunioni si svolgevano in una
maniera particolarmente informale, anche se alcune volte
in luoghi di tipo accademico e avevano come scopo
principale quello di far avanzare collettivamente le
speranze suscitate dall'uscita sul mercato del kit
Altair: un sogno questo segretamente coltivato dai molti
sperimentatori informatici, quello della nascita di un
calcolatore alla portata di qualsiasi persona. Si
confrontavano quindi per risolvere problemi tecnici
relativi al software e all'hardware, in cui ognuno poteva
trovar modo per contribuire alla soluzione dei problemi.
Le invenzioni di quel periodo non potevano mai essere
attribuite a un singolo inventore, ma erano sempre
espressione dell'intuizione del singolo, corretto,
emendato, consigliato, spesse volte in punti centrali,
dall'intera collettività della comunità informatica.
Oggi Minsky ricorda con nostalgia quel periodo, perché
proprio grazie a quel tipo particolare di atmosfera
divenne possibile creare le condizioni necessarie
affinché nascesse il cuore pulsante della Silicon
Valley, questo sì miracolo dell'economia americana.
Nel frattempo la Microsoft continuava a crescere, grazie
alle versioni di BASIC stilate per altre aziende finché
nel maggio del 1977 una serie di difficoltà economiche,
dovute anche alla spericolata attività commerciale e di
progettazione che avevano accompagnato il successo
iniziale dell'Altair, costrinsero Ed Roberts a vendere la
MITS a un'altra ditta, la Pertec. La vendita alla Pertec
portò a un'aspra controversia sui diritti di proprietà
del software. Gates ed Allen avevano scritto il Basic
originario prima ancora di incontrare quelli della MITS,
dove Gates aveva lavorato solo part time, ma "la
Pertec era convinta di comprare anche il software come
parte di tutto l'affare, mentre non era proprio così. I
proprietari eravamo noi (Microsoft). Era tutto in
concessione" (Gates). Il caso fu poi portato in
tribunale e alla fine la Microsoft vinse. Successivamente
Microsoft fece affari con l'IMSAI e nel 1978 la ditta
cominciò anche a scrivere videogame, ad esempio una
versione di Adventure, uno dei giochi dell'epoca.
Nell'intenzione di coloro che li scrivevano, dovevano
servire ad avvicinare la gente ai computer.
La Microsoft nei due anni che precedono il clamoroso
accordo con IBM introduce altri linguaggi di
programmazione come il FORTRAN e il COBOL per personal
computer. La Microsoft era ormai arrivata a un giro di
affari di otto milioni di dollari l'anno e 32 dipendenti.
Nel luglio del 1980, Bill Gates ricevette una telefonata
da un esponente dell'IBM, che lo invitava a un incontro
immediato. Un mese dopo l'IBM si rifece viva per un altro
consulto, nel corso del quale Bill Gates firmò un
contratto di consulenza con l'IBM per scrivere una
relazione sulle possibili forme di collaborazione
istituibili tra Microsoft e IBM. Nel novembre di
quell'anno ottenne il contratto con l'IBM, con
l'obiettivo di completare il software richiesto entro il
marzo 1981.
Le condizioni di lavoro per sviluppare il software furono
improntate al più classico degli stili IBM: ipersegreto
e scandito da rigorose tabelle di marcia stilate dagli
uomini IBM. Fu fatto il sistema operativo: l'MS-DOS (il
precedente SCP-DOS era di proprietà di un'altra ditta),
un sistema operativo destinato a diventare il nuovo
standard, come lo erano per i mainframe sistemi quali
l'Mvs dell'IBM, il Vms della Digital, il Gcos della Bull.
E' noto che proprio in quel periodo e precisamente
nell'agosto del 1980 che Microsoft comprò dalla Seattle
Computer Products per un tozzo di pane (50.000 dollari)
un sistema operativo, il Q-Dos, che avrebbe fornito la
base per l'MS-DOS: questo a dimostrazione che la
genialità nel caso di Gates fu più nell'avere un
notevole senso degli affari. L'IBM produsse il suo primo
personal nel 1981 e al contrario di quanto aveva fatto da
sempre nella sua storia aziendale pensò a un prodotto
che avesse alcune caratteristiche di sistema aperto,
qualità queste che rappresenteranno fin da subito una
delle ragioni chiavi del suo successo. Non casualmente
diffuse subito, seppur venduti separatamente dal
personal, programmi allora estremamente diffusi e non
sviluppati da IBM quali il VisiCalc (uno spreadsheet) e
l'EasyWriter (un word processor creato dal mitico
phone-phreaker John Draper, alias Capt. Crunch), al fine
di spingere ancor meglio il prodotto sul mercato.
