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SCUOLA UNIVERSITA' E IMPRESA
Scienza dell'educazione in lotta
Dal 13 al 18 febbraio gli studenti di Scienze dell’Educazione hanno occupato la facoltà di Scienze della Formazione di Firenze. L’occupazione é stata un ulteriore passo all’interno di un percorso di lotta e denuncia cominciato dagli studenti nel dicembre 1997. Il motivo scatenante della protesta é stata la presa di coscienza da parte degli studenti della profonda assurdità della situazione in cui si trovano. Inserita in un processo di continui aggiustamenti in vista di una sempre maggiore tecnicizzazione e professionalizzazione della formazione (a discapito quindi del sapere inteso come formazione del sé, della propria capacità di critica e di progettazione di scenari diversi); la nostra facoltà si scopre però incapace anche di fornire una qualifica realmente valida. La critica quindi si muove su due fronti: da una parte una protesta più interna alla facoltà contro la progressiva mercificazione dei contenuti della formazione (ci vengono propugnati discipline come “formazione e gestione delle risorse umane”), dall’altra un rifiuto della logica del mercato attuale che richiede sempre più operatori del sociale intesi come meri tecnici disposti a destreggiarsi nella giungla delle cooperative e del lavoro flessibile e precario.
In questo senso però la lotta rischia di essere corporativa se non si tenta di uscire dalla morsa della logica di scambio (studio in cambio di lavoro) in cui questa facoltà ci costringe, per affrontare nella sua interezza il problema da un lato del diritto allo studio e delle controriforme, dall’altro della funzione di operatore sociale quale cuscinetto (a basso costo) delle contraddizioni sociali.
L’educatore professionale è attivo sul territorio nazionale fin dagli anni sessanta, ma il primo riconoscimento ufficiale è avvenuto nel 1984 con il decreto Degan. Questo documento prevede, quale requisito minimo per l’accesso alla professione di “Educatore Professionale”, solo due anni di un qualsiasi corso post-secondario appositamente creato senza perciò precisare alcun titolo specifico.
Durante i primi anni novanta la Regione Toscana ha creato una scuola regionale per educatori in conformità alle norme europee, determinandone anche la chiusura negli ultimi anni proprio per lasciare spazio agli educatori professionali formati a Scienze dell’Educazione (ex-Pedagogia). Infatti dall’anno accademico 1991/92 la laurea in Pedagogia è stata trasformata nel corso di laurea di Scienze dell’Educazione, il quale prevede un indirizzo specificatamente citato come “educatori professionali”. Nonostante ciò, dal momento della sua attivazione ad oggi, nessuno si è interessato concretamente al riconoscimento legale di tale titolo. Per cui i neolaureati (attualmente 60, ai quali entro marzo se ne aggiungeranno altri 80) non possono accedere alle professioni per cui hanno studiato. Ancor più grave appare la totale disinformazione riguardo a questo problema portata avanti da parte della presidenza della facoltà e dei responsabili del corso di laurea.
A ciò si somma una duplicazione sconsiderata di curriculi formativi per educatori, tra cui il diploma di laurea per “tecnico dell’educazione psicosociale e psichiatrica” afferente alla facoltà di Medicina (si veda il decreto Bindi n° 57 del 17/01/97) che è l’espressione più chiara di una politica (baronia?) medico-psichiatrica. Questo diploma riduce le competenze educative solamente alla scienza farmacologica che domina gli interventi clinici. E’ implicita una visione del disagio sociale come malattia da trattare quindi con cure e controllo. Inoltre in questo modo si alimenta la “guerra tra poveri” fra gli operatori sociali: il lavoratore senza titolo ma con anni di esperienza é in competizione con il laureato senza esperienza che a sua volta é in competizione con l’educatore diplomato.
Quanto finora descritto è solo un aspetto, a noi più vicino, della mercificazione delle politiche sociali, facilmente riconducibile ad un progetto neo-liberista ben rappresentato dall’Ulivo e dalle “sinistre” al governo dell’Europa.
LA CONTRORIFORMA DELL’UNIVERSITA’ (MARTINOTTI)
La proposta Martinotti é in continuità con la legge Ruberti (1990), in più la completa e la peggiora. La riforma, con la scusa di semplificare la burocrazia dell’Università, le conferisce i caratteri di organizzazione aziendale in cui si applica il principio della differenziazione competitiva tra ateneo e ateneo, niente affatto innovativo se si considera l’enorme divario già esistente tra sud e nord. La contrattualità, poi, introduce una ulteriore differenziazione tra studenti. In questo senso l’autonomia e la conseguente competizione tra atenei, sono un formidabile incentivo a tutte quelle nicchie di baronato che approfitteranno degli ulteriori spazi così aperti. In effetti in tutta la riforma non vengono toccati problemi reali come quello della gestione della docenza: primo fra tutti il sistema di cooptazione dei ricercatori nei concorsi. In secondo luogo le penalizzazioni che subiscono già da tempo gli ambiti di ricerca umanistica nei confronti delle materie scientifiche più funzionali al mercato.
Per quanto riguarda il metodo ci sembra inaccettabile che una riforma complessiva del sistema di istruzione possa farla il Ministro da solo avvalendosi della delega strappata al Parlamento un anno fa.
L’approvazione della Riforma avverrà tra luglio e settembre (come sempre), escludendo in questo modo il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati: studenti, docenti e non docenti.
La nostra contrarietà non si esprime tanto nella critica a singoli articoli ma in un rifiuto complessivo delle conseguenze che questa legge comporterà nella possibilità di accedere a un sapere garantito per tutti che viene messo fortemente in pericolo dall’aumento vertiginoso delle tasse e da una forte selezione durante tutto il percorso universitario.
Oltretutto il fiorire di una serie di “progetti finalizzati” , corsi attivati e disattivati secondo le direttive che partono dalle aziende, peserà moltissimo sul bilancio degli atenei e gli studenti ne ricaveranno soltanto “ finestre di opportunità” dedicate a chi se le può permettere.
Lo studente previsto dalla riforma si arrabatta per trovare i soldi, accumulare i crediti e difendere la spendibilità del proprio curriculum, il tutto in assoluta solitudine, perché in simili condizioni la solidarietà tra chi proviene da esperienze diverse non può esprimersi in forma matura.