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In questo contesto, allora,
come potrebbe incidere il passaggio dall'universo
stampato a quello elettronico, prodotto dal word
processing, computer conferencing e ipertesto,
sul nostro senso di proprietà del sapere? Una delle più
importanti caratteristiche della tipografia, se crediamo
a McLuhan e ai suoi seguaci, è quella metaforica. Qui
non stiamo parlando dell'uso investigativo della
metafora, come chiave di lettura del futuro alla luce del
passato, che Heim è così riluttante ad accettare.
Stiamo parlando del trasferimento metaforico di
caratteristiche del medium di comunicazione di una
cultura ad altri aspetti della stessa cultura. McLuhan
suggerisce, per esempio, che la riproduzione di testi
mediante serie ordinate di unità tipologiche esattamente
ripetibili e individualmente insignificanti, presenta
sorprendenti e strette analogie e forse fornisce il
modello della società industriale avanzata, in cui
un'intera economia è costituita da piccoli pezzi di
proprietà individuale, inclusa quella intellettuale.
Questo tipo di speculazioni può spingersi al livello di
asserzioni indimostrabili per le quali McLuhan è stato
giustamente criticato. Tuttavia, se noi accettiamo
provvisoriamente che il medium può talvolta
essere la metafora, possiamo forse imparare qualcosa
circa gli effetti della seconda trasformazione osservando
le vie metaforiche in cui essa ci consente di
concettualizzare il sapere.
Uno dei modi più importanti in cui opera la metafora
elettronica non è tanto di cambiare le procedure
attraverso cui gli scrittori producono sapere, quanto
quello di rendere tale processo più immediatamente visibile
attraverso i tipi di operazioni che lo consentono e le
tappe concrete percorse dagli scrittori. Dopotutto è
stato osservato che il mito della scoperta individuale
del sapere è esattamente questo, un mito. Questa
posizione è riassunta in modo egregio in Invention as
a Social Act (1987) di Karen Burke Le Fevre, un'opera
che riporta resoconti di invenzione collettiva dalla
teoria della letteratura postmoderna, dalla filosofia del
linguaggio e dalla psicologia sociale per dimostrare la
nuova importanza assunta dalla collaborazione fra gli
scrittori. Fra queste fonti una delle più importanti è
Foucault:
"(Foucault) descrive l'inizio del discorso come
una riapparizione all'interno di un processo continuo
senza fine: "Nel momento del parlare è come se
avessi percepito una voce anonima che mi precedeva da
lungo tempo e che mi irretiva... Non ci devono essere
stati inizi: al contrario il discorso proveniva da me
finché io stavo sul suo cammino -- un lieve distacco --
ed esso sarebbe sparito". Sviluppando questa
prospettiva si può giungere a considerare il discorso
non come un evento isolato, ma piuttosto come una
costante potenzialità che si evidenzia occasionalmente
nel parlare o nello scrivere... Tale prospettiva
suggerisce che le vedute tradizionali su un evento o un
atto si sono rivelate ingannevoli quando hanno preteso
che l'unità individuale -- un discorso o un testo
scritto, un singolo eroe, una battaglia o una scoperta
particolare -- sia chiaramente separabile da una più
grande e continua forza o corrente di eventi di cui essa
fa parte. Per ragioni analoghe Jacques Derrida ha
criticato le teorie letterarie che cercano di spiegare il
significato di un testo a prescindere dagli altri testi
che lo precedono e lo seguono". (p. 41-42)
I sociologi della scienza condividono questa concezione
del sapere come prodotto collettivo anziché individuale.