Con l'avvento della IBM sul mercato del personal si
delinea il mercato di massa per come noi oggi lo
conosciamo. Si diffondono sempre più i negozi
specializzati nella consulenza e nella vendita al minuto
di hardware e progressivamente viene a mutare anche il
panorama generale degli appassionati del settore. Per
usare una felice espressione di Bruce Sterling a
proposito dello sfruttamento delle tecnologie nella
storia del capitalismo, si passa finalmente all'età
dello sfruttamento della vacca da latte.
Alcuni storici dell'industria hanno a questo proposito
avanzato l'ipotesi che negli anni Settanta il software
non fosse regolamentato come un prodotto industriale
autonomo, per le necessità intrinseche dell'intera
industria informatica americana. Era quella una prima
fase pionieristica, in cui si andarono a definire le
posizioni dominanti, a partire dalle quali si opererà
successivamente il processo di "recinzione" del
nuovo mercato. Il processo di normazione e
regolarizzazione dei mercati avviene sempre nella storia
del capitalismo in presenza di interessi egemoni e
potenzialmente monopolistici. E al contrario la
cosiddetta genialità individuale trova spazio solo nelle
fasi di apertura di un mercato totalmente nuovo,
ciecamente sottovalutato dalle grandi corporation.
Successivamente o crea alleanze, in cui stipula degli
accordi non umilianti con le grandi multinazionali di
settore a cui vendere il proprio know how, oppure viene
progressivamente riassorbita. Ultimo tra i casi più
eclatanti è ad esempio quello capitato a Jaron Lanier,
estromesso dalla VPL, la casa inventrice del data glove
per realtà virtuali da lui fondata, dalla multinazionale
europea Thomson. Lo spazio esistente per la genialità
individuale è quindi direttamente proporzionale al grado
di ritardo che i grandi trust di settore hanno nel
comprendere la fertilità di una nuova prospettiva.
All'alba dell'introduzione globale delle autostrade
elettroniche, in cui video on demand, musica e
comunicazione di tipo commerciale e no, saranno
facilmente attingibili per via telefonica, la situazione
della programmazione mondiale appare totalmente mutata,
sia in rapporto agli anni Settanta sia alle dinamiche
degli anni Ottanta. Oggi i fenomeni di globalizzazione
relativi all'utilizzo della forza lavoro si sono
clamorosamente estesi ai mercati del Terzo Mondo. Mercati
sui quali le grandi multinazionali di settore acquistano
il lavoro di programmazione a prezzi dieci-quindici volte
inferiori a quanto fino a ieri pagavano sul mercato
americano. Probabilmente nei prossimi anni l'intero
settore della programmazione, americana ed europea,
conoscerà un inarrestabile fenomeno di pauperizzazione,
contro cui già oggi alcune organizzazioni di
programmatori americani tentano di organizzarsi. Proprio
avendo presente l'ordine di considerazioni appena
descritto assume un particolare rilievo la vicenda,
politico esistenziale, di Richard Stallman, il quale da
parecchi anni è impegnato nel costruire un'ipotesi di
tipo egualitario relativamente al mondo della
programmazione. Ha fondato difatti sia la League for
Programming Freedom che la Free Software Foundation,
organizzazioni che hanno per obiettivo da una parte la
discussione della stato attuale della programmazione e
l'annullamento della logica brevettuale e del diritto
d'autore così come fino ad adesso sono stati applicati,
e dall'altra il progetto di realizzazione di un set di
programmi (Gnu) che vengono diffusi con tutti i loro
sorgenti, in maniera tale da permettere agli utenti la
possibilità di un intervento attivo e libero sul
prodotto finale in mano loro.
