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YANKEE

Via le basi americane


Lo scorso 14 febbraio è stato effettuato un presidio di massa davanti all’ingresso principale della base USA di Camp Darby, tra Livorno a Pisa. L’iniziativa, convocata dal movimento antagonista toscano e dalla Confederazione dei comunisti/e autorganizzati ha rappresentato la prima mobilitazione svoltasi in Toscana contro la minaccia USA di un intervento militare in Irak.
L’utilizzo della carta irakena, di Saddam Hussein, da parte degli Stati Uniti è stata fatta per riaffermare la supremazia sulla nascente Unione Europea. Sulla pelle degli irakeni si gioca un conflitto simulato molto ampio che vede scontrarsi gli USA ed il nascente imperialismo della borghesia europea; un confronto a cui il terreno della competizione commerciale sta sempre più stretto.
Per questo la parola d’ordine “via le basi americane” e la lotta contro l’imperialismo americano non può essere disgiunta da quella contro l’imperialismo europeo.
CAMP DARBY, COLTANO, CISAM, PORTO DI LIVORNO, AEREOPORTO DI PISA, FABBRICHE D’ARMI: CHIUDERE TUTTE LE SERVITU’MILITARI
Volava a meno di cento metri dal suolo. Spadroneggiava come sempre tra le montagne e le case quando quel cavo della funivia ha osato intromettersi nella sua “missione”. Militari, giornalisti, governanti si chiedono a vicenda se sia stato errore dell’uomo o della macchina; qualcuno osa adombrare che la tragedia nasconda inconfessabili peccati di “rambismo”.
E’ la strage di Cavalese, più volte annunciata dagli abitanti di quelle valli trentine su cui calano come falchi rombanti i voli di allenamento di Aviano:
addestramenti per la nuova guerra, quella delle armi “intelligenti”, dei radar da evitare con voli super radenti. E, stavolta, in questo gioco di morte, in questo massacro simulato, la strage ha cessato di essere virtuale. Ha portato con sè lacrime vere quasi sepolte dal mare di quelle di coccodrillo, dall’ “indignazione” di chi vuole il mantenimento delle cause che queste morti hanno provocato: fuori da ogni ipocrisia, non è difficile capire come giocare alla guerra porti la morte.
Come allenarsi ad uccidere porti ad uccidere.
In Trentino come in Bosnia, in Somalia, nel Golfo Persico.
Militarizzare i territori, concepire montagne e mari come campi di battaglia sotto il dominio dell’esercito: questa logica porta ad uccidere. Ricordiamo il “pattugliamento” dell’Adriatico. Ricordiamo la Kater I Rades: un altro “tragico errore” o un’altra strage annunciata?
Nel Golfo Persico. Come nel ‘91, la macchina bellica americana si è rimessa in moto in tutta la sua potenza.
Sette anni fa l’operazione Desert Storm, propagandandò la liberazione del Kuwait, copriva gli interessi USA e occidentali nell’area petrolifera. In questi sette anni, l’embargo imposto dai vincitori ha affamato e ucciso il popolo iracheno, senza per altro intaccare il regime di Saddam.
Non sono bastati le migliaia di morti di sette anni fa. Di nuovo gli USA vogliono intervenire in un’area del mondo artificialmente tenuta ad alta tensione. La guerra, la distruzione e la morte per il popolo iracheno sono questa volta gabellati come “un contributo alla pace internazionale”.
Camp Darby, Aviano, Sigonella si preparano a tornare a diffondere morte.
La fedeltà agli USA del governo di “sinistra” non è messa neanche in discussione dalla diversa strutturazione delle alleanze rispetto a sette anni fa. Ci si nasconde dietro i moniti di Scalfaro, “fare l’impossibile per evitare la guerra”, ma il governo chiarisce che, nel caso fosse fallita la missione di Annan le basi sarebbero state messe a disposizione per l’attacco.
L’Ulivo accetta supino la scelta del massacro, ormai cronicamente indifferente al destino dei popoli. Come è stato con i Somali, con gli albanesi, con i curdi, come è tutti i giorni con i migranti dal sud del mondo.
Qualunque dubbio avesse sollevato la strage di Cavalese sulla liceità della presenza delle basi USA e NATO sul nostro territorio, ora è cancellato; tutto è di nuovo avvolto nel silenzio opportunista dei complici, quelli che poi verseranno nuove, inutili, ipocrite lacrime.
Nella nostra zona questo significa innanzitutto la base di Camp Darby, importante centro logistico di armi e i rifornimenti.
Questo è il senso di quei bunker seminascosti tra gli alberi e protetti dal filo spinato: supporto logistico alle operazioni militari nel Mediterraneo. Di quella striscia di territorio rubato che corre tra Tirrenia e Livorno.
Eppure questa ovvietà sembra sfuggire agli occhi di chi, bottegai di Tirrenia in testa - e poi Ascom e PDS che ne è diventato sponsor politico, piange il suo ridimensionamento e la ricollocazione in Francia di 150 avieri. Sfugge anche a chi, come Brunale del PDS e Paissan dei Verdi, si fa carico di un’interpellanza parlamentare sull’argomento.