Lo studio di Diana Crane Invisible Colleges
(1972), per esempio, documenta l'ampiezza con cui le idee
vengono alimentate e sviluppate attraverso reti di
interazioni fra scienziati, che possono anche provenire
da tante diverse discipline "ufficiali", ma che
formano un gruppo sociale potente intorno a un problema
comune. Tuttavia la tecnologia della stampa attraverso
cui questo sapere prodotto in comune viene trasmesso e
quindi staccato, fossilizzato, astratto dalle rete di
interconnessioni intellettuali che lo ha creato -- fa
valere continuamente il messaggio opposto. Il significato
metaforico della tecnologia della stampa è isolamento e
non comunità. In particolare la facoltà di rivendicare
il contributo personale in una rete intertestuale e di
stamparlo con il proprio nome -- una facoltà resa
possibile da quella stessa stampa che permise il grande
accumulo del sapere -- fa nascere l'idea che il sapere
sia posseduto individualmente.
Io credo che la comunicazione mediata dal computer
fornisca un messaggio metaforico totalmente differente,
tale da poter estrarre le teorie del sapere collaborativo
dal regno della filosofia del linguaggio e da stamparle
indelebilmente nella coscienza dell'intera società.
Cominciamo col considerare quello che è oggi l'aspetto
più universale della comunicazione mediata dal computer,
il word processing. Ricordiamo che uno degli
effetti psicologici più importanti della scrittura in
generale e della stampa in particolare è la
fossilizzazione di un testo in un oggetto esteriore. Ora,
la composizione di un word processor divide la
produzione di un testo in due stadi distinti. Alla fine
il testo esce in uno stadio di chiusura più o meno
completa, una volta che la stesura "finale" è
pubblicata in hard codex. Ma il word processor
rende molto più fluido il testo abolendo le bozze e le
pagine e trasformandolo in un lungo documento continuo,
un rotolo di carta esaminato attraverso una finestra
scorrevole di 25 linee. Benché questa piccola finestra
possa essere un problema per gli studenti che non
riescono sempre a visualizzare l'intero testo come
un'unità (si veda per es. Richard Collier, The Word
Processor and Revision Strategies, 1983), gli
scrittori esperti generalmente perdono la loro dipendenza
da ciò che possono vedere sullo schermo e interiorizzano
il senso di un testo che esiste in uno stato
infinitamente mutevole. Anche la stampa, apparentemente
fissa e immutabile, può essere vista come puramente
provvisoria, poiché ne può essere prodotta a piacimento
una nuova che incorpori cambiamenti.
Un aspetto fondamentale di questo tipo di testo è che
esso può essere facilmente ricombinato con altri. Gli
scrittori esperti che usano il word processor sono
ben consci di quanto spesso essi incorporino i loro
stessi testi passati per citazioni, paragrafi ben
formulati, idee tagliate dalle bozze e conservate per
opere future in cui sarebbero state più appropriate. Ma
questo aspetto non diventa veramente significativo
finché il testo proprio dello scrittore non comincia a
interagire con altre fonti testuali disponibili on
line. Il word processor è spesso visto come
uno stadio preliminare di scambio elettronico di opinioni
poiché il testo "postato" è spesso preparato
inizialmente su qualche tipo di word processor (o
PC o mainframe editor). Comunque questa metafora
può essere rovesciata: il word processor viene a
essere alimentato di informazione on line tanto
quanto il contrario. Nella misura in cui altre fonti
testuali sono disponibili in formato macchina - testi
ricevuti tramite conferenze elettroniche, pubblicazioni on
line, testi scaricati da database, ecc. -- la
consapevolezza dell'intertestualità, di cui parla la
LeFevre, diventa sempre più un dato oggettivo e le sue
implicazioni sempre più inequivocabili. Lo scorrere
insieme di testi nello spazio della scrittura
elettronica, testi non più disponibili come unità
discrete, ma come campi continui di idee e di
informazioni, risulta nello spazio elettronico tanto più
facile -- e non solo fisicamente più facile, ma
psicologicamente più naturale -- di quanto non sia
mantenere separata la proprietà delle idee.
Intertestualità, una volta un concetto filosofico, sta
diventando uno stile di vita.