Peraltro la stessa categoria della genialità individuale
ha una sua storia e anche una sua ideologia. Si tratta di
un concetto di derivazione romantica, espressione della
visione titanica della storia, con cui si assegna a certi
individui un ruolo fondamentale nello svolgersi degli
eventi, fino addirittura a trasformarli in Zeitgeist,
come Hegel fa nei confronti di Napoleone. La categoria
della genialità individuale peraltro s'intreccia in
misura molto stretta con un'altra categoria, di utilizzo
più giuridico, che è quella di originalità. E la
definizione di quest'ultimo concetto è da ritenersi
basilare per tutto l'iter concettuale che sta alla base
dell'applicazione del diritto d'autore. Un'opera viene
riconosciuta come avente una paternità distinta, solo
quando se ne evidenzi l'intrinseca originalità. Ma
allora per originalità cosa si deve intendere? Con
questo termine s'intende, e non solo nel dibattito
giuridico americano, quel qualcosa di leggermente
differente che caratterizza l'opera da altre analoghe e
dallo stato dell'arte, ma in alcuni casi il termine viene
impiegato per denotare anche la semplice esistenza di
opere tra loro distinte. Questo perché alla base del
concetto di originalità si presuppone come fondativa una
valutazione positiva dell'insieme delle opere, da cui il
cosiddetto creatore non può far altro che copiare e non
tanto un atto di creazione che ex novo produce qualcosa
di totalmente creativo.
Un'ulteriore considerazione, attinta dalla storia del
capitalismo americano, mostra infine quanto non
corrisponda la categoria della genialità individuale
alle dinamiche più significative dello sviluppo
scientifico ed economico.
Un testo scritto da David Noble: Progettare l'America,
incentrato in particolare sulla nascita del grande
capitale monopolistico americano, permette di acquisire i
dati fondamentali sulla questione e di comprendere il
parallelo processo che vede da una parte la completata
sussunzione del sapere tecnologico e scientifico a favore
dei grandi potentati economici e dall'altra il
progressivo impoverimento di figure sociali centrali
della ricerca nella fase precedente del capitale
americano, quali gli inventori solitari. In particolare
in un capitolo specificatamente dedicato alla
funzionalità economica del brevetto industriale,
emergono alcuni elementi assolutamente centrali nella
nostra narrazione.
Innanzitutto alcune cifre: "nel 1885 il 12% dei
brevetti fu rilasciato a grandi imprese, nel 1950 per lo
meno tre quarti dei brevetti vengono concessi a grandi
imprese".
Centrale, in questo processo di monopolismo della ricerca
scientifica risulta essere la figura di Edwin J. Prindle,
ingegnere meccanico e avvocato esperto in brevetti, un
pioniere nel settore. Con molta lucidità Prindle indicò
i modi in cui la grande impresa avrebbe potuto aggirare
le leggi antitrust nel frattempo promulgate dal governo
americano, i metodi per ottenere i brevetti dagli
inventori o dai dipendenti-inventori e i mezzi
legislativi per piegare il sistema dei brevetti alle
esigenze dei gruppi monopolistici. Tra le altre cose
Prindle fu uno dei primi membri dell'American Patent Law
Association (1897) nonché il legale in materia di tutela
dei brevetti di ditte quali la Bell Telephone, la General
Electric, la Westinghouse e l'United Shoe Machinery
Company. Così in un suo articolo: "I brevetti sono
lo strumento migliore e più efficace per controllare la
concorrenza. In certi casi permettono un dominio assoluto
del mercato, e consentono a chi li detiene di definire il
prezzo senza riferimento alcuno al costo di produzione
(...) I brevetti costituiscono l'unica forma legale di
monopolio assoluto." Inoltre Prindle fu un pioniere
anche nell'indicare i metodi migliori per prolungare nel
tempo le situazioni monopolistiche e per estenderle
tramite brevetti supplementari. "Se non si può
ottenere il brevetto su un prodotto, bisognerebbe
ottenerlo sui suoi procedimenti di fabbricazione, e se
nessuna di queste vie è praticabile, occorre studiare se
quel prodotto può o non può venir messo in connessione
con un brevetto di qualche altro prodotto, lavorazione o
macchina".
Inoltre Prindle studiò e attuò contratti di assunzione
che automaticamente e obbligatoriamente conferivano i
diritti di registrazione del personale ai datori di
lavoro. Questo ordine di considerazioni nasce dall'aver
fatto tanta esperienza in particolare nel settore
dell'industria elettrica (in particolare la General
Electric e l'AT&T).
In particolare la General Electric, costituita nel 1892,
unificò non soltanto i beni ma anche i brevetti della
Edison e della Thomson-Houston. La GE seguì quindi
scientemente la politica di sottomettere alla propria
gestione tutti i brevetti detenuti dai concessionari
delle sue licenze, relativi a ogni ramo del settore
dell'illuminazione a incandescenza. Il monopolio legale
dei brevetti verrà estinto ufficialmente nel 1933, ma a
dimostrazione della funzione decisamente favorevole alla
politica monopolistica delle grandi aziende, nessun nuovo
serio concorrente emergerà in seguito in questo settore.
La guerra esplosa nel settore dei brevetti tra le grandi
ditte egemoni, determinò comunque in maniera certa la
sparizione del settore dei cosiddetti inventori
indipendenti: "se l'inventore vende completamente i
diritti del suo brevetto, in genere lo fa per una somma
definita e non per delle percentuali. Se invece sviluppa
la sua invenzione, il che accade raramente, deve cercare
il capitale presso altri (...). Se un estraneo cerca di
ottenere un brevetto (...) deve sapersi districare in
certi casi, tra centinaia di brevetti su idee simili,
evitandole. Le persone creative possono vedersi obbligate
a impiegare una quantità di tempo maggiore per ottenere
o per evitare un brevetto che per risolvere i
problemi".
Gli inventori a poco a poco passarono nei laboratori di
ricerca dei grandi gruppi, determinando altresì un
mutamento significativo del processo inventivo: "i
brevetti venivano maneggiati da esperti legali, pagati
dalle grandi imprese, e le invenzioni venivano
commercializzate a spese della società. In questo modo,
il lavoro dipendente eliminava i problemi delle cause
legali, e aveva inoltre a disposizione laboratori ben
attrezzati, biblioteche e un'assistenza tecnica per la
ricerca.(...) però l'inventore dipendente doveva
dirigere i propri sforzi in modo da uniformarsi alle
scelte commerciali della società, senza perdere tempo
dietro a qualche idea interessante.(...) La
collettivizzazione dell'invenzione realizzata nei
laboratori di ricerca presupponeva la specializzazione
delle varie mansioni". Un sistema, quello dei
brevetti, che viene non casualmente definito da uno di
questi inventori poveri come "un sistema di
pirateria legalizzato".
Questo processo lo si deduce dal fatto che i brevetti
rilasciati ai singoli aumentarono in misura sostanziale
tra il 1900 e il 1916, per poi scemare in seguito al
declino del ruolo dell'inventore solitario. Nel 1899
registriamo l'istituzione in seno al Patent Office di una
Classification Division, per classificare i brevetti e
rendere quindi più agevole l'accertamento delle nuove
richieste. Nel 1911 si ha il milionesimo brevetto
rilasciato, mentre già nel 1913 vengono raggiunti i due
milioni di brevetti. E' quindi nel passaggio tra 1900 e
1929 che furono gettate le basi per l'estromissione
totale della figura dell'inventore solitario dall'ambito
della ricerca e in sostanza le fondamenta per un
formalismo esagerato.
Accanto a quanto indicato in precedenza, il processo di
monopolismo sulla scienza attuato negli USA intorno agli
anni Venti-Trenta, introduce altre sostanziali modifiche
che prolungheranno il proprio effetto fino ai nostri
giorni. In particolare in questo periodo incominciano a
essere definite delle nuove figure sociali funzionali
alla ricerca. Importantissimo è stato il mutamento di
funzione dell'ingegnere, ormai avviato a
un'interpretazione sempre più moderna del proprio ruolo.
Viene intesa la propria attività come parte integrante
di un sistema industriale complessivo, composto di
entità distinte, ma coordinate
(industria-università-governo). Gli ingegneri delle
grandi imprese si diedero a organizzare i modi migliori
per mettere la scienza a disposizione dell'industria
tramite: a) la costituzione di laboratori efficienti
all'interno e come parte integrante dei grandi gruppi
industriali; b) il sostegno e la cooperazione con
organizzazioni di ricerca esterna; c) il coordinamento
nazionale di questa miriade di ricerche. Insomma la
scienza diviene un problema di management.
