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Produrre senso sociale nell'età' digitale
(Sintesi)

   

della Redazione
tratto da
DECODER #11

E' disponibile anche la versione completa.

   
    IMPRESA SOCIALE E ORIZZONTE TECNOLOGICO

Infine, e solo per questioni di spazio non ci soffermiamo più a lungo su tutta una serie di aspetti, c'è da richiamare la questione dei movimenti e delle risposte da questi date a una serie di atti decisi in sede economica e legislativa.

Un primo aspetto che ci sembra di poter evidenziare è che, purtroppo, la crisi della modernità ha fatto delle vittime, e tra queste i movimenti sono stati tra i primi a soccombere. L'ideologia della fine delle grandi narrazioni, per brevità raccolte sotto la dicitura postmodernità, ha cominciato a mietere successi. La mancanza di una grande prospettiva unificante della trasformazione ha, da una parte, lanciato numerose intelligenze alla ricerca di nuovi percorsi e strade da esperire. Ecco quindi sentieri prevedibilmente foriere di successi, quali l'analisi del postfordismo e soprattutto quella del lavoro autonomo di seconda generazione, contemporaneamente ad altre, più culturaliste, ma anche meno ricche dal punto di vista teorico, quali alcuni approdi di analisi provenienti da circoli prevalentemente studenteschi.

Dall'altra, l'esito più immediato e percepibile, è un dato di carattere esistenziale, esploso con grande violenza proprio negli ultimi due anni. Si tratta di un fenomeno di diffrazione delle coscienze e delle intelligenze, tutte orientate a ritagliarsi un proprio spazio di visibilità mediatica, e tutte tese a giocare un ruolo, per lo più da portaborse, all'interno del grande gioco della "società dello spettacolo". Ecco quindi l'improvviso protagonismo letterario di "scrittori" giovanissimi, talvolta aventi come proprio universo vitale quello del movimento, a cui a man bassa ha attinto un'impresa editoriale in grave crisi di idee e progetti. Ma ecco anche l'esplodere di un processo di vera e propria balcanizzazione delle coscienze, che vede schierati tutti contro tutti, in qualsiasi luogo: dalla rete alla comunicazione interpersonale, dalla propria attività di autoproduzione all'uso di tecniche di ridondanza e rilancio dell'informazione sui quotidiani nazionali. Probabilmente tutto questo è l'esito momentaneo di un processo caratterizzato come non mai dall'horror vacui proprio della fase, ma al contempo non si può fare a meno di segnalarne gli esiti negativi, soprattutto in vista di compiti più importanti che ci attenderanno in futuro.

E' certo che la mancanza assoluta di un'etica comunicazionale sta facendo implodere certi usi e dinamiche delle rete stessa. Superata insomma la prima grande fase della sua fondazione e successivamente del suo consolidamento, cose avvenute grazie al concorso delle intelligenze di tutt'Italia, oggi la crisi sembra coinvolgere proprio l'uso "sensato" della rete, il fatto in sintesi che la rete produca minor senso sociale di quanto ci si potesse aspettare, conducendo peraltro di riflesso alla rivalutazione di rapporti territoriali e locali, che sembravano messi in discussione in una fase precedente.

Come si supera questa crisi? Nel richiamare l'essenziale avvertimento che, per fortuna, non esiste alcuna avanguardia che possa offrire il giusto rimedio a crisi che appaiono più di carattere generale, al contempo cerchiamo di offrire una nostra ipotesi di lavoro su quanto sta accadendo.

In primo luogo, crediamo corretto avviare una riflessione collettiva sulle dinamiche più sotterranee che albergano in un certo uso delle rete, ponendo attenzione anche all'elemento dell'etica comunicazionale e alla produzione del senso sociale.

Dall'altro, il fatto che, oggi come non mai, la discussione appare verbosa e non collegata ad alcun progetto concreto. Insomma ci pare che si discuta tanto, anche con un livore straordinario, ma che al contempo non si voglia, o non si abbia, la capacità di sporcarsi le mani con dei progetti concreti, di qualsiasi tipo, che allarghino la sfera di produzione del senso sociale.

E' anche alla luce di quanto sopra che ci chiediamo quali siano state le cause che in Italia abbiano impedito la nascita di esperienze di base più avanzate rispetto alle esistenti. Se da una parte qualche anno fa, c'erano delle buone premesse per la presenza e la nascita di esperienze quali Cybernet ed Ecn, a tutt'oggi, come peraltro si leggerà su questo numero di Decoder, sono impensabili, almeno al momento, situazioni analoghe agli Xs4All (Access for All) tedesco e olandese. Cioè di situazioni che, partite con dinamiche di movimento, sono riuscite a proporsi come dei servizi ad alto profilo tecnologico e, in assenza di un servizio pubblico adeguato, a costituire dei servizi con valenze di carattere generale.

