PER UNA CRITICA DELLA GENIALITÀ INDIVIDUALE

   

di Raf "Valvola" Scelsi
tratto da
NO COPYRIGHT, p. 33-42

   
   

Nel mondo informatico e non solo è diffuso in maniera quasi inossidabile un mito che, per certi versi, trae origine dalla stessa storia dell'informatica americana. E' il mito relativo alla genialità individuale, un mito che ottimisticamente individua per coloro che hanno i "numeri" anche concrete possibilità di successo. Sorta di figlio minore della filosofia americana della Gold rush, questa ideologia ha anche in Italia una presa di massa, soprattutto negli ambienti informatici, che tende a tramutarsi in imperituro luogo comune. Nella mente di tutti coloro che vi credono alberga vivido il mito dei fondatori della Apple o di Bill Gates e di Paul Allen, i due fondatori della Microsoft, già hacker, che hanno saputo edificare un impero partendo dal nulla. Proprio per questo, per capire effettivamente quanto di vero esista dietro il mito, è necessario ripartire da qui e porre sotto attento esame non solo il repentino successo della società di Redmond, ma anche e soprattutto il nascere dell'industria informatica così come noi oggi la conosciamo.
Già nel 1972 Allen, Gates e un terzo personaggio, Paul Gilbert, fondarono una società (la Traf-O-Data), che avrebbe dovuto fornire statistiche generiche sul flusso di traffico autostradale. Per una serie di varie ragioni l'iniziativa dei tre fallì, ma subito dopo furono chiamati da una ditta canadese (TRW) la quale, in cambio di un compenso di 30.000 dollari, offrì loro del lavoro in un gruppo di sviluppo di software. Nel 1975 uscì intanto il primo minicomputer in kit, il pioniere Altair, di produzione MITS, un computer che inizialmente non era dotato di alcun software significativo: in realtà i primi acquirenti dell'Altair erano esclusivamente degli hobbisti, in grado quindi di apportare da sé le migliorie hardware e software necessarie al funzionamento della macchina. Apparso l'annuncio celebrativo del prodotto sull'importante rivista di elettronica "Popular Electronics", Gates e Allen telefonarono immediatamente a Ed Roberts, il capo della MITS, per proporgli il loro BASIC, scritto assieme a Marty Davidoff. Era quella la loro prima vendita di software: la prima vendita della Micro-Soft (allora si scriveva così), da poco tempo nuovo nome della Traf-O-Data. E sempre nel 1975, dapprima Paul Allen e poi anche Bill Gates si trasferirono ad Albuquerque, sede della MITS, per scrivere un programma che permettesse all'Altair di comunicare con un'unità a disco.
Successivamente Roberts utilizzò il software di Gates e Allen come un'arma: vincolò il prezzo del BASIC all'acquisto della scheda di memoria e di altro hardware della MITS. Quando gli hobbisti videro che le schede da 4 K non valevano nulla e che il BASIC aveva un prezzo eccessivo, si misero a fare delle copie del BASIC su nastro e le distribuirono gratuitamente. Fu a questo punto (1976) che Bill Gates, che nel frattempo aveva frequentato come tutti del resto l'Home Brew Computer, scrisse una lettera aperta agli hobbisti, in cui polemizzava contro la pirateria del software.
Ma questa lamentela era veramente legittima? Per rispondere al quesito è sufficiente richiamamare quanto detto ultimamente da Marwin Minsky a proposito dell'atmosfera degli anni Settanta. A fronte dell'attuale processo di sempre maggiore privatizzazione delle scoperte di base dell'industria informatica, un fenomeno che conduce l'industria americana a perdere in competitività nei confronti di quella giapponese, il grande fondatore della ricerca mondiale relativa all'intelligenza artificiale ha richiamato con nostalgia l'atmosfera di quei mitici anni Settanta. In quel periodo, difatti, l'insieme della ricerca accademica aveva come obiettivo quello di elaborare una serie di elementi o programmi che, grazie alla esplicitata pratica del "public domain", avrebbe dovuto diventare in pochi anni la base utile alla creazione di standard condivisi, sia da una larga utenza sia dalle maggiori ditte informatiche. Non casualmente sono gli anni dell'elaborazione del sistema iconico, del mouse, inventati da istituti di ricerca privati (quali il Parc della Xerox), ma successivamente implementati da una miriade di case informatiche, perché resi di pubblico dominio.
