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LAVORO
Il nuovo contratto FS
Questo articolo vuole dare un’idea della natura del contratto FS comprensibile anche a chi non ne sia coinvolto direttamente: per le particolarità di un contratto e di un servizio “tecnico” come quello ferroviario le difficoltà erano molte, speriamo di averle superate. A parte, ci torneremo in futuro, andrà fatto il discorso politico sullo stato delle Ferrovie, sulla natura delle FS SPA di collettore del malaffare, di servizio “tecnico” dalla quale dirigenza sono stati quasi integralmente estromessi chiunque avesse competenze specifiche. Ad oggi, dopo il “rimpasto” del Consiglio di Amministrazione vi è un amministratore delegato che viene dalla chimica pubblica, un presidente che viene dalla RAI, il consigliere che per “competenza” si avvicina di più al fatto-ferrovia è un professore di trasportistica… in queste condizioni, nella tanto conclamata filosofia liberista della “professionalità” e della “meritocrazia” appare stupefacente non tanto che il treno vada così male ma che vada in un modo qualsiasi. E un altro discorso articolato merita il ruolo del sindacato confederale, passato ormai definitivamente dal ruolo di “lobby degli iscritti” a padrone dei lavoratori. Un ruolo funzionale e fondamentale, una vera precondizione, nella logica del profitto, della ruberia e del disastro.
Cominciamo da una considerazione: da quando le FS sono diventate una Società per azioni servizio al pubblico, condizioni di lavoro interne, sicurezza dell’esercizio, in una parola la qualità generale delle prestazioni erogate dall’impresa non sono migliorate ma, anzi, sono drasticamente peggiorate. In compenso sono aumentati: incarichi “manageriali” retribuiti fuori ogni controllo, giro di affari – sporchi – intorno agli appalti ed alle opere, carico penale sulle varie dirigenze succedutesi in questi anni. Incidenti mortali con una frequenza mai vista prima.
Volendo partire con una conclusione possiamo tranquillamente affermare che la privatizzazione di un servizio strategico come il trasporto ferroviario è stata una bancarotta totale, bancarotta che in questi ultimi mesi è arrivata ad un livello tale che le normali operazioni di cosmesi non ne possono più coprire le dimensioni.
Sarebbe il caso, e ci riserviamo di tornarci diffusamente, casomai in un prossimo articolo, su quella che è la comunicazione riguardo a questo problema, su come, in pratica, l’informazione abbia registrato, analizzato e fatto circolare non tanto i commenti quanto i dati di questa che possiamo tranquillamente definire la campagna di sterminio contro il trasporto collettivo su rotaia e il diritto di sciopero dei lavoratori ad esso addetti.
Perché se le vicende delle ferrovie hanno un significato al di là dell’orizzonte categoriale, lo hanno proprio su questo punto: la rottura dei diritti dei lavoratori e la reintroduzione di forme di militarizzazione del lavoro.
Sotto questo aspetto la lettura del contratto ha un interesse più generale. Al capitolo 5, “Diritti”, vengono definiti tutta una serie di punti: le pari opportunità, i diritti del “cliente-utente”, quelli dei portatori di handicap…non c’è una parola riguardo al diritto di sciopero e la cosa appare tanto più importante in quanto la questione è costantemente al centro del dibattito politico e sindacale.
Non inserire contrattualmente gli accordi interconfederali – stipulati dalle stesse OO.SS. firmatarie – appare come una contraddizione rispetto a quello che era stato al centro della discussione in questi due anni di vacanza contrattuale, durante i quali le pressioni per dare una forma stabile al piano di “servizi minimi garantiti” erano state fortissime. Si può dedurre la scelta di andare verso una forma diversa, legislativa come pare la linea aziendale e del Ministero, giudiziaria come vorrebbero i “falchi” della Commissione di Garanzia.
Certo che la museruola con la quale si sta preparando la militarizzazione del conflitto di lavoro nel settore trasporti è in fase di avanzata costruzione: le delibere della Commissione, le precettazioni al 100% del personale previsto, le pressanti richieste di denuncia penale avanzate dalla dirigenza Confederale – non dimentichiamo che esiste il reato penale di interruzione di pubblico servizio – sono strade che tendono a convergere in un unico punto. L’abolizione del diritto di sciopero nei trasporti, una abolizione di fatto se non di diritto.
“Uno sciopero formale, una volta ogni quattro anni, con i treni assicurati soprattutto nella parte merceologicamente più importante” pare si sia detto al tavolo negoziale. Forse sono le solite voci ma la blindatura del panorama delle relazioni industriali fra una dirigenza “padrona” dei binari ed un sindacato confederale padrone dei lavoratori è ben presente nel Capitolo 1 del contratto, laddove si istituisce il Comitato di Partecipazione, formato da 6 rappresentanti della società (le società?) e 6 sindacalisti, che ha tutta la sostanza di un comitato di cogestione.