Perché ciò è accaduto all'estero e non nel nostro paese? Perché per esempio in Germania e in Olanda, non in Inghilterra e Francia è da suggerire, nei fatti è accaduto che forme di imprese sociali, pur all'interno dell'ambiguità intrinseca del termine, sono riuscite a nascere e a proporsi in maniera intelligente, coprendo terreni d'interesse molteplici, dallo sviluppo ecosostenibile, alla progettazione di ambienti con materiali "diversi", alla creazione di circuiti teatrali di valore pari a quelli "ufficiali", alla progettazione di imprese ad alta qualificazione tecnologica (come per esempio Xs4all). Varie sono le ragioni di questa maggiore pragmaticità delle situazioni estere. Qui formuliamo alcune cause in ordine sparso, senza alcuna pretesa di sistematicità né volontà di trattazione organica, giusto a mo' di agenda: i movimenti degli anni Settanta hanno inciso maggiormente nel progettare ipotesi alternative della società, che però fossero ascrivibili allo sviluppo capitalistico stesso, da cui una minore radicalità e al contempo una maggiore concretezza (macrobiotica, vegan, rete "alternativa" più diffusa di botteghe); maggior trasparenza e intelligenza politica delle istituzioni, anche a causa di precondizioni storiche di tipo etico-religioso; maggior ricchezza e maggior internità ai processi di modernizzazione. Diversamente l'unico ambito di novità emerso dalla situazione italiana si può racchiudere nella parola "centri sociali", un fenomeno molteplice nelle sue origini e derive, che oggi conosce una grande difficoltà nel sapersi trasformare a fronte dell'epocale modificazione postfordista.

Prima di tuffarci nell'esperienza italiana riprendiamo l'analisi sulle modalità di situazioni come Xs4all e consimili: queste esperienze sono di tipo cooperativistico o con altra parola sono imprese sociali nel campo delle nuove tecnologie, dove allo spirito di collaborazione e alla finalità sociale si affiancano caratteristiche interessanti. Per esempio vengono messe in gioco delle professionalità di alto livello in progetti che possono avere un peso rilevante nell'economia dell'informazione di una determinata zona geografica. Viene sottratto alle istituzioni il compito di "togliere ai ricchi per dare ai poveri", ovvero addossare agli acquirenti di servizi commerciali i costi della distribuzione gratuita di Internet all'intera cittadinanza. Questo senza chiedere nulla, ma semplicemente diventando i gestori del progetto stesso.

La nostra situazione è particolare. Abbiamo infatti una forte presenza di soggetti che sono collocati nel punto alto dei processi produttivi moderni (come dimostra l'inchiesta sui centri sociali, da noi pubblicata in Geografie del desiderio) e inoltre proprio intorno alle reti alternative circolano sicuramente capacità e professionalità di un certo livello. Il problema sta nel fatto che tutti costoro viaggiano separati, atomizzati l'uno dall'altro, senza la capacità di saper pensare o progettare qualcosa che sia d'interesse e valore generale.

A un livello minimale, il dibattito nato l'anno passato sull'impresa sociale, aveva secondo noi anche questo senso: mettere in relazione proprio questi soggetti, per costruire progetti di chiara finalità sociale, al fine anche di produrre reddito. O forse la discriminante del reddito va rivista con attenzione. Forse per qualcuno non è appetibile rinunciare al reddito da attività professionali usuali, riversando in certe attività "sociali" esclusivamente richieste affettive-amicali, mentre per altri il rifiuto del reddito o delle relazioni con il mondo che il mercato "necessariamente" determina, fa sì che venga rifiutata in toto una tale possibilità.

SOTTRARRE SPAZI ALLO STATO

Che lo stato debba cambiare, non è una nostra impressione ma una certezza. Lo stato welfarista è in grande trasformazione. Si definiranno diversamente compiti e sfere di attività e il grande dibattito è già iniziato da tempo, anche se subirà una sua accelerazione proprio durante i prossimi due anni. Sicuramente la grande attenzione assegnata ultimamente al volontariato sociale è un segnale di grande importanza politica. Lo stato dismette sfere di attività conquistate durante gli ultimi settant'anni e le delega, a costi minori, a soggetti giuridici e umani generalmente animati da dinamiche d'impegno sociale. Ecco quindi la nascita dell'idea del terzo settore (realtà non solo italiana, è da dire), la legge apposita, che favorisce vere e proprie corporation del terzo settore come Acli e Arci, le iniziative di smantellamento della sanità pubblica in Lombardia, affidate da Formigoni a strutture d'impegno sociale d'ispirazione cattolica clientelare.