Quando l'informazione viene diffusa elettronicamente nel
testo cominciano a scorrere scritti antecedenti e
posteriori nella misura in cui l'autore integra i
commenti degli altri nel documento che si aggiorna. Come
Hiltz e Turoff osservano in The Network Nation
(1978) la distinzione fra bozze, preprint,
pubblicazione o ristampa viene ora meno, in quanto vi è
lo stesso "foglio" o insieme di informazioni,
semplicemente modificato dall'autore quando questi lo
rielabora sulla base delle critiche dei lettori (p. 276).
Infine le distinzioni fra autori e documenti vengono a
cadere completamente. Hiltz e Turoff inseriscono fra le
sezioni del loro libro The Network Nation delle
fantasiose citazioni tratte da un futuro "Boshwash
Time"; una di queste profetizza proprio la fine
della paternità individuale di un libro a causa del
sistema collaborativo promosso dal computer: "Un
gruppo di 57 scienziati sociali e esperti
dell'informazione si sono divisi oggi il Nobel per
l'economia, mentre 43 fisici e studiosi di altre
discipline hanno ottenuto il premio per la fisica...
Quando per la prima volta otto anni fa fu annunciato un
tale premio collettivo, il comitato tentò di convincere
il gruppo interessato a indicare fra i suoi membri quei
due o tre che erano maggiormente responsabili della
teoria sviluppata. Ma il gruppo insistette che ciò era
impossibile. Il Dr. Andrea Turoff, portavoce del gruppo,
spiegò: "noi siamo impegnati in ciò che chiamiamo
un sinologio (synologue) un processo in cui la
sintesi del dialogo stimolata dal processo collaborativo
crea qualcosa che non sarebbe stato possibile altrimenti".
(pp. 464-65)
In breve, con la comunicazione elettronica la nozione del
testo statico posseduto individualmente si dissolve di
nuovo nella fluidità dell'espressione collettiva tipica
della cultura orale. Se il materiale di cui esso è fatto
è disponibile attraverso il computer, l'assemblaggio di
documenti (document assembly) -- neologismo molto
efficace -- diventa l'analogo del poeta orale che rifonde
espressioni idiomatiche ed epiteti in trame familiari,
pervenendo a creare nella preesistente rete di sapere
epico, una riattualizzazione di conoscenze che sono state
di pubblico dominio da prima della sua nascita (vedi
Bolter, Writing Space, 1991). Nel mondo
elettronico come in quello orale la latente
intertestualità della stampa è consapevolmente
riconosciuta: appare più ovvio che l'originalità stia
non tanto nella creazione individuale di elementi singoli
quanto nella realizzazione dell'intera composizione.
Ma naturalmente c'è fusione e fusione. Quando costruisce
le sue storie, il cantastorie è profondamente inserito
in un contesto retorico e culturale. Il suo pubblico è
fisicamente davanti a lui ed egli mette insieme le sue
storie in uno stretto sodalizio sia col pubblico che con
i suoi personaggi, lo sfondo tribale di cui è
espressione la sua figura. "La reazione
dell'individuo non è espressa a livello semplicemente
personale o soggettivo, ma è piuttosto incorporata nella
reazione della comunità, nell'anima collettiva"
(Ong, 1982, p. 46). Invece, certi tipi di rielaboratori
elettronici, potenziati con aiuti mnemonici quali il CD
Rom contenente migliaia di lettere tipo e di programmi di
diffusione attraverso cui può distribuirle
automaticamente, possono separarsi così totalmente
dall'occasione retorica, da cessare di avere la minima
connessione con qualsiasi sapere umano (Cragg, The
Technologizing of Rhetoric, 1991). Ma un processo è
definito al meglio non dai suoi estremi patologici,
bensì dai principali usi a cui lo destina una società.
Se usato da scrittori esperti che stanno componendo in un
contesto retorico e non solo ricopiando formule nel
vuoto, il relativamente facile taglia e incolla di brani
letterari tratti da diverse fonti può diventare
un'importante metafora operazionale di connessioni
intertestuali.
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