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La "Fura", come ormai
viene chiamata familiarmente in Italia da chi segue le
forme culturali sperimentali, ha saputo affermarsi in
campo teatrale come gruppo portatore di una ventata di
novità. Chi ha seguito gli spettacoli non può
dimenticarsi del coinvolgimento fisico provato durante le
loro performance multimediali, fatte di recitazione,
musica, scontro fisico e uno strano uso di
macchine-mostri meccanico cibernetiche. Proprio su queste
ultime si è incentrata la nostra attenzione perché era
evidente che erano percepite dal gruppo come
"estensioni del corpo". Non a caso quelli della
"Fura" si definiscono CYBERPRIMITIVES.
Cortile del Centro Sociale di via Conchetta n. 18, a
Milano. Davanti a noi Carlos... Qual è il
senso delle vostre macchine e come le costruite?
Come prima cosa bisogna dire che le macchine ci
servono per amplificare la forza della nostra azione
per il fatto che noi siamo in nove in mezzo a un
pubblico di mille persone, così come usiamo dei
computer o la batteria elettronica per la musica.
Ma nei primi spettacoli, come Suz/o/Suz di due anni
fa, le macchine che chiamavamo
"automatics", avevano una funzione diversa,
ispirata ai futuristi italiani.
Erano autonome ed iniziavano a funzionare quattro o
cinque minuti prima dell'azione, producendo effetti
sonori e rumori. Per costruirle avevamo usato un
motore di lavatrice, al quale abbiamo applicato una
ruota di bicicletta che faceva a sua volta funzionare
una ruota dentata che metteva in azione un braccio
meccanico. Questo colpiva diversi oggetti sonori come
una lamina metallica, un bidone, una bottiglia, dei
piatti. Avevamo anche un'affettatrice che faceva
vibrare una corda di banjo. Tutte queste macchine
avevano un nome differente: ce n'era una che si
chiamava folklorica, che produceva suoni molto
acuti, una che si chiamava jazz che suonava la
corda del banjo e il charleston, un'altra che si
chiamava heavy che suonava un bidone e una
spranga di ferro, un'altra che si chiamava bomberò che
aveva incorporata una cisterna d'acqua che veniva
messa in circolo come fosse una doccia e
produceva un rumore... fssss... che ricordava un
estintore. La funzione di tutte queste macchine era
separata dall'azione teatrale vera e propria che era
invece ispirata all'energia umana più simile ad una
concezione africana o tribale-rituale ma nel senso
positivista cioè del vecchio che insegna al giovane,
e il rito di iniziazione di questo.
Le macchine costituivano i limiti simbolici
dell'azione, all'inizio e alla fine di questa, un
contrasto tra il rumore automatico e il significato
di tutto questo. Con queste macchine abbiamo anche
fatto una mostra aggiungendo un sistema con una
parete di ventilatori di fronte ad una costruzione
metallica che si attivavano automaticamente. Questa
è stata la prima macchina grande che abbiamo
costruito.
Nello spettacolo nuovo, invece, le macchine sono di
tipo diverso. Non solamente una cosa che si attiva
prima o dopo, ma che funziona insieme allo
spettacolo. Sono state pensate anche, ma non solo,
per la musica. Qualcuna che funziona con l'acqua
creando un effetto di pioggia artificiale, altre che
funzionano con un sistema ad aria compressa. C'è un
compressore a cui è collegato un tubo munito di
elettrovalvola che ad un impulso si apre e si chiude,
facendo uscire un odore di carne marcia o un profumo.
Oppure quest'aria fa funzionare dei clacson o dei
flauti o un martello pneumatico che a sua volta
percuote una lastra metallica. C'è una macchina più
complicata a cui è collegato anche il motore di una
lavatrice e che suona, secondo la partitura musicale,
un tamburo. Comunque tutti questi ventisette
strumenti (clacson di auto, camion, barche, tamburi
più altri azionati elettricamente come due campane)
vengono coordinati con la musica. Abbiamo costruito
un apparato con un'interfaccia computerizzata che
permette di sincronizzare questi rumori con il ritmo
della musica e delle basi preregistrare e accordarne
le tonalità.
Adesso stiamo progettando per il prossimo spettacolo
una macchina che reagirà diversamente a seconda del
comportamento del pubblico: quando la gente si
avvicina e la tocca questa sputa o da una scossa a
basso voltaggio, secondo il principio del
"pastore automatico" che consiste in un
filo elettrificato da 12 a 25 volt che impedisce alle
vacche di uscire dal recinto. La nostra macchina
verrà azionata da una cellula fotoelettrica e potrà
produrre un rumore o tirare un poco di acqua o un
colpo o un odore.
Dove recuperate il materiale necessario per la
costruzione?
Di nuovo abbiamo comprato pochissime cose, solo
quelle che è praticamente impossibile trovare in
giro, come le elettrovalvole, o le campane che è
impossibile costruirsi da soli, perché pesano dai
100 (la nota FA) ai 300 Kg ed ogni nota differisce
dall'altra di circa 35 Kg, più grande e la campana e
più bassa è la nota. Per le altre cose andiamo dai
rottamai o al cimitero delle barche.
Di norma preferiamo il materiale riciclato perché ci
piace di più, è più interessante, non è normale
per il teatro tradizionale, ed è anche per questo
che preferiamo suonare nelle fabbriche. Abbiamo
recuperato materiale nei reattori nucleari, nei
cantieri navali e, una volta, in un'impresa di pompe
funebri. Il grosso del materiale lo recuperiamo nel
posto dove facciamo lo spettacolo.
Abbiamo dei tamburi grandi di pelle di vacca che è
molto difficile sostituire quando si rompono perché
sono della "banda di Calanda", una
tradizione spagnola molto antica del luogo dov'era
nato Luis Bunuel, in Aragona, dove durante la
settimana santa, il venerdì, tutte le famiglie con
dei tamburi molto grandi suonano tutto il giorno e
tutta la notte. Questi tamburi hanno un suono molto
basso, ma vengono percossi secondo ritmi precisi e
antichissimi. Le pelli che li costituiscono sono di
vacche molto grandi e ogni famiglia ha i suoi tamburi
che vengono tramandati di generazione in generazione.
La mazza per suonare questi tamburi e molto corta e
quindi ad ogni percussione parte della mano colpisce
la pelle. Con il passare delle ore la mano comincia a
sanguinare sporcando di sangue la pelle di vacca. Con
gli anni i tamburi diventano neri di sangue che si
coagula...una specie di rituale. La gente va avanti a
percuotere i tamburi camminando tutto il giorno e
tutta la notte e, cosa rara per queste feste, non
beve vino. Le vibrazioni basse del tamburo si
trasmettono al corpo creando uno stato di estasi e
tutti, giovani e vecchi, battono e camminano. Ci sono
tre o quattro ritmi diversi, suonati da gruppi di una
ventina di persone in diverse piazze e quando si
cambia piazza si cambia anche il ritmo.
Noi usiamo due di questi grandi tamburi percossi da
una macchina.
Questo perché noi della Fura tentiamo di unire ciò
che c'è di più primitivo, il rituale, il sangue,
mangiare la carne cruda, con l'idea cibernetica.
Due elementi contrastanti ma positivisticamente
uniti, con ironia rispetto alle macchine, ma anche
con un certo fascino nei confronti di queste. Per noi
un motore d'aeroplano e bello come "L'ultima
cena" di Leonardo. E proprio lui era in grado da
una parte di dipingere motivi religiosi, ma
dall'altra era fanatico delle tecnologie.
Per noi la scena migliore è quella di Berlino, dove
abbiamo collaborato con Einsturzende Neubauten e
abbiamo dei contatti con Survival Research
Laboratories di S. Francisco che lavorano solo con
macchine che si scontrano tra di loro. Macchine che
hanno una tale forza da rompere le catene con le
quali sono legate e da essere realmente pericolose
per il pubblico.
Le nostre macchine sono più legate all'azione
corporea e plastica. Infatti un'altra macchina in
progetto è come una nutrice automatica, per
allattare, che si applica come un corpetto, con molte
mammelle. Può anche ricordare le macchine dei
sex-shop. Una macchina non di plastica però, che ti
dà soddisfazione, più umana, una specie di
estensione del corpo anche se non completamente
assimilata da questo.
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