Crediamo che questo processo in corso, caratterizzato dalla sottrazione allo stato di sfere di socialità e impresa, debba essere governato meglio. Proviamo a pensare cosa potrebbe succedere se al centro di questa dismissione fosse posta la questione del danaro versato per la pensione. I progetti di Treu e Ciampi tentano in effetti di indirizzare la parziale dismissione di denaro "pensionistico" verso i soliti controlli del mercato finanziario e azionario, attraverso l'escamotage dei fondi pensione. Altro impatto si avrebbe se gruppi numerosi di lavoratori decidessero di autorappresentarsi e pretendessero di ricevere in busta paga l'intero ammontare del salario, compresa la parte che viene accantonata per la pensione. Del resto, questa è già la dinamica in nuce dei lavoratori autonomi di seconda generazione, che tendono, individualmente però, a trovare una soluzione per la questione della pensione.

In sintesi bisogna avere idea che è finita una certa idea di stato, come immediato e meccanico prodotto risultante dal conflitto tra le classi, mutuata direttamente da Hegel e Ricardo. Da Hegel perché è il processo dialettico del conflitto tra le classi che crea la forma-stato, da Ricardo perché la razionalità economica che informa l'attività dei soggetti e ne condiziona l'aspetto legislativo. Oggi questo schema sembra essere in difficoltà: i processi di globalizzazione impongono una ridefinizione dei confini dei flussi commerciali, dei percorsi linguistici e delle affinità culturali; pertanto riferirsi alle stato con una logica prettamente rivendicativa caratteristica del ciclo politico-economico cosiddetto taylorista parrebbe non avere più senso. Diversa invece la strategia dell'esodo che a partire dagli anni Ottanta numerosi soggetti hanno praticato in Europa in un ventaglio di posizioni fondate sul rifiuto: del lavoro, di rappresentanza politica, sindacale, di visibilità. In una parola si sono resi indisponibili scegliendo la via della rivendicazione anziché quella della sottrazione di sé alle istanze istituzionali. Del resto anche Deleuze in più occasioni ha evidenziato come il "nomadismo" sia stato ed è forse il tratto caratteristico dell'antagonismo soggettivo di questa fase storica.

Da un certo punto di vista la pretesa supremazia dei popoli stanziali su quelli nomadi così tanto accarezzata dalla storiografia occidentale risulta essere pura leggenda. Quella mongolica è stata l'unica invasione invernale della Russia svoltasi con successo. L'attività nomade imponeva un non luogo della proprietà privata sulle terre e sulle donne; la supremazia militare derivava esclusivamente dalla velocità in battaglia ovvero dalla capacità di mettere "un mare d'erba fra sé e il nemico". All'opposto, nei popoli sedentari si è assistito allo sviluppo di un senso religioso avviluppato sul'identità e tendente al fanatismo e un senso artistico talmente raffinato da rasentare la decadenza.

Allora, ritornando alla questione dell'impresa sociale, crediamo che se ne possa dare un primo quadro concettuale: essa deve essenzialmente essere in grado di sottrarre spazi allo stato, pur accettando di relazionarvisi tatticamente, ma permettendo il costituirsi di dinamiche sociali almeno al proprio interno non di tipo capitalistico, finalizzate alla produzione di merci e servizi aventi in sé un grado aggiunto di valore sociale e d'uso. Per sfuggire alla volontà di potere e di sussunzione che lo stato, tramite la sua semplice esistenza, tende ad attuare, è necessario confrontarsi e agire su un livello tecnologico e di conoscenza dei saperi di alto livello.

Insomma bisogna sapersi sporcare le mani costruendo progetti concreti, anche di alto profilo tecnologico, che diano da vivere a chi ci lavora, ma che al contempo rendano trasparente le ragioni e la necessità sociali a un'utenza più ampia. Le risorse umane ci sono, come crediamo di aver dimostrato con la pubblicazione del questionario dei centri sociali. Probabilmente ciò che manca è la piena consapevolezza del mutamento di fase epocale che stiamo vivendo. L'esperienza della modernità crediamo si debba esplicare nell'accettazione creativa di questa sfida. Bisogna riempire di senso sociale l'horror vacui della postmodernità. Buon lavoro.