Si produce un nuovo campo: la direzione della ricerca,
intesa come controllo degli scienziati e sollecitazione
tra i ricercatori di un nuovo spirito di cooperazione e
di fedeltà verso l'azienda. E' di questo periodo
peraltro l'abolizione degli incentivi economici sui
brevetti scoperti, forma che aveva permesso la
transizione dal periodo degli inventori solitari a quello
della ricerca egemonizzata dalle grandi aziende. Questi
incentivi economici verranno a mano a mano sostituiti da
pubblicazioni scientifiche, intese all'origine proprio
come forme sostitutive al riconoscimento della paternità
del brevetto.
Tutto ciò trova delle sorprendenti analogie, se si
analizza lo sviluppo della ricerca in Italia e in
particolare se si osserva l'Istituto
Donegani-Montecatini, uno dei punti alti della ricerca
scientifica in Italia a partire dagli anni Venti. Seppure
in ambito chimico i tratti caratteristici dell'esperienza
americana si rintracciano appieno: anonimato della
scoperta (le scoperte venivano brevettate sotto
l'esclusivo nome di Fauser, una figura peraltro
esemplare: già inventore individuale, poi assoldato a
dirigere l'Istituto), management scientifico,
collettivizzazione della ricerca e brevetto come forma di
monopolio industriale.
Dal percorso finora seguito si possono comunque già
trarre alcune indicazioni metodologiche valide per una
lettura sull'oggi. Se da una parte vale la ricostruzione
finora seguita a proposito del capitale monopolistico
americano e il suo parallelismo con l'industria
informatica, dall'altra si conferma che la
normalizzazione/regolamentazione del software alla
normativa del copyright procede in parallelo con una fase
originaria di accumulazione di know-how non solo
economico ma anche tecnologico e scientifico.
In secondo luogo il fenomeno che si registra oggi negli
USA a proposito della progressiva espulsione dei
programmatori indipendenti dal mercato, come segnalato
dall'EFF e dalla League for Programming Freedom, non è
un fenomeno nuovo, ma addirittura, generalizzando, lo si
ha ogni qualvolta si assiste a un processo di transizione
a situazioni di carattere monopolistico. Un'espulsione
questa che ha la sua motivazione principale nel fatto che
ai programmatori indipendenti è stata resa impossibile,
in termini concreti, la ricerca relativa alla
programmazione. Questo grazie all'infinità delle regole
base della programmazione, condivise e scambiate
normalmente per tanti anni, che sono state nel frattempo
brevettate dalle grandi multinazionali del settore.
Oggi programmare è diventato molto più dispendioso,
proprio a causa dei notevoli costi aggiuntivi, necessari
alla consultazione di avvocati esperti in cause di
carattere industriali. Ma la lamentela giustamente
prosegue nel mostrare che anche nel caso in cui si
consultino appropriati legali, il loro responso non
tutelerebbe totalmente gli stessi programmatori da cause
di infrazione di brevetto. L'Ufficio Brevetti Americano
difatti non registra le invenzioni con un sistema
logicamente coerente, che faciliti un'eventuale
consultazione dell'utenza. Questa quindi rimane in balia
delle grandi ditte, nonostante il più delle volte la
loro programmazione non sia altro che reinvenzione di
brevetti già depositati. Le royalties richieste infine
da queste grandi multinazionali della programmazione sono
talmente esagerate, da superare in parecchi casi, se
sommate insieme, la quantità dell'intero.
L'esito del processo appare quindi chiaro: il
programmatore indipendente appare destinato a una fine
rapida, anche in considerazione del chiaro interesse
mostrato da queste corporation nello sfruttamento del
lavoro del Terzo Mondo.
Infine un terzo punto: ciò che impedisce a questi nuovi
soggetti sociali ed economici di coalizzarsi in maniera
significativa, facendo pesare la propria attuale forza
contrattuale, è proprio il credere che se qualcuno vale,
prima o poi troverà l'occasione per sfondare, anche se
la sua quotidianità lavorativa ed esistenziale è fatta
solamente di lavoro sussunto dall'azienda, come peraltro
la stessa legge europea sulla tutela del software
ingiustamente cristallizza.
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