E sempre nel capitolo 1 del contratto, laddove si fissano gli obbiettivi strategici, l’unica cosa chiara è la riconferma del piano di impresa, quel piano che prevede il “contenimento” del costo del lavoro in 2650 miliardi il che significa un esubero di 28 mila lavoratori – sempre che la dirigenza non continui ad allargarsi e ad aumentarsi i compensi perché, in tal caso, gli esuberi potrebbero essere ancora di più.
Gli obbiettivi dell’azienda fissati nel capitolo 1, poi, sono tutto e il contrario di tutto: si dichiara l’unicità dell’impresa e la societarizzazione, si prefigurano aumenti macroscopici di produttività e liquidità di fronte a ridicoli incrementi di treni/km… il che significa in concreto più sfruttamento delle risorse umane, incremento dei servizi “di qualità” – ma è più probabile una nuova riclassificazione dei treni, vuoi vedere che anche gli ultimi espressi diventeranno, chissà?, “CityStar” con supplemento speciale obbligatorio? - abbandono dei servizi non remunerativi, soprattutto nelle tratte secondarie.
Ma torniamo al contratto.
Un altro punto fondamentale di questa tornata contrattuale è il punto dell’orario di lavoro. Forse su questo il contratto firmato in questi giorni è veramente “innovativo”. Ricordiamo che la prestazione settimanale media è, in ferrovia, di 36 ore e 34 per i servizi di manovra (un discorso a parte, naturalmente, vale per il personale di macchina dove c’è da distinguere fra orario di condotta e orario di servizio). Fuori si discute di ridurre l’orario, in ferrovia…
Il nuovo contratto prevede che, fermo restando questi valori medi, le prestazioni settimanali potranno oscillare fino ad un massimo di 42 ore settimanali per un massimo di 20 settimane, prestazioni che saranno da considerarsi obbligatorie, non retribuite come straordinario, recuperabili a discrezione dell’azienda. Il contratto prevede lo straordinario solo oltre tale prestazione (per capire 42 ore sono – per dire – sei giornate a 7 ore, cioè nella stragrande maggioranza dei servizi un giorno in più di lavoro alla settimana per 20 settimane che sono quattro mesi! Alla completa mercé dell’impresa.) Per tenere “ordine” in questa situazione l’art.49 del contratto prevede la banca del tempo (Conto tempo individuale) che fornirà al lavoratore un “estratto conto mensile” in cui, a partire dal 1.3.98, confluiranno le prestazioni individuali. L’azienda ha 120 giorni per rendere disponibile il recupero di queste maggiori prestazioni, dopodiché verranno retribuite come straordinario feriale diurno anche se sono state maturate in festivo o in notturna (con un certo risparmio per l’azienda, visto che la differenza fra un’ora feriale diurna e una festiva notturna è di un 35% abbondante). Il danno in questa nuova normativa non sarà certamente per gli straordinaristi a oltranza che non avranno difficoltà a procrastinare i recuperi oltre il 120° giorno quanto per tutti coloro che gli straordinari non li fanno che saranno a disposizione dell’azienda non solo per il tempo di lavoro aumentato ma anche per il loro tempo libero, che verrà gestito direttamente dalle ferrovie (per chi non lo sapesse ai lavoratori FS sono garantiti 15 giorni solari di congedo estivo – fra il 15 giugno e il 15 settembre – ma, con l’onnipresente clausola delle “esigenze di servizio” può essere anche imposto il congedo d’ufficio. Fatto sta che fra il personale d’esercizio non esiste quasi nessuno che non concluda l’anno con almeno 10-20 giorni di ferie arretrate non fruite).
Riguardo alla prima sezione del contratto le ultime due cose che vanno ricordate sono il capitolo 12 che istituisce l’Osservatorio sul Contenzioso (ancora paritetico: 4 FS e i 4 sindacati, confederali più FISAFS) che ha il compito di spartire i benefici dei contenziosi seriali (in ferrovia sono un giro di affari che mantiene centinaia di avvocati) e che, a tutta prima, appare una interessante fonte di approvvigionamento finanziario per i sindacati di stato che, per questo, hanno imposto il numero chiuso rispetto alle altre sigle… perché spartire in tanti?
E infine il capitolo 13 riguardante la formazione professionale: in un confuso e prolisso discorso non emerge una politica chiara di aggiornamento professionale rispetto alle nuove tecnologie ma si intravede un progetto di drastico ridimensionamento delle scuole professionali che erano un fiore all’occhiello delle ferrovie e un grosso patrimonio di sapere applicato. Ma come nella società civile ad una azienda che non ha nessun interesse alla qualità professionale del personale ma cura soltanto l’apparenza, cosa può servire una scuola efficiente?
La seconda parte del contratto tratta della mobilità e del trattamento economico.
