SPECULAZIONI SULLA STORIA DELLA PROPRIETÀ

   

di Doug Brent
tratto da
NO COPYRIGHT, p.73-77

   
   

 In questo contesto, allora, come potrebbe incidere il passaggio dall'universo stampato a quello elettronico, prodotto dal word processing, computer conferencing e ipertesto, sul nostro senso di proprietà del sapere? Una delle più importanti caratteristiche della tipografia, se crediamo a McLuhan e ai suoi seguaci, è quella metaforica. Qui non stiamo parlando dell'uso investigativo della metafora, come chiave di lettura del futuro alla luce del passato, che Heim è così riluttante ad accettare. Stiamo parlando del trasferimento metaforico di caratteristiche del medium di comunicazione di una cultura ad altri aspetti della stessa cultura. McLuhan suggerisce, per esempio, che la riproduzione di testi mediante serie ordinate di unità tipologiche esattamente ripetibili e individualmente insignificanti, presenta sorprendenti e strette analogie e forse fornisce il modello della società industriale avanzata, in cui un'intera economia è costituita da piccoli pezzi di proprietà individuale, inclusa quella intellettuale. Questo tipo di speculazioni può spingersi al livello di asserzioni indimostrabili per le quali McLuhan è stato giustamente criticato. Tuttavia, se noi accettiamo provvisoriamente che il medium può talvolta essere la metafora, possiamo forse imparare qualcosa circa gli effetti della seconda trasformazione osservando le vie metaforiche in cui essa ci consente di concettualizzare il sapere.
Uno dei modi più importanti in cui opera la metafora elettronica non è tanto di cambiare le procedure attraverso cui gli scrittori producono sapere, quanto quello di rendere tale processo più immediatamente visibile attraverso i tipi di operazioni che lo consentono e le tappe concrete percorse dagli scrittori. Dopotutto è stato osservato che il mito della scoperta individuale del sapere è esattamente questo, un mito. Questa posizione è riassunta in modo egregio in Invention as a Social Act (1987) di Karen Burke Le Fevre, un'opera che riporta resoconti di invenzione collettiva dalla teoria della letteratura postmoderna, dalla filosofia del linguaggio e dalla psicologia sociale per dimostrare la nuova importanza assunta dalla collaborazione fra gli scrittori. Fra queste fonti una delle più importanti è Foucault:
"(Foucault) descrive l'inizio del discorso come una riapparizione all'interno di un processo continuo senza fine: "Nel momento del parlare è come se avessi percepito una voce anonima che mi precedeva da lungo tempo e che mi irretiva... Non ci devono essere stati inizi: al contrario il discorso proveniva da me finché io stavo sul suo cammino -- un lieve distacco -- ed esso sarebbe sparito". Sviluppando questa prospettiva si può giungere a considerare il discorso non come un evento isolato, ma piuttosto come una costante potenzialità che si evidenzia occasionalmente nel parlare o nello scrivere... Tale prospettiva suggerisce che le vedute tradizionali su un evento o un atto si sono rivelate ingannevoli quando hanno preteso che l'unità individuale -- un discorso o un testo scritto, un singolo eroe, una battaglia o una scoperta particolare -- sia chiaramente separabile da una più grande e continua forza o corrente di eventi di cui essa fa parte. Per ragioni analoghe Jacques Derrida ha criticato le teorie letterarie che cercano di spiegare il significato di un testo a prescindere dagli altri testi che lo precedono e lo seguono". (p. 41-42)
I sociologi della scienza condividono questa concezione del sapere come prodotto collettivo anziché individuale. Lo studio di Diana Crane Invisible Colleges (1972), per esempio, documenta l'ampiezza con cui le idee vengono alimentate e sviluppate attraverso reti di interazioni fra scienziati, che possono anche provenire da tante diverse discipline "ufficiali", ma che formano un gruppo sociale potente intorno a un problema comune. Tuttavia la tecnologia della stampa attraverso cui questo sapere prodotto in comune viene trasmesso e quindi staccato, fossilizzato, astratto dalle rete di interconnessioni intellettuali che lo ha creato -- fa valere continuamente il messaggio opposto. Il significato metaforico della tecnologia della stampa è isolamento e non comunità. In particolare la facoltà di rivendicare il contributo personale in una rete intertestuale e di stamparlo con il proprio nome -- una facoltà resa possibile da quella stessa stampa che permise il grande accumulo del sapere -- fa nascere l'idea che il sapere sia posseduto individualmente.
Io credo che la comunicazione mediata dal computer fornisca un messaggio metaforico totalmente differente, tale da poter estrarre le teorie del sapere collaborativo dal regno della filosofia del linguaggio e da stamparle indelebilmente nella coscienza dell'intera società. Cominciamo col considerare quello che è oggi l'aspetto più universale della comunicazione mediata dal computer, il word processing. Ricordiamo che uno degli effetti psicologici più importanti della scrittura in generale e della stampa in particolare è la fossilizzazione di un testo in un oggetto esteriore. Ora, la composizione di un word processor divide la produzione di un testo in due stadi distinti. Alla fine il testo esce in uno stadio di chiusura più o meno completa, una volta che la stesura "finale" è pubblicata in hard codex. Ma il word processor rende molto più fluido il testo abolendo le bozze e le pagine e trasformandolo in un lungo documento continuo, un rotolo di carta esaminato attraverso una finestra scorrevole di 25 linee. Benché questa piccola finestra possa essere un problema per gli studenti che non riescono sempre a visualizzare l'intero testo come un'unità (si veda per es. Richard Collier, The Word Processor and Revision Strategies, 1983), gli scrittori esperti generalmente perdono la loro dipendenza da ciò che possono vedere sullo schermo e interiorizzano il senso di un testo che esiste in uno stato infinitamente mutevole. Anche la stampa, apparentemente fissa e immutabile, può essere vista come puramente provvisoria, poiché ne può essere prodotta a piacimento una nuova che incorpori cambiamenti.
Un aspetto fondamentale di questo tipo di testo è che esso può essere facilmente ricombinato con altri. Gli scrittori esperti che usano il word processor sono ben consci di quanto spesso essi incorporino i loro stessi testi passati per citazioni, paragrafi ben formulati, idee tagliate dalle bozze e conservate per opere future in cui sarebbero state più appropriate. Ma questo aspetto non diventa veramente significativo finché il testo proprio dello scrittore non comincia a interagire con altre fonti testuali disponibili on line. Il word processor è spesso visto come uno stadio preliminare di scambio elettronico di opinioni poiché il testo "postato" è spesso preparato inizialmente su qualche tipo di word processor (o PC o mainframe editor). Comunque questa metafora può essere rovesciata: il word processor viene a essere alimentato di informazione on line tanto quanto il contrario. Nella misura in cui altre fonti testuali sono disponibili in formato macchina - testi ricevuti tramite conferenze elettroniche, pubblicazioni on line, testi scaricati da database, ecc. -- la consapevolezza dell'intertestualità, di cui parla la LeFevre, diventa sempre più un dato oggettivo e le sue implicazioni sempre più inequivocabili. Lo scorrere insieme di testi nello spazio della scrittura elettronica, testi non più disponibili come unità discrete, ma come campi continui di idee e di informazioni, risulta nello spazio elettronico tanto più facile -- e non solo fisicamente più facile, ma psicologicamente più naturale -- di quanto non sia mantenere separata la proprietà delle idee.
Intertestualità, una volta un concetto filosofico, sta diventando uno stile di vita.
Quando l'informazione viene diffusa elettronicamente nel testo cominciano a scorrere scritti antecedenti e posteriori nella misura in cui l'autore integra i commenti degli altri nel documento che si aggiorna. Come Hiltz e Turoff osservano in The Network Nation (1978) la distinzione fra bozze, preprint, pubblicazione o ristampa viene ora meno, in quanto vi è lo stesso "foglio" o insieme di informazioni, semplicemente modificato dall'autore quando questi lo rielabora sulla base delle critiche dei lettori (p. 276).
Infine le distinzioni fra autori e documenti vengono a cadere completamente. Hiltz e Turoff inseriscono fra le sezioni del loro libro The Network Nation delle fantasiose citazioni tratte da un futuro "Boshwash Time"; una di queste profetizza proprio la fine della paternità individuale di un libro a causa del sistema collaborativo promosso dal computer: "Un gruppo di 57 scienziati sociali e esperti dell'informazione si sono divisi oggi il Nobel per l'economia, mentre 43 fisici e studiosi di altre discipline hanno ottenuto il premio per la fisica... Quando per la prima volta otto anni fa fu annunciato un tale premio collettivo, il comitato tentò di convincere il gruppo interessato a indicare fra i suoi membri quei due o tre che erano maggiormente responsabili della teoria sviluppata. Ma il gruppo insistette che ciò era impossibile. Il Dr. Andrea Turoff, portavoce del gruppo, spiegò: "noi siamo impegnati in ciò che chiamiamo un sinologio (synologue) un processo in cui la sintesi del dialogo stimolata dal processo collaborativo crea qualcosa che non sarebbe stato possibile altrimenti". (pp. 464-65)
In breve, con la comunicazione elettronica la nozione del testo statico posseduto individualmente si dissolve di nuovo nella fluidità dell'espressione collettiva tipica della cultura orale. Se il materiale di cui esso è fatto è disponibile attraverso il computer, l'assemblaggio di documenti (document assembly) -- neologismo molto efficace -- diventa l'analogo del poeta orale che rifonde espressioni idiomatiche ed epiteti in trame familiari, pervenendo a creare nella preesistente rete di sapere epico, una riattualizzazione di conoscenze che sono state di pubblico dominio da prima della sua nascita (vedi Bolter, Writing Space, 1991). Nel mondo elettronico come in quello orale la latente intertestualità della stampa è consapevolmente riconosciuta: appare più ovvio che l'originalità stia non tanto nella creazione individuale di elementi singoli quanto nella realizzazione dell'intera composizione.
Ma naturalmente c'è fusione e fusione. Quando costruisce le sue storie, il cantastorie è profondamente inserito in un contesto retorico e culturale. Il suo pubblico è fisicamente davanti a lui ed egli mette insieme le sue storie in uno stretto sodalizio sia col pubblico che con i suoi personaggi, lo sfondo tribale di cui è espressione la sua figura. "La reazione dell'individuo non è espressa a livello semplicemente personale o soggettivo, ma è piuttosto incorporata nella reazione della comunità, nell'anima collettiva" (Ong, 1982, p. 46). Invece, certi tipi di rielaboratori elettronici, potenziati con aiuti mnemonici quali il CD Rom contenente migliaia di lettere tipo e di programmi di diffusione attraverso cui può distribuirle automaticamente, possono separarsi così totalmente dall'occasione retorica, da cessare di avere la minima connessione con qualsiasi sapere umano (Cragg, The Technologizing of Rhetoric, 1991). Ma un processo è definito al meglio non dai suoi estremi patologici, bensì dai principali usi a cui lo destina una società. Se usato da scrittori esperti che stanno componendo in un contesto retorico e non solo ricopiando formule nel vuoto, il relativamente facile taglia e incolla di brani letterari tratti da diverse fonti può diventare un'importante metafora operazionale di connessioni intertestuali.