Sono anni di allegra sperimentazione, in cui non si differenzia ciò che è mio da ciò che è tuo, avendo tutti per scopo l'avanzamento generale dello stato dell'arte. Sono anni, d'altro canto, in cui un ruolo centrale fu assunto proprio dall'utenza hobbistica, l'unico tipo di pubblico in grado in quel periodo di dare una certa rilevanza economica all'intero affare del personal computer e di dare corpo alla nascita dell'industria del software. In questo senso una dimensione essenziale fu indubbiamente giocata da un eretico per eccellenza, quale fu Felseinstein, californiano di lontana ascendenza wobblie, le cui tracce sono rilevabili in ogni importante passaggio della storia informatica perlomeno degli anni Sessanta-Settanta. Progettista di hardware e di software, la sua funzione più importante risiede probabilmente nel fatto di essere stato tra i fondatori dell'ormai mitico gruppo dell'Homebrew Computer Club. Un'associazione che raccoglieva appassionati, hobbisti e ricercatori universitari i quali, collettivamente, discutevano e progettavano insieme. Le riunioni si svolgevano in una maniera particolarmente informale, anche se alcune volte in luoghi di tipo accademico e avevano come scopo principale quello di far avanzare collettivamente le speranze suscitate dall'uscita sul mercato del kit Altair: un sogno questo segretamente coltivato dai molti sperimentatori informatici, quello della nascita di un calcolatore alla portata di qualsiasi persona. Si confrontavano quindi per risolvere problemi tecnici relativi al software e all'hardware, in cui ognuno poteva trovar modo per contribuire alla soluzione dei problemi. Le invenzioni di quel periodo non potevano mai essere attribuite a un singolo inventore, ma erano sempre espressione dell'intuizione del singolo, corretto, emendato, consigliato, spesse volte in punti centrali, dall'intera collettività della comunità informatica.
Oggi Minsky ricorda con nostalgia quel periodo, perché proprio grazie a quel tipo particolare di atmosfera divenne possibile creare le condizioni necessarie affinché nascesse il cuore pulsante della Silicon Valley, questo sì miracolo dell'economia americana.
Nel frattempo la Microsoft continuava a crescere, grazie alle versioni di BASIC stilate per altre aziende finché nel maggio del 1977 una serie di difficoltà economiche, dovute anche alla spericolata attività commerciale e di progettazione che avevano accompagnato il successo iniziale dell'Altair, costrinsero Ed Roberts a vendere la MITS a un'altra ditta, la Pertec. La vendita alla Pertec portò a un'aspra controversia sui diritti di proprietà del software. Gates ed Allen avevano scritto il Basic originario prima ancora di incontrare quelli della MITS, dove Gates aveva lavorato solo part time, ma "la Pertec era convinta di comprare anche il software come parte di tutto l'affare, mentre non era proprio così. I proprietari eravamo noi (Microsoft). Era tutto in concessione" (Gates). Il caso fu poi portato in tribunale e alla fine la Microsoft vinse. Successivamente Microsoft fece affari con l'IMSAI e nel 1978 la ditta cominciò anche a scrivere videogame, ad esempio una versione di Adventure, uno dei giochi dell'epoca. Nell'intenzione di coloro che li scrivevano, dovevano servire ad avvicinare la gente ai computer.
La Microsoft nei due anni che precedono il clamoroso accordo con IBM introduce altri linguaggi di programmazione come il FORTRAN e il COBOL per personal computer. La Microsoft era ormai arrivata a un giro di affari di otto milioni di dollari l'anno e 32 dipendenti.
Nel luglio del 1980, Bill Gates ricevette una telefonata da un esponente dell'IBM, che lo invitava a un incontro immediato. Un mese dopo l'IBM si rifece viva per un altro consulto, nel corso del quale Bill Gates firmò un contratto di consulenza con l'IBM per scrivere una relazione sulle possibili forme di collaborazione istituibili tra Microsoft e IBM. Nel novembre di quell'anno ottenne il contratto con l'IBM, con l'obiettivo di completare il software richiesto entro il marzo 1981.