Chi ha seguito anche marginalmente i fatti della ferrovia in questi ultimi mesi ha sentito parlare dei prepensionamenti incentivati che si sono attuati a fine 1997. Questo precedente inficia fortemente la dichiarazione contrattuale dell’azienda di non procedere a provvedimenti unilaterali di ridefinizione delle piante organiche (ma di atti unilaterali con i sindacati confederali non ce ne sembra essere la necessità).
In “caso di eccedenze di personale” (bella l’ipocrisia di quel “in caso”) si agirà attraverso la mobilità volontaria, anche territoriale, anche professionale; mobilità volontaria verso le località di carenza (?!); il part-time volontario orizzontale (tot ore al giorno), verticale (tot mesi all’anno), “di coppia” (due lavoratori al prezzo di uno! Vedi coop)… trasferimento entro 60 minuti di percorrenza treno (calcolati come non lo si dice; è cosa non da poco perché con un’ora di ETR si va in un luogo e con la stessa ora di locale in un altro) all’interno o meno della stessa struttura e dello stesso settore professionale… a parte che con una flessibilizzazione del genere sarà prima o poi necessario dotare le ferrovie di una rete di fisioterapisti dobbiamo anche notare che questo porterà ad un appiattimento verso il basso delle diverse professionalità ferroviarie con conseguenze difficilmente quantificabili sulla qualità del servizio e, in sostanza, sulla sicurezza.
Oltre a queste flessibilità, volontarie e meno, ci sono due istituzioni abbastanza “originali”: l’attivazione di imprese autonome nell’ambito dell’indotto ferroviario (ci vengono alcune idee in mente sulle possibili applicazioni pratiche: sono inquietanti nel settore della commercializzazione e della manutenzione) e il tanto chiacchierato fondo di sostegno. Questo fondo è importante perché i lavoratori, in questa prospettiva, finiranno per finanziare la loro espulsione dall’azienda: nel fondo “potrebbe” (il contratto dice proprio così) confluire non solo una percentuale del salario ma anche una percentuale degli arretrati contrattuali (fino al 40%). Dato che il piano di impresa ipotizza un taglio alle spese del personale di 2650 miliardi la prospettiva appare piuttosto contraddittoria e pericolosa.
Sul piano delle retribuzioni, fermo restando che due anni di vacanza contrattuale sono state una riduzione di fatto del salario, va detto che vengono trasformate molte voci del salario accessorio in forma che le mantiene pensionabili ma che le esclude dal computo per il TFR (la liquidazione): un calcolo frettoloso porta a ipotizzare una riduzione del TFR fra i 5 e i 30 milioni, a seconda dell’età e della qualifica professionale del lavoratore. Anche la tanto sbandierata una tantum che copre i 18 mesi di vacanza contrattuale è una solenne fregatura, primo perché copre solo il 60% di quanto un lavoratore avrebbe percepito secondo le nuove tabelle stipendiali fra il 1.1.96 e l’1.7.97 (a un parametro medio le ferrovie hanno risparmiato 600 lire a lavoratore non chiudendo il contratto nei termini) e anche questo viene escluso dal computo del TFR.
Insomma, tutta la parte del salario tende verso una riduzione di fatto, sia come salario diretto (le tabelle delle competenze accessorie restano quelle precedenti) ma soprattutto come salario differito.
Concludiamo questa analisi del contratto dei ferrovieri occupandoci della parte normativa e disciplinare, dove anche emergono nuove e più raffinate di truffa.
Un concetto semplice come il rispetto dell’orario di lavoro – la cui mancanza può essere causa di risoluzione del rapporto di lavoro – viene ad essere decisamente modificata dall’istituzione del Conto Tempo Individuale: l’ordine di servizio non sarà più contestabile in presenza di sovraccarichi…
Un articolo particolarmente colpisce, il 102 dove, fra le varie cause di licenziamento senza preavviso, si contempla il percepire illeciti profitti a danno dell’utenza: sicuramente servirà ad altro ma potrebbe causare una strage fra la dirigenza e il funzionariato aziendale!
Altro concetto interessante è la blindatura dei collegi di conciliazione e arbitrato (le istanze dove si contestano multe o contestazioni disciplinari): d’ora in poi solo le OO.SS. firmatarie del contratto potranno tutelare coloro che ne richiedono la convocazione. Attualmente il lavoratore può essere assistito nella maniera che preferisce, anche da un collega “di sua fiducia”… questa norma è fra l’altro in contrasto palese con lo statuto dei lavoratori che garantisce l’autodeterminazione del lavoratore.
Sul TFR abbiamo detto più volte: questo contratto l’ha preso particolarmente preso di mira svuotandolo di molte voci e riducendolo pesantemente: si aggiunga che una parte cospicua di quanto residua (il 18% per i “vecchi” ferrovieri e il 100% per gli assunti dopo il 28.4.93, oltre ad un ulteriore 1% sulla base stipendiale) finirà nel costituendo Fondo Pensioni Complementare che, seppure attualmente su base “volontaria” , rischiano di diventare presto obbