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L'ennesimo techno-hype
Le trasformazioni della scena telematica italiana
dell'ultimo anno sono soprattutto relative alla
promozione di progetti commerciali per grandi utenze.
Questo ha fatto sì che la centralità delle
"comunità virtuali" passasse in secondo piano
rispetto alle esigenze di un nascente business e di
operazioni politiche di medio-alto livello. Ne è
derivato che l'utenza amatoriale è stata deprivata del
suo ruolo e, come già successo, appare altamente
probabile che altre leggi vengano approvate a sua
insaputa e sulla sua testa.
Ricordate due anni fa il grande boom delle realtà
virtuali? Su ogni media era di rigore parlare della
tecnologia del momento, spesso con grandi inesattezze dal
punto di vista tecnico, filosofico e con l'aggiunta di
stucchevoli considerazioni di ordine morale (corpo contro
mente, RV come nuova droga e fuga dalla realtà).
Qualcuno c'ha fatto anche affari spacciando competenze
inesistenti (è nata la nuova professione del
"conferenziere-futurologo"), sono fiorite
riviste patinate specializzate, insieme a un mercato che
ha fatto salire alle stelle anche il prezzo dei mitici
Power-Glove.
Il nuovo media-hype è invece oggi quello di Internet. In
tempi rapidissimi quello che da alcune parti veniva
richiesto come un diritto di cittadinanza si è
trasformato in un must per nuovi techno-ricchi,
talvolta radical-chic, e in una grande apertura di
supposti mercati. Le cifre relative a qualsiasi aspetto
riguardante Internet, appaiono veramente fantasiose. Un
abbonamento gratis a "Decoder" a chi ci dice se
nel mondo sono 5, 20 o 40 milioni i potenziali utenti,
oppure se il tasso di crescita mensile è del 15, del 70
o del 138 per cento. Di nuovo: a quanto ammonta il
fatturato stimabile in Italia sulla connettività? Solo
sei miliardi? E quanti sono i fornitori di accesso? E
quanto pagheremo per avere un abbonamento: 200, 240 o 60
mila lire? E le reti civiche ce lo daranno gratis?
Rastrellare
denaro, privatizzare e normare
Noi di "Decoder" pensiamo che gli scenari
possibili potrebbero essere diversi. Il più credibile lo
vediamo diviso in due fasi, che cerchiamo qui di seguito
di analizzare nel dettaglio:
I) La prima fase è caratterizzata da grandi annunci di
investimenti per la creazione di infrastrutture di
interconnettività globale. In questo quadro rientrano le
parallele manovre finanziarie relative alla formazione di
cartelli e i processi di privatizzazione di grandi
Telecom internazionali, acquisite da gruppi bancari e
assicurativi.
II) La seconda fase sembra essere relativa alle modalità
di rastrellamento del denaro necessario per avviare il
processo di creazione delle infrastrutture. Al momento,
per esempio, Internet è l'unica rete globale che esiste
e funziona, ma la sua scarsa larghezza di banda (la
capacità di trasporto delle informazioni) è limitata e
inadatta alle applicazioni commerciali. Non a caso, e
come molti di voi hanno personalmente verificato, il solo
funzionamento di Word Wide Web l'ha letteralmente messa
in ginocchio rendendola lentissima. Da qui si deduce
l'urgenza di un investimento in nuove strutture e nuovi
standard. Il doppino telefonico è inadatto per
supportare la confluenza di telefono, computer e
televisione nel multimedia. Ciò che serve è ricablare
l'intero sistema (c'è chi
dice con la fibra ottica bidirezionale che garantisce
l'interattività totale, e chi dice con il cavo coassiale
monodirezionale, escludendo di fatto la possibilità di
risposta dell'utente) e completare la copertura con i
satelliti. Gli standard sono relativi invece
all'introduzione della moneta elettronica e alla
salvaguardia e rafforzamento della proprietà
intellettuale e brevettuale. L'introduzione della moneta
elettronica (e-money) è resa necessaria per
effettuare vendite e pagamenti a distanza. In un prossimo
futuro anche in Italia si potrà acquistare qualsiasi
tipo di merci facendo un ordine in rete e
"spendendo" dei crediti elettronici. Il
problema consiste nel trovare un sistema che garantisca
con certezza l'attendibilità dell'ordine e
l'affidabilità del pagamento. Già ora è possibile
acquistare utilizzando la carta di credito, ma questa
presenta difficoltà di vario tipo per le necessarie e
continue richieste di verifica presso le banche. Ciò che
si cerca ora è la "cosa" possibilmente più
simile alla moneta tradizionale cartacea. Anche in questo
caso sussistono contraddizioni: si daranno gli stessi
problemi della moneta tradizionale, di per sé anonima e
volatile, con probabili movimenti di danaro
"sporco" non ricostruibili nella loro
circolazione e che, per di più, porranno oggettivi
problemi ai controlli monetari di carattere nazionale; il
concetto stesso di sovranità nazionale verrà di
conseguenza messo in crisi (del resto questa crisi e
tutto questo processo sono già stati anticipati dagli
scambi tra le borse, ormai da tempo collegati
telematicamente per l'intero arco del giorno e della
notte).
Tornando agli standard, ciò che appare chiaro è che
molti di essi finora sono stati di pubblico dominio. Tra
questi i più famosi sono TCP/IP (un protocollo fondativo
dell'architettura di Internet) e HTTP (il protocollo che
serve per creare la comunicazione in World Wide Web).
Questo fatto ha garantito che non ci fosse alcun padrone
di Internet, nessuno ha dovuto pagare royalty ai
detentori del brevetto, nessuno ne ha impedito la
modificazione e l'adattamento alle esigenze dell'utenza,
che ne ha beneficiato in quanto in pieno controllo delle
possibilità offerte dalla rete. Le (brutte) novità
consistono nel fatto che le prossime versioni degli
strumenti di consultazione per WWW (i browser Netscape e
Mosaic) saranno disponibili solo a pagamento.
Per quanto riguarda la proprietà intellettuale si
annunciano a livello internazionale delle novità di
rilievo e già si succedono convegni sotto l'egida ONU
(Napoli 1995), che tendono a configurare una
semplificazione del diritto di proprietà intellettuale
eliminando o limitando fortemente il ruolo e l'importanza
della proprietà morale. Anche una tradizione giuridica
quale quella giapponese, storicamente vicina
all'affermazione del concetto di proprietà morale, si
muove in sintonia con questa tendenza americana.
La chiave di volta di questo processo è molto semplice
da comprendere. Tutte queste operazioni richiedono forti
investimenti e liquidità non possedute dalle compagnie
che operano nel campo delle telecomunicazioni, Telecom
Italia per prima. Il reperimento di questi soldi può
essere fatto solo attraverso il mercato diffuso e
l'aumento delle tariffe, nonostante quanto raccontano i
"cantori" del libero mercato. Sarà quindi
l'utenza che pagherà da una parte la privatizzazione di
queste strutture e dall'altra la fornitura di servizi a
oggi inesistenti (tutte le belle cose che vi dicono che
esistono su Internet ma che in realtà non si vedono).
Bisogni
disattesi
Questi "servizi inesistenti" e le relative
aspettative sociali che si sono generate su Internet,
come detto in precedenza, ricordano molto le dinamiche
già viste per le realtà virtuali. Se i desideri della
gente e le richieste di nuovi modi di comunicare erano
giuste, dall'altro lato il mercato li ha disattesi
producendo merci di nullo valore sociale e di alto valore
speculativo (in parole povere sono stati prodotti per lo
più "giochini"). Similmente sarà molto
probabile che la volontà del pubblico, molto generica,
ma indicante chiaramente una volontà di esperire forme
di scambio interattivo e globale d'informazione -
possibile nell'immaginario attraverso la "metafora
Internet" - saranno "soddisfatte" solo
sotto forma di simulacri d'interattività.
Abbiamo accennato sopra all'introduzione molto probabile
di cavi coassiali utilizzanti l'elettronica delle TV via
cavo americane. La loro caratteristica è il basso costo,
ma una scarsa larghezza di banda per il canale di
ritorno. Si determinerà in questo modo il solito schema
in cui una "centrale" trasmette e migliaia di
utenti ricevono con poche funzioni di feedback
praticabili. Pare che il progetto di Telecom Italia di
voler cablare, entro il 1998, 10 milioni di famiglie
italiane sia basato proprio su questa tecnologia. Uno
degli obbiettivi commerciali di tale operazione è quello
di liberare l'etere dalle trasmissioni radio-televisive,
per lasciar spazio ai ben più remunerativi
"telefonini" e servizi di telefonia mobile
varia. Viene "garantita" in questo modo anche
la struttura gerarchica dell'informazione, non più messa
a rischio dalle ricadute di un utilizzo diffuso di media
dall'accesso orizzontale, quali potrebbero essere quelli
basati su una tecnologia a fibra ottica o sul doppino
telefonico non asimmetrico (NASDL).
Per la situazione economica italiana sembra si
configurerà un vero e proprio monopolio della Stet,
finanziaria dello stato proprietaria di Telecom e in
odore di privatizzazione, sia sull'etere sia sul cavo.
BBS: la
vittima sacrificale
Questo scenario, più attuale che futuribile,
comporta operazioni politico-finanziarie di alto livello
e investimento che viaggiano sopra la testa di tutti
coloro che fanno parte della scena culturale delle reti e
della telematica amatoriale. Esso comporterà sempre più
dinamiche giuridiche, scelte politiche e spinte che non
solo non riusciremo a controllare, ma che influenzeranno
anche il nostro modo di vedere la realtà. Un chiaro
esempio di come le esigenze di un grande mercato abbiano
influenzato fortemente la telematica di base lo si è
riscontrato nella "febbre di regolamentazione"
delle BBS esplosa nell'ultimo anno e che ha visto,
sorprendentemente, gli stessi utenti e sysop invocare
provvedimenti di legge in questo campo. Alcuni di questi
lo fanno in perfetta buona fede, altri difendono per
procura interessi di terzi, altri infine sperano di
partecipare alla spartizione delle briciole del ricco
banchetto. Su tutto regna, inoltre, una grande
confusione, rafforzata periodicamente da eventi di
paradossale natura.
Le posizioni
in campo
I toni e i contenuti di questo dibattito dimostrano
come la pratica hobbistica sia giunta al capolinea. La
febbre pro o contro la regolamentazione è ulteriormente
cresciuta da quando si è saputo che una commissione
parlamentare starebbe elaborando un progetto di legge per
regolamentare il diritto alla privacy e ai dati personali
gestiti in maniera digitale, da qui il sospetto di
un'estensione legislativa riguardo alla gestione delle
BBS.
Le parole-chiave su cui ruota la discussione sono poche e
tra queste le più discusse sono la responsabilità
penale del sysop, l'identificazione certa dell'utente e
la liceità della comunicazione telematica senza
autorizzazione istituzionale. Il panorama delle posizioni
è abbastanza complesso, mentre ai livelli decisionali la
confusione procedurale e teorico/etica sembra regnare
sovrana. Scendiamo nel dettaglio. Da una parte abbiamo i
"reazionari", soggetti non ben identificati,
mai citati per nome o appartenenza dalle riviste di
settore, che chiedono un intervento legislativo molto
rigido: costoro auspicano che il sysop diventi una sorta
di controllore full-time della posta in transito
sulla BBS. Egli infatti sarebbe responsabile, anche
penalmente, di ogni byte che circoli nella sua macchina e
quindi tenuto a un controllo certosino di ogni singolo
file o messaggio, anche privato, che vi viene depositato.
Non è qui il caso di sottolineare la violazione
anticostituzionale della privacy degli utenti, che
avrebbero i loro messaggi personali sistematicamente
spiati. Tra i "duri" vi è anche chi chiede che
ogni BBS venga legittimata a esistere da
un'autorizzazione prefettizia o di altro tipo, come
accade per i CB che devono essere muniti di patentino
apposito e non possono ufficialmente parlare se non di
argomenti di tipo tecnico. Quali sono le paure dei
sostenitori di tali posizioni? Quali crimini possono
essere perpretati attraverso le BBS? Oltre a quelli di
tipo "digitale", facilmente immaginabili, come
la diffusione di virus, la trasmissione di password o di
programmi copiati illegalmente, ecco comparire una serie
quantomeno curiosa di reati quali: la diffusione di
messaggi istiganti all'odio o alla discriminazione
razziale, a contenuto diffamatorio, relativi alla
prostituzione e alla pubblicazione di spettacoli osceni.
Appare evidente che chi ha fatto questo tipo di
affermazione non si sia mai preso la briga di collegarsi
a una BBS "comune", oppure che sia in possesso
dei rari privilegi per connettersi a siti
techno-nazi o di sporcaccioni digitali. Che le fobie
sulle evoluzioni dei crimini informatici abbondassero non
è una novità, come testimoniano le semestrali relazioni
dei servizi segreti italiani o la chiacchierata
quotidiana presenza di "funzionari in borghese"
presso la facoltà universitaria di informatica a Milano,
ma i timori di cui sopra mettono in luce una totale
ignoranza sulla situazione telematica italiana. Forse
qualche foto porno circolerà anche, ma si tratta di
scansioni da giornali normalmente in vendita nelle
edicole e fatte circolare solo per spirito goliardico. In
ogni caso, per quanto riguarda gli altri reati
potenziali, le autorità possono dormire "sonni
tranquilli". Nelle BBS esistono
autoregolamentazioni, dette policy, o uno stile di
interazione, detto net-etiquette, che impediscono
di fatto e con determinazione la proliferazione di
messaggi razzisti, discriminatori o diffamatori. Anzi,
nel cyberspazio delle BBS pare vigere, almeno a livello
di dibattito, quella uguale opportunità di parola che
nella vita reale e televisiva viene negata.
I reazionari paiono comunque isolati, perché tale tipo
di posizione sembra un po' rigida anche per il mercato.
La
proliferazione telematica dei pubblici ufficiali
Accanto a loro, ben più forti e consolidati, abbiamo
i "legalisti". Questo fronte è composto da
persone esperte di reti e, nella maggior parte dei casi,
proprietarie di servizi a pagamento. A livello
parlamentare si collocherebbero intorno al gruppo dei
"Riformatori" mentre, editorialmente, il loro
araldo è il mensile "McMicromputer" che, nel
1994 ha aperto la rivista con ben 5 editoriali e nei
primi 4 mesi del 1995 con altri 3 sul tema della
legalità e della telematica. Su posizioni meno rigide
del 1993, quando sembrava che gli hacker fossero
"il" problema della sicurezza nazionale, i
"legalisti" chiedono con forza una legge sulle
BBS, ma temono "regolamentazioni illiberali".
Auspicano infatti che a ogni cittadino sia garantito, in
quanto diritto, l'accesso alle reti e che il sysop non
sia considerato responsabile del traffico di posta
elettronica. Per sostenere quest'ultima posizione,
suggeriscono l'identificazione certa dell'utente della
BBS tramite l'invio della fotocopia autenticata della
carta d'identità o di altro certificato personale.
L'utente, non potendosi più celare dietro l'anonimato,
diventerebbe a ogni effetto il responsabile di ogni
azione digitale da lui commessa, mentre il sysop, non
più tenuto alla ciclopica fatica di leggersi tutti i
messaggi in transito, dovrebbe, in caso di necessità,
consegnare alle autorità i nominativi degli
utenti-criminali. In questo caso è evidente come il
profilo della BBS e l'identità del sysop ne uscirebbero
mutati rispetto alla situazione attuale. Per quei sysop,
futuri "pubblici ufficiali", delle circa 500
BBS italiane che hanno ciascuna almeno un migliaio di
utenti, una parte della casa si trasformerebbe in un
archivio di dati personali che potrebbero finire, magari
a pagamento, nei ben più consistenti e lucrativi archivi
di una qualche ditta di vendita per corrispondenza, o
chissadove. Ci si chiede chi sarebbe disposto a spedire a
un soggetto non giuridico, di fatto spesso minorenne (e
quindi, secondo la discutibile sfera del diritto,
"non imputabile") dei dati riguardanti la
propria persona. Basta un po' di buon senso per prevedere
che il possesso di liste dovrà essere comunicato a una
qualche autorità competente, la quale potrebbe a sua
volta autorizzare o meno la possibilità di gestire la
BBS, cosa che i "legalisti" stessi paiono non
gradire. Ci si chiede inoltre quale interesse e
curiosità professionale possano avere le autorità nel
venire in possesso di queste liste, soprattutto quando
siano relative a BBS che, per esempio, abbiano sede
presso un centro sociale o qualche altro luogo
"scomodo".
La resistibile
ascesa del centro-sinistra
Un fronte di recente formazione, che potrebbe essere
definito "legalista di centro-sinistra", è
quello aperto dall'associazione-lobby Alcei che afferma
di richiamarsi all'americana Electronic Frontier
Foundation. Qualche mese fa alcuni suoi membri hanno
spedito a più o meno tutte le BBS italiane una lettera
aperta dai toni preoccupati che enumera tutti i possibili
guai, qualcuno francamente esagerato o inesatto, che
potrebbero capitare a un sysop nell'odierna situazione di
vuoto legislativo. Alcei ritiene infatti che "chi
per primo pianterà i suoi picchetti nelle nuove praterie
del cyberspazio, avrà più voce in capitolo quando si
dovranno scrivere nuove regole", e si fa quindi
promotrice di una sensibilizzazione sulla necessità di
una legge o meglio di un'ambigua forma di
"autoregolamentazione" per evitare che vengano
inopinatamente introdotte dall'alto leggi o leggine.
Singolarmente per un gruppo che si definisce garantista,
nella proposta diffusa resta come punto fermo la
non-responsabilità del sysop e l'obbligo
dell'identificazione dell'utente sempre tramite la
fotocopia del documento d'identità, perché questi si
assuma tutte le responsabilità delle proprie gesta
elettroniche. Nella filosofia dell'Alcei il cyberspazio
è infatti popolato da molti onesti e rari disonesti e
questi ultimi non devono guastare l'immagine della nuova
frontiera. L'Alcei si muove in questo senso, da una parte
chiedendo l'abolizione dell'anonimato, inteso
quest'ultimo come forma di negazione delle
responsabilità soggettive, e dall'altra parte invitando
i media ad assumere un atteggiamento meno
sensazionalistico quando si occupano del problema.
Ben scavato,
vecchia talpa!
In realtà esiste un'altra posizione sul tema (che
"Mc" classifica sommariamente come una
"frangia minoritaria che in nome di una assai
malintesa libertà vuole difendere anche quella di rubare
telematicamente") che vede nella modalità
d'identificazione certa dell'utente tramite la
"fotocopia d'identità", un blocco alla
diffusione della telematica amatoriale, una violazione
della privacy dell'utente e che si affiderebbe a una
chiara net-etiquette, ovvero a una
regolamentazione etica, che è la stessa che norma, senza
sanzionare, i comportamenti su Internet. I
"libertari" non vedono quindi di buon occhio
l'obbligo dell'identificazione dell'utente e sarebbero
anche disposti ad assumersi qualche rischio in più,
convinti che siano più convincenti gli ideali che la
legge. In questo ambito s'aggira anche qualche dubbio
sugli orientamenti di Alcei: date le premesse, ci si
doamanda se Alcei avrà nei confronti degli "hacker
sociali" lo stesso atteggiamento che l'Electronic
Frontier Foundation mantiene sullo stesso punto già da
diversi anni. L'EFF cerca infatti, con consulenze
giuridiche, tecniche e anche finanziamenti, di andare
alle radici del problema di "chi è il proprietario
dell'informazione". Un caso clamoroso è stata la
difesa che il comitato di difesa dei diritti dell'EFF ha
fatto contro la criminalizzazione di riviste hacker, come
"Phrack". Una battaglia vincente che ha
permesso di far ribadire da una corte concetti e diritti
fondamentali come la libertà di stampa elettronica e che
ha legittimato fortemente la stessa EFF in tutto il
cyberspazio.
Confusi e
contenti?
Il 13 dicembre 1994, un dibattito radiofonico alla
RAI, ha portato inaspettatamente ancora più confusione
di quanta ce ne fosse prima. Nella trasmissione il
magistrato Buttarelli, membro della commissione
parlamentare che sta preparando la legge sulla tutela
della privacy, ha esposto la situazione per ciò che
riguarda le BBS. Come primo dato ha affermato che non
esiste "ufficialmente" alcun progetto per la
regolamentazione di queste ultime e che nessun paese
comunitario si è finora pronunciato al riguardo, tranne
l'Olanda comunque orientata a valorizzare
l'autoregolamentazione. Buttarelli ha esposto anche la
difficoltà di conciliare autorizzazioni preventive per
aprire una BBS e norme costituzionali riguardanti la
libertà di espressione, ma ha citato come
"opportuno un regime di registrazione presso il
Garante", una nuova figura quest'ultima in campo
telematico ma simile a quella, molto criticata, relativa
all'informazione televisiva. A tutt'oggi, secondo il
magistrato, il sysop è colui che per primo verrebbe
"informato" nel caso in cui fosse commesso un
reato tramite la BBS, ma la sua responsabilità
soggettiva cadrebbe nel caso in cui egli dimostrasse di
aver fatto tutto il possibile per evitare che il reato
fosse commesso (viene dunque riciclato lo schema
dell'inversione dell'onere della prova, cosa che sembrava
invece essere stata abolita dal nuovo codice di procedura
penale). _ stato anche chiarito come non esista alcuna
limitazione all'uso dei programmi di crittazione della
posta personale, come al contrario veniva affermato nella
"lettera ai sysop" dei membri Alcei,
assimilando per analogia una norma del 1992 relativa alla
telegrafia che dà la possibilità a chiunque di
utilizzare sistemi di oscuramento del testo. Buttarelli
ha concluso sottolineando come i recenti avvenimenti
abbiano creato un certo allarme su questi temi e che,
prima o poi, una legge a riguardo si renderà necessaria,
ma ha pronosticato almeno due anni di dibattito politico
e tecnico per la sua realizzazione, a meno di decisi
interventi da parte governativa. Questi interventi in
realtà non si sono fatti attendere tanto a lungo: il
governo Berlusconi, un paio di giorni prima di decadere,
ha infatti delegato all'esecutivo, senza i vincoli della
discussione parlamentare, l'autonomia di decidere in
materia. Il tutto nel più completo silenzio dei media,
delle parti in causa nel dibattito e con una procedura
molto simile a quella con cui sono state approvate le
altre leggi riguardanti il mondo digitale.
Viene spontaneo allora chiedersi come mai si sia
scatenato un dibattito così articolato da una parte e
dall'altra un intervento così sommario da parte del
potere politico. La risposta è semplice, il campo finora
occupato dalle BBS amatoriali sta per essere invaso e
totalmente trasformato dal mercato mentre lo stesso
cyberspazio verrà innovato da alcune interessanti
scoperte. Nel breve periodo, anche in Italia, assisteremo
alla nascita di un nuovo modello di bullettin board
dalle dimensioni gigantesche con centinaia di linee
entranti, ovviamente a pagamento. Seguendo lo stile
americano di Compuserve, e nelle ipotesi di qualche rete
"civica" o commerciale italiana, verranno resi
disponibili dei servizi in linea di differente qualità,
dal culturale al commerciale e anche dei gateway
su Internet. E non saranno solo Italia on Line, Video on
Line, Galactica, Agorà, e le decine di altre società,
che stanno nascendo come funghi, a entrare in campo, qui
si parla di colossi ben più strutturati anche a livello
internazionale. Microsoft, per esempio, metterà a
disposizione dell'utente che acquisterà la versione di
Windows '95, detta in gergo Chicago, il software nativo
per collegarsi a "Microsoft Network", quella
che dovrà essere una delle BBS più grandi del mondo.
Quest'ultima avrà un carattere sovranazionale e userà
anche Internet. Nella confezione di Windows '95, oltre al
software specifico, verrà incluso anche un bonus della
durata di un mese per collegarsi gratuitamente al
"Microsoft Network"; se l'esperienza piace
basterà abbonarsi per fruire ulteriormente dei servizi.
Ciò che impressiona è la proiezione delle cifre. Se la
campagna funzionasse, vista la grande diffusione di
Windows, nel giro di un anno ben 95 milioni di utenti
potrebbero collegarsi a questa mega-BBS. Una campagna
analoga viene promossa anche da IBM (vedi la martellante
e accattivante campagna televisiva), che regala un bonus
di ben 3 mesi presso un terzo fornitore consociato di
servizi telematici.
I colossi dell'informatica infatti non solo dichiarano,
come ha fatto Gates, che la connettività e la
multimedialità sembrano le sole vie d'uscita alla crisi
dell'informatica, ma hanno anche capito che la telematica
è un buon sistema per ovviare alle pecche dei sistemi
distributivi. Queste BBS saranno un canale diretto tra
produttore e consumatore senza la mediazione di dealer
e negozianti vari, un aspetto che peraltro verrà
apprezzato anche dagli acquirenti, che sperano in un
abbassamento dei prezzi.
Le BBS in
mezzo al guado
Tornando al nostro problema, si può facilmente
immaginare la differenza tra questi servizi e le BBS, che
hanno al massimo due linee entranti e che sono mosse solo
dalla buona volontà. Ma possiamo anche cominciare a
intuire cosa stia dietro alla febbre da regolamentazione.
Per comprendere meglio, facciamo riferimento alla mozione
alla Camera dei Deputati, fatta da Paolo Vigevano di
Forza Italia il giorno di ferragosto del 1994 (una
giornata ideale per favorire un dibattito partecipato).
Il deputato ha chiesto sostanzialmente il liberismo
telematico tramite: il libero accesso interattivo per i
cittadini, le pari opportunità di utilizzo degli
investitori delle reti telefoniche pubbliche, la libera
competizione, una sorta di anti-trust telematico, la
tutela della privacy e la possibilità di usare la
crittografia, l'abbassamento dei costi Telecom, le reti
ad alta velocità. Questa serie di istanze, che sarebbe
condivisibile se diversamente contestualizzata, in
realtà è animata dal mero scopo di "incoraggiare
gli investimenti", "far nascere un nuovo
settore produttivo connesso alla fornitura di
servizi" e soprattutto "dare agli investitori
la necessaria certezza delle regole e della loro
applicazione" (citazioni dalla mozione). In questo
senso la provocatoria asserzione degli informatici
ribelli che, dagli anni Sessanta fino a oggi, hanno con
coraggio sostenuto la tesi che l'accesso all'informazione
deve essere garantito a tutti i cittadini, è stata
assorbita dal capitalismo avanzato che avrà bisogno di
una base d'utenza, quindi di clientela, quanto più ampia
possibile. In questo senso va anche letta la necessità
di leggi e va reinterpretato tutto ciò che abbiamo detto
finora. Ciò che avremo saranno BBS, o meglio enormi
forum pubblici, in cui sarà molto più rilevante la
responsabilità soggettiva dello scrivente, per esempio,
per il reato di diffamazione. Poniamo che sulla BBS della
Microsoft, in un'area di dibattito tecnico letta da un
milione di persone, venga diffamata l'IBM. Quest'ultima
subirebbe in concreto un danno, perlomeno d'immagine, e
adirebbe immediatamente le vie legali. _ chiaro come né
la Microsoft, né il sysop della mega-BBS che nel caso
sarebbe un dipendente della ditta, possano rischiare di
entrare in una controversia legale di questo tipo. Ciò
che l'investitore chiede è in sostanza di lavarsi le
mani da questi problemi scomodi per procedere
tranquillamente nella propria impresa. Ciò che invece
chiede il piccolo investitore è di non essere
schiacciato e in questo senso sembra veramente
appropriata la metafora dei "primi piantatori di
picchetti": così come è avvenuto per le
televisioni e per il software saranno i giganti che nel
territorio non normato stabiliranno, a seconda del loro
assetto e interessi, quali sono le regole del gioco.
A questo punto non appare fuori luogo la sorpresa di
alcuni gestori e degli utenti delle BBS, che, sentendosi
in un modo o nell'altro coinvolti in prima persona, si
chiedono: "ma in tutto questo noi cosa
c'entriamo?". Probabilmente essi vedrebbero con
maggior favore delle reali forme di tutela, piuttosto che
delle limitazioni al loro operato tramite pastoie
burocratiche. Nella trasmissione radiofonica sopra
citata, al momento dell'"apertura" dei
microfoni alle telefonate esterne, si sono sentite da
parte di alcuni hobbisti delle idee interessanti e
appropriate, come per esempio quella di considerare le
BBS come una sorta di salotto di casa o di una festa a
inviti, quindi una via di mezzo tra luogo pubblico e
privato. Una visione dello spazio telematico assai
diversa da quella delle strutture commerciali e dove, di
conseguenza, verrebbe percepito come invasivo un
intervento dello stato che regoli i comportamenti degli
invitati al party. In alcune reti si cominciano
peraltro a leggere dei messaggi di utenti che, da una
parte un po' stanchi di questo dibattere a vuoto e
dall'altra parte intimoriti da ciò che potrebbe
succedere con una legge, propongono una
"migrazione" dalle BBS. Ciò che viene
romanticamente suggerito è di abbandonare tutti insieme
la "miseria" delle limitazioni localistiche che
le BBS e le norme rappresentano, per ritrovarsi dentro
Internet, dove l'anonimato e la privacy vengono garantite
per la forte coscienza degli utenti stessi.
Per uscire
dalla palude
In ogni caso, per dirla molto chiaramente, le
posizioni della maggior parte dei sysop italiani sono
orientate verso una regolamentazione della telematica
amatoriale, e spesso tali posizioni vengono manifestate
con toni pieni di paura e di "cattiva cultura".
Sentendosi coinvolti a ogni costo, a nostro avviso
inappropriatamente, nel dibattito "alto" e
miliardario delle reti commerciali, molti sysop cercano
di cautelarsi, non tanto contro l'ingerenza dello stato
in un'esperienza di "volontariato" di alto
valore sociale, ma quanto contro i propri stessi utenti,
visti come generatori di problemi dal punto di vista
legale. Il ragionamento più diffuso, vero ma ingiusto,
è pressapoco questo: "Se un mio utente, magari
anonimo, commette dei reati, lo stato, non avendo altri
mezzi per perseguirlo, punirà duramente me". Da qui
nascono degli equilibrismi giuridico-politici di bassa
qualità per scaricare la patata bollente sull'utente
(schedandolo e limitandolo nella possibilità
comunicativa), senza fare mai lo sforzo di cercare di
capire cosa sta succedendo. Addirittura chi propone
soluzione alternative viene bollato come
"utopista".
Il convegno "Liberare la frontiera elettronica"
tenutosi a Prato nello scorso febbario e che ha riunito
per la prima volta in Italia quasi tutti i network
amatoriali, ha messo proprio in evidenza il disagio e la
difficoltà di esprimere delle posizioni comuni di fronte
all'invasione istituzionale di uno spazio personale o di
valenza sociale. L'assemblea finale, durata cinque ore e
partecipata da trecento persone, se da una parte ha
espresso la possibilità di poter almeno avviare un
percorso di confronto tra soggetti diversi con interessi
comuni, dall'altra parte ha messo in luce l'assoluta
necessità di attivare maggiormente le risorse
informative - giuridiche, politiche, strategiche - e
d'intelligenza per evitare che la scena telematica
italiana ripieghi su se stessa, generando uno scontro
interno tra i diversi network.
Quello che pensiamo sia necessario fare ora, è invitare
a una riflessione più complessiva su alcuni problemi di
principio generali e stimolare all'azione concreta per
uscire dalla fase di incertezza e confusione in cui tutta
la comunità telematica viene a trovarsi.
Per problemi di principio generali intendiamo possibili
battaglie su alcuni diritti, che se non vengono
confermati come tali rischiano di portarci a leggi
limitanti la nostra libertà. _ questo il caso della più
completa libertà d'espressione tramite il mezzo
telematico. Se non saremo in grado di combattere quel
pattume della storia giuridica chiamato "reato di
diffamazione", non riusciremo neanche a smontare il
tentativo di esercitare il nostro diritto personale di
opinione, di critica, anche fastidiosa, all'interno del
cyberspazio. Una BBS non è un giornale quotidiano, è
interattiva e non unidirezionale, si è editori solo di
se stessi e soprattutto in una BBS non si esercitano
quelle relazioni di potere presenti nei mass-media. Se si
continua a ragionare paragonando le BBS a delle testate
giornalistiche, non si uscirà dal vicolo cieco in cui ci
si è infilati. Lo stesso schema va utilizzato per una
tematica giuridica più complessa come quella della
"responsabilità oggettiva", che
nell'ordinamento italiano non dovrebbe esistere,
soprattutto dopo l'introduzione del "Nuovo codice di
procedura penale", ma che di fatto viene utilizzata
nella costruzione di processi perlopiù politici o su
questioni d'emergenza. E questo ciò che succede per
esempio quando un sysop viene incriminato per eventuali
reati commessi da altri sul suo sistema. È illusorio
pensare che una legislazione concepita per
deresponsabilizzare i gestori di un servizio telematico
ma che limiti le possibilità espressive dei suoi utenti,
rappresenti veramente una forma di tutela degli abitanti
del cyberspazio.
Ribadiamo la nostra contrarietà a ogni ipotesi di
regolamentazione della comunicazione digitale, poiché
pensiamo che quest'ultima debba essere parificata a
quella verbale ed epistolare e quindi solo tutelata e non
controllata. Se c'è qualcuno che vede delle differenze
tra il senso complessivo dello scambio di opinioni in una
piazza e il dialogo aperto in una rete telematica,
significa che costui è in realtà intimorito dalle
opinioni personali della gente, e non da altro tipo di
pericoli più gravi incombenti. Cosa penseremmo se
qualcuno ci chiedesse la carta d'identità per esprimere
un'opinione in un luogo pubblico?
Diritti di
cittadinanza: che ognuno si assuma le proprie
responsabilità
Già nei numeri precedenti di "Decoder"
abbiamo posto grande attenzione al fatto che la sfera
riguardante i diritti telematici si sovrappone all'ambito
più generale dei diritti di cittadinanza. L'ipotesi che
in un prossimo futuro l'accesso alla rete comporti più
in generale l'accesso al sapere e quindi al lavoro, pone
l'obbligo a tutti i gestori di sistemi telematici a
ispirare le loro azioni concrete (regolamentazioni,
pianificazione di infrastrutture, gratuità dell'accesso,
libertà di parola...) a questa filosofia generale.
In questo senso ci pare giusto stimolare all'azione
quelle realtà che sinora pare si siano tenute al di
fuori, o che siano cadute nella trappola dei "luoghi
comuni".
Per luoghi comuni intendiamo quei concetti ideologici che
vengono suggeriti da "attori" con interessi
particolari (McMicrocomputer, Agorà, gestori
commerciali, aziende che vendono la "sicurezza
informatica"...) e che (automagically)
vengono assunti acriticamente come fatti ineluttabili.
Costoro parlano di "emergenze", mitizzandone la
dimensione e aggravandone l'effettiva pericolosità, ma
vengono clamorosamente smentiti dai dati ufficiali, che
raccontano di soli 35 reati compiuti nel 1994 in Italia,
relativi all'insieme della criminalità informatica. A
livello mondiale sono solo 1517. Si potrà raccontare che
la gran parte delle aziende trova poco conveniente
diffondere dati sulla vulnerabilità dei propri sistemi,
ma certamente resta il fatto che i reati oggettivamente
denunciati sono in un numero assolutamente trascurabile,
non solo per quanto riguarda l'estensione, ma anche
relativamente alla pericolosità effettiva dei reati.
Prendiamo il caso del buon Mitnick, il superhacker che da
oltre quindici anni scorazza impunemente nei sistemi
telefonici di mezzo mondo e nell'immaginario collettivo
di guardie e ladri, accumulando la bellezza di ventimila
numeri di carte di credito, ma di cui, per via della sua
etica, non ha mai fatto concreto uso. Altri luoghi comuni
sono la diffusione della pornografia, con gli annessi
scabrosi sulla violenza sui minori, le istruzioni per
costruire le bombe, l'uso delle reti da parte della mafia
e dei trafficanti di droghe varie.
La "so-called" sinistra parlamentare italiana
non ha saputo cogliere le prospettive reali della
questione (i diritti di cittadinanza), ma sembrando più
preoccupata di frenare l'ascesa di futuri
"berlusconi", è caduta in pieno nel tranello
dell'inevitabilità della regolamentazione, a scapito di
questioni più rilevanti per tutta la collettività. Le
reti civiche (vedi box), per esempio, che se, da una
parte, stanno costituendo un buon esempio di
sperimentazione di accesso pubblico a basso prezzo,
dall'altra parte, hanno costruito le loro regole proprio
sulle istanze di chi vuole trasformare il cyberspazio in
un territorio totalmente controllato. La questione
dell'identificazione certa dell'utente, ribadita come una
triste litania anche dalla sinistra e dalle reti civiche,
nasconde un importante problema di difesa dall'ingerenza
del potere nella nostra libertà d'espressione. Al di là
della tesi per cui ognuno debba prendersi, fornendo le
proprie generalità, le responsabilità di ciò che
afferma sulla rete, pensiamo con le BBS siano di fatto un
gigantesco data-base che raccoglie informazioni
"sensibili" sull'identità complessiva degli
utenti (idee politiche, situazione sanitaria,
disponibilità economica, preferenze sessuali, gusti
merceologici) e non crediamo assolutamente che queste
informazioni, impacchettate e rese disponibili dalla
stessa BBS, possano non far gola a istituzioni deputate
al controllo oppure a società in cerca di nuovi target
di consumo. In questo senso l'anonimità è una forma di
difesa del più debole (l'utente) contro l'invadenza
degli interessi più forti. Nel parlamento italiano è in
discussione ormai da due anni la legge sulla tutela dei
dati personali (legge sulla privacy) che si ispira in
linea di massima agli stessi principi da noi enunciati,
ma ai cittadini, invece, con l'impedimento
dell'espressione anonima della comunicazione viene di
fatto negata la misura più semplice e praticabile per
l'autodifesa dei propri dati.
In questo senso pensiamo che sia necessario attivare
pratiche che scavalchino questo dibattito stantio. Come
è successo negli USA per la questione della crittazione
della corrispondenza privata mediante PGP (vedi "Decoder" #9), in cui una
diffusione e un uso di massa di questa tecnica ha
impedito le volontà di regolamentazione del governo, è
ora necessario che anche su questo tema si attivino forme
di pratica alternativa. Invitiamo quindi le reti civiche
e chi ha la fortuna di poter gestire un sito Internet, a
implementare un servizio di anonimous remailer
(cioè un sistema che intercetta la posta elettronica e
la ributta in rete priva di ogni riferimento ai dati del
mittente). Giornali come "il manifesto" o
"L'unità", che sono anche su Internet, hanno
una responsabilità storica rispetto a questi temi: non
basta parlare genericamente di democrazia telematica, ma
bisogna iniziare ad attivarla: che trasformino dunque, al
più presto, le loro macchine e le facciano diventare
realmente strumenti di libertà.
Auspichiamo inoltre che il convegno di Prato possa
diventare un appuntamento fisso, in cui le diverse anime
dell'intero mondo amatoriale della telematica italiana
possano incontrarsi e confrontare con serenità tante
questioni che in rete vengono dibattute con spirito
pregiudiziale. Pensiamo infatti che alcune posizioni,
apparentemente divergenti, possano, in realtà, trovare
punti di unificazione, cosa questa necessaria per evitare
di essere definitivamente scavalcati dalla forza delle
lobby. Rilanciamo in questo senso anche la proposta nata
a Prato, della creazione di un'agenzia di
controinformazione su tutti questi temi, per
controbilanciare il potere che pochi e potenti media
hanno a questo riguardo. La redazione dovrà essere
aperta e tutti potranno contribuire alla sua formazione;
come forma si potrebbe utilizzare il World Wide Web che
ne può garantire la diffusione anche a livello
internazionale.
"Decoder" si impegna a sostenere non
solo le iniziative qui sopra esposte, mettendo a
disposizione le sue pagine di Web, ma anche di
contribuire a organizzare le necessarie mobilitazioni,
nel caso in cui leggi fortemente lesive dei nuovi diritti
di cittadinanza e comunicazione dovessero essere
approvate.
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