Le condizioni di lavoro per sviluppare il software furono improntate al più classico degli stili IBM: ipersegreto e scandito da rigorose tabelle di marcia stilate dagli uomini IBM. Fu fatto il sistema operativo: l'MS-DOS (il precedente SCP-DOS era di proprietà di un'altra ditta), un sistema operativo destinato a diventare il nuovo standard, come lo erano per i mainframe sistemi quali l'Mvs dell'IBM, il Vms della Digital, il Gcos della Bull. E' noto che proprio in quel periodo e precisamente nell'agosto del 1980 che Microsoft comprò dalla Seattle Computer Products per un tozzo di pane (50.000 dollari) un sistema operativo, il Q-Dos, che avrebbe fornito la base per l'MS-DOS: questo a dimostrazione che la genialità nel caso di Gates fu più nell'avere un notevole senso degli affari. L'IBM produsse il suo primo personal nel 1981 e al contrario di quanto aveva fatto da sempre nella sua storia aziendale pensò a un prodotto che avesse alcune caratteristiche di sistema aperto, qualità queste che rappresenteranno fin da subito una delle ragioni chiavi del suo successo. Non casualmente diffuse subito, seppur venduti separatamente dal personal, programmi allora estremamente diffusi e non sviluppati da IBM quali il VisiCalc (uno spreadsheet) e l'EasyWriter (un word processor creato dal mitico phone-phreaker John Draper, alias Capt. Crunch), al fine di spingere ancor meglio il prodotto sul mercato.
Con l'avvento della IBM sul mercato del personal si delinea il mercato di massa per come noi oggi lo conosciamo. Si diffondono sempre più i negozi specializzati nella consulenza e nella vendita al minuto di hardware e progressivamente viene a mutare anche il panorama generale degli appassionati del settore. Per usare una felice espressione di Bruce Sterling a proposito dello sfruttamento delle tecnologie nella storia del capitalismo, si passa finalmente all'età dello sfruttamento della vacca da latte.
Alcuni storici dell'industria hanno a questo proposito avanzato l'ipotesi che negli anni Settanta il software non fosse regolamentato come un prodotto industriale autonomo, per le necessità intrinseche dell'intera industria informatica americana. Era quella una prima fase pionieristica, in cui si andarono a definire le posizioni dominanti, a partire dalle quali si opererà successivamente il processo di "recinzione" del nuovo mercato. Il processo di normazione e regolarizzazione dei mercati avviene sempre nella storia del capitalismo in presenza di interessi egemoni e potenzialmente monopolistici. E al contrario la cosiddetta genialità individuale trova spazio solo nelle fasi di apertura di un mercato totalmente nuovo, ciecamente sottovalutato dalle grandi corporation. Successivamente o crea alleanze, in cui stipula degli accordi non umilianti con le grandi multinazionali di settore a cui vendere il proprio know how, oppure viene progressivamente riassorbita. Ultimo tra i casi più eclatanti è ad esempio quello capitato a Jaron Lanier, estromesso dalla VPL, la casa inventrice del data glove per realtà virtuali da lui fondata, dalla multinazionale europea Thomson. Lo spazio esistente per la genialità individuale è quindi direttamente proporzionale al grado di ritardo che i grandi trust di settore hanno nel comprendere la fertilità di una nuova prospettiva.
All'alba dell'introduzione globale delle autostrade elettroniche, in cui video on demand, musica e comunicazione di tipo commerciale e no, saranno facilmente attingibili per via telefonica, la situazione della programmazione mondiale appare totalmente mutata, sia in rapporto agli anni Settanta sia alle dinamiche degli anni Ottanta. Oggi i fenomeni di globalizzazione relativi all'utilizzo della forza lavoro si sono clamorosamente estesi ai mercati del Terzo Mondo. Mercati sui quali le grandi multinazionali di settore acquistano il lavoro di programmazione a prezzi dieci-quindici volte inferiori a quanto fino a ieri pagavano sul mercato americano. Probabilmente nei prossimi anni l'intero settore della programmazione, americana ed europea, conoscerà un inarrestabile fenomeno di pauperizzazione, contro cui già oggi alcune organizzazioni di programmatori americani tentano di organizzarsi. Proprio avendo presente l'ordine di considerazioni appena descritto assume un particolare rilievo la vicenda, politico esistenziale, di Richard Stallman, il quale da parecchi anni è impegnato nel costruire un'ipotesi di tipo egualitario relativamente al mondo della programmazione. Ha fondato difatti sia la League for Programming Freedom che la Free Software Foundation, organizzazioni che hanno per obiettivo da una parte la discussione della stato attuale della programmazione e l'annullamento della logica brevettuale e del diritto d'autore così come fino ad adesso sono stati applicati, e dall'altra il progetto di realizzazione di un set di programmi (Gnu) che vengono diffusi con tutti i loro sorgenti, in maniera tale da permettere agli utenti la possibilità di un intervento attivo e libero sul prodotto finale in mano loro.