Ben strana posizione quella dei Verdi: hanno minacciato la crisi di governo sul coinvolgimento bellico e al contempo lamentano il ridimensionamento di una di quelle basi che lo rende possibile.
Per la corta memoria di questi, e per fornire strumenti di riflessione ed agitazione ripresentiamo la base di Camp Darby, ripercorrendone velocemente la storia.
Camp Darby 2.000 ettari di terreno interno al Parco Naturale Migliarino-San Rossore.
Ottobre 1951: il Consiglio comunale di Pisa è chiamato a pronunciarsi sulla cessione agli Usa della zona di Tombolo, discussione, in realtà, inutile poichè l’area in questione è già stata ceduta, con accordo segreto, dal Ministero della Difesa, il golpista Randolfo Pacciardi.
Inizia così la militarizzazione della pineta tra Pisa e Livorno ad opera dell’ 8° U.S. Army Support Group.
Un’area vastissima attrezzata con magazzini e bunker in larga parte sotterranei, supporto logistico per tutte le forze operanti a Sud del Po, in particolare nel bacino del Mediterraneo e in Nord Africa. Base che acquista sempre maggior rilevanza con la mediorientalizzazione del nemico dopo il crollo del muro di Berlino, la bancarotta del “socialismo reale” e la trasformazione dell’Est in mercato da saccheggiare.
Nata appunto nel 1951 come base temporanea per i rifornimenti alle truppe Usa in Austria e in Germania meridionale, la base qualifica ben presto la sua funzione: da qui partono le munizioni per i B 52 che vanno a massacrare il popolo vietnamita (quando la guerra chimica non era appannaggio del “mostro” Saddam); da qui prendono il volo, tramite la triangolazione dell’Irangate che faceva perno intorno al porto toscano di Talamone, i rifornimenti per i Contras del Nicaragua; da qui partono la maggior parte delle armi e delle munizioni per i soldati a stelle e strisce durante l’operazione Desert Storm nel ‘91.
A qualificare invece la “presenza sul territorio”, sono i rapporti con fascisti, servizi segreti e P2.
Nel 1974 e poi nel 1980 vengono alla luce i campi paramilitari per i fascisti all’interno della base: documenti “scottanti” sono rinvenuti il 28/12/74 a casa del fascista veneto Marcello Soffiati e, sei anni dopo a Nizza, presso quello toscano Marco Affatigato. Si scopre così che gli americani hanno consentito un “seminario” su “uso delle armi e studio delle tecniche investigative”, tenuto da Gianni Bandoli, appartenente a Ordine Nuovo, uomo chiave del neofascismo veneto. Connesso a Bandoli è Amos Spiazzi, colonnello protagonista della trama golpista (1974) denominata “Rosa dei Venti”. E’ Spiazzi a tenere i contatti con un maresciallo dei servizi segreti in contatto con la P2 operante a Tirrenia. Sempre a Tirrenia ha sede la Loggia Massonica “Franklin” per ufficiali americani e quì risiede Enzo Giunchiglia, reclutatore P2 per conto di Gelli. Un intreccio di signori delle stragi riportato agli onori delle cronache dalla cosiddetta vicenda Gladio e dalle requisitorie del giudice istruttore Felice Casson. Intreccio noto, appunto, dal ‘74 eppure insufficiente a far mettere in discussione presenza e ruolo della base.
Non solo Camp Darby
La presenza USA non si limita all’occupazione della zona di Tombolo. Lì vicino, a Coltano, sorge la principale stazione di telecomunicazione Usa in Italia che comprende, tra le altre, il centro AUTODIN (Automatic Digital Network) del terminale di comunicazione via satellite AN/GNC. Si tratta di una delle tre basi europee della rete AUTODIN: da lì dovrebbe passare l’ordine di un eventuale attacco nucleare.
Territorio militare americano è inoltre una parte dell’aereoporto pisano di San Giusto, contemporaneamente civile e militare, a sovranità italiana e statunitense. Pista di decollo e atterraggio in mezzo alle case di uno dei quartieri proletari più degradati della città, Cavalese potenziale, base di lancio per le avventure muscolari degli yankee. E inoltre il porto di Livorno, destinato a vedersi attraversare dalle armi e dai rifornimenti per tutte le guerre degli yankee.
Una svendita pagata in salari per il carico e scarico delle merci.
A fianco e insieme agli americani, intrigati nelle stesse logge massoniche, sono quei militari italiani che si accaparrano altri frammenti di territorio: a San Piero a Grado, praticamente adiacente a Camp Darby, c’è il CISAM, ex Cresam, centro di studi militari, nato nel 1955 come centro di ricerca nucleare connesso alla Marina Militare Italiana (all’epoca il centro si chiamava Camen). Negli anni ’70, con l’accantonamento del progetto di fornire la Marina di un motore a propulsione nucleare, il reattore del Camen è messo a disposizione dell’industria nucleare italiana. Poi, con gli anni ’80 e le guerre stellari, i campi di ricerca si allargano a nuovi settori tutti coperti da segreto militare.


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