Peraltro la stessa categoria della genialità individuale ha una sua storia e anche una sua ideologia. Si tratta di un concetto di derivazione romantica, espressione della visione titanica della storia, con cui si assegna a certi individui un ruolo fondamentale nello svolgersi degli eventi, fino addirittura a trasformarli in Zeitgeist, come Hegel fa nei confronti di Napoleone. La categoria della genialità individuale peraltro s'intreccia in misura molto stretta con un'altra categoria, di utilizzo più giuridico, che è quella di originalità. E la definizione di quest'ultimo concetto è da ritenersi basilare per tutto l'iter concettuale che sta alla base dell'applicazione del diritto d'autore. Un'opera viene riconosciuta come avente una paternità distinta, solo quando se ne evidenzi l'intrinseca originalità. Ma allora per originalità cosa si deve intendere? Con questo termine s'intende, e non solo nel dibattito giuridico americano, quel qualcosa di leggermente differente che caratterizza l'opera da altre analoghe e dallo stato dell'arte, ma in alcuni casi il termine viene impiegato per denotare anche la semplice esistenza di opere tra loro distinte. Questo perché alla base del concetto di originalità si presuppone come fondativa una valutazione positiva dell'insieme delle opere, da cui il cosiddetto creatore non può far altro che copiare e non tanto un atto di creazione che ex novo produce qualcosa di totalmente creativo.

Un'ulteriore considerazione, attinta dalla storia del capitalismo americano, mostra infine quanto non corrisponda la categoria della genialità individuale alle dinamiche più significative dello sviluppo scientifico ed economico.
Un testo scritto da David Noble: Progettare l'America, incentrato in particolare sulla nascita del grande capitale monopolistico americano, permette di acquisire i dati fondamentali sulla questione e di comprendere il parallelo processo che vede da una parte la completata sussunzione del sapere tecnologico e scientifico a favore dei grandi potentati economici e dall'altra il progressivo impoverimento di figure sociali centrali della ricerca nella fase precedente del capitale americano, quali gli inventori solitari. In particolare in un capitolo specificatamente dedicato alla funzionalità economica del brevetto industriale, emergono alcuni elementi assolutamente centrali nella nostra narrazione.
Innanzitutto alcune cifre: "nel 1885 il 12% dei brevetti fu rilasciato a grandi imprese, nel 1950 per lo meno tre quarti dei brevetti vengono concessi a grandi imprese".
Centrale, in questo processo di monopolismo della ricerca scientifica risulta essere la figura di Edwin J. Prindle, ingegnere meccanico e avvocato esperto in brevetti, un pioniere nel settore. Con molta lucidità Prindle indicò i modi in cui la grande impresa avrebbe potuto aggirare le leggi antitrust nel frattempo promulgate dal governo americano, i metodi per ottenere i brevetti dagli inventori o dai dipendenti-inventori e i mezzi legislativi per piegare il sistema dei brevetti alle esigenze dei gruppi monopolistici. Tra le altre cose Prindle fu uno dei primi membri dell'American Patent Law Association (1897) nonché il legale in materia di tutela dei brevetti di ditte quali la Bell Telephone, la General Electric, la Westinghouse e l'United Shoe Machinery Company. Così in un suo articolo: "I brevetti sono lo strumento migliore e più efficace per controllare la concorrenza. In certi casi permettono un dominio assoluto del mercato, e consentono a chi li detiene di definire il prezzo senza riferimento alcuno al costo di produzione (...) I brevetti costituiscono l'unica forma legale di monopolio assoluto." Inoltre Prindle fu un pioniere anche nell'indicare i metodi migliori per prolungare nel tempo le situazioni monopolistiche e per estenderle tramite brevetti supplementari. "Se non si può ottenere il brevetto su un prodotto, bisognerebbe ottenerlo sui suoi procedimenti di fabbricazione, e se nessuna di queste vie è praticabile, occorre studiare se quel prodotto può o non può venir messo in connessione con un brevetto di qualche altro prodotto, lavorazione o macchina".
Inoltre Prindle studiò e attuò contratti di assunzione che automaticamente e obbligatoriamente conferivano i diritti di registrazione del personale ai datori di lavoro. Questo ordine di considerazioni nasce dall'aver fatto tanta esperienza in particolare nel settore dell'industria elettrica (in particolare la General Electric e l'AT&T).
In particolare la General Electric, costituita nel 1892, unificò non soltanto i beni ma anche i brevetti della Edison e della Thomson-Houston. La GE seguì quindi scientemente la politica di sottomettere alla propria gestione tutti i brevetti detenuti dai concessionari delle sue licenze, relativi a ogni ramo del settore dell'illuminazione a incandescenza. Il monopolio legale dei brevetti verrà estinto ufficialmente nel 1933, ma a dimostrazione della funzione decisamente favorevole alla politica monopolistica delle grandi aziende, nessun nuovo serio concorrente emergerà in seguito in questo settore.
La guerra esplosa nel settore dei brevetti tra le grandi ditte egemoni, determinò comunque in maniera certa la sparizione del settore dei cosiddetti inventori indipendenti: "se l'inventore vende completamente i diritti del suo brevetto, in genere lo fa per una somma definita e non per delle percentuali. Se invece sviluppa la sua invenzione, il che accade raramente, deve cercare il capitale presso altri (...). Se un estraneo cerca di ottenere un brevetto (...) deve sapersi districare in certi casi, tra centinaia di brevetti su idee simili, evitandole. Le persone creative possono vedersi obbligate a impiegare una quantità di tempo maggiore per ottenere o per evitare un brevetto che per risolvere i problemi".
Gli inventori a poco a poco passarono nei laboratori di ricerca dei grandi gruppi, determinando altresì un mutamento significativo del processo inventivo: "i brevetti venivano maneggiati da esperti legali, pagati dalle grandi imprese, e le invenzioni venivano commercializzate a spese della società. In questo modo, il lavoro dipendente eliminava i problemi delle cause legali, e aveva inoltre a disposizione laboratori ben attrezzati, biblioteche e un'assistenza tecnica per la ricerca.(...) però l'inventore dipendente doveva dirigere i propri sforzi in modo da uniformarsi alle scelte commerciali della società, senza perdere tempo dietro a qualche idea interessante.(...) La collettivizzazione dell'invenzione realizzata nei laboratori di ricerca presupponeva la specializzazione delle varie mansioni". Un sistema, quello dei brevetti, che viene non casualmente definito da uno di questi inventori poveri come "un sistema di pirateria legalizzato".
Questo processo lo si deduce dal fatto che i brevetti rilasciati ai singoli aumentarono in misura sostanziale tra il 1900 e il 1916, per poi scemare in seguito al declino del ruolo dell'inventore solitario. Nel 1899 registriamo l'istituzione in seno al Patent Office di una Classification Division, per classificare i brevetti e rendere quindi più agevole l'accertamento delle nuove richieste. Nel 1911 si ha il milionesimo brevetto rilasciato, mentre già nel 1913 vengono raggiunti i due milioni di brevetti. E' quindi nel passaggio tra 1900 e 1929 che furono gettate le basi per l'estromissione totale della figura dell'inventore solitario dall'ambito della ricerca e in sostanza le fondamenta per un formalismo esagerato.
Accanto a quanto indicato in precedenza, il processo di monopolismo sulla scienza attuato negli USA intorno agli anni Venti-Trenta, introduce altre sostanziali modifiche che prolungheranno il proprio effetto fino ai nostri giorni. In particolare in questo periodo incominciano a essere definite delle nuove figure sociali funzionali alla ricerca. Importantissimo è stato il mutamento di funzione dell'ingegnere, ormai avviato a un'interpretazione sempre più moderna del proprio ruolo.
Viene intesa la propria attività come parte integrante di un sistema industriale complessivo, composto di entità distinte, ma coordinate (industria-università-governo). Gli ingegneri delle grandi imprese si diedero a organizzare i modi migliori per mettere la scienza a disposizione dell'industria tramite: a) la costituzione di laboratori efficienti all'interno e come parte integrante dei grandi gruppi industriali; b) il sostegno e la cooperazione con organizzazioni di ricerca esterna; c) il coordinamento nazionale di questa miriade di ricerche. Insomma la scienza diviene un problema di management.
Si produce un nuovo campo: la direzione della ricerca, intesa come controllo degli scienziati e sollecitazione tra i ricercatori di un nuovo spirito di cooperazione e di fedeltà verso l'azienda. E' di questo periodo peraltro l'abolizione degli incentivi economici sui brevetti scoperti, forma che aveva permesso la transizione dal periodo degli inventori solitari a quello della ricerca egemonizzata dalle grandi aziende. Questi incentivi economici verranno a mano a mano sostituiti da pubblicazioni scientifiche, intese all'origine proprio come forme sostitutive al riconoscimento della paternità del brevetto.
Tutto ciò trova delle sorprendenti analogie, se si analizza lo sviluppo della ricerca in Italia e in particolare se si osserva l'Istituto Donegani-Montecatini, uno dei punti alti della ricerca scientifica in Italia a partire dagli anni Venti. Seppure in ambito chimico i tratti caratteristici dell'esperienza americana si rintracciano appieno: anonimato della scoperta (le scoperte venivano brevettate sotto l'esclusivo nome di Fauser, una figura peraltro esemplare: già inventore individuale, poi assoldato a dirigere l'Istituto), management scientifico, collettivizzazione della ricerca e brevetto come forma di monopolio industriale.

Dal percorso finora seguito si possono comunque già trarre alcune indicazioni metodologiche valide per una lettura sull'oggi. Se da una parte vale la ricostruzione finora seguita a proposito del capitale monopolistico americano e il suo parallelismo con l'industria informatica, dall'altra si conferma che la normalizzazione/regolamentazione del software alla normativa del copyright procede in parallelo con una fase originaria di accumulazione di know-how non solo economico ma anche tecnologico e scientifico.
In secondo luogo il fenomeno che si registra oggi negli USA a proposito della progressiva espulsione dei programmatori indipendenti dal mercato, come segnalato dall'EFF e dalla League for Programming Freedom, non è un fenomeno nuovo, ma addirittura, generalizzando, lo si ha ogni qualvolta si assiste a un processo di transizione a situazioni di carattere monopolistico. Un'espulsione questa che ha la sua motivazione principale nel fatto che ai programmatori indipendenti è stata resa impossibile, in termini concreti, la ricerca relativa alla programmazione. Questo grazie all'infinità delle regole base della programmazione, condivise e scambiate normalmente per tanti anni, che sono state nel frattempo brevettate dalle grandi multinazionali del settore.
Oggi programmare è diventato molto più dispendioso, proprio a causa dei notevoli costi aggiuntivi, necessari alla consultazione di avvocati esperti in cause di carattere industriali. Ma la lamentela giustamente prosegue nel mostrare che anche nel caso in cui si consultino appropriati legali, il loro responso non tutelerebbe totalmente gli stessi programmatori da cause di infrazione di brevetto. L'Ufficio Brevetti Americano difatti non registra le invenzioni con un sistema logicamente coerente, che faciliti un'eventuale consultazione dell'utenza. Questa quindi rimane in balia delle grandi ditte, nonostante il più delle volte la loro programmazione non sia altro che reinvenzione di brevetti già depositati. Le royalties richieste infine da queste grandi multinazionali della programmazione sono talmente esagerate, da superare in parecchi casi, se sommate insieme, la quantità dell'intero.
L'esito del processo appare quindi chiaro: il programmatore indipendente appare destinato a una fine rapida, anche in considerazione del chiaro interesse mostrato da queste corporation nello sfruttamento del lavoro del Terzo Mondo.
Infine un terzo punto: ciò che impedisce a questi nuovi soggetti sociali ed economici di coalizzarsi in maniera significativa, facendo pesare la propria attuale forza contrattuale, è proprio il credere che se qualcuno vale, prima o poi troverà l'occasione per sfondare, anche se la sua quotidianità lavorativa ed esistenziale è fatta solamente di lavoro sussunto dall'azienda, come peraltro la stessa legge europea sulla tutela del software ingiustamente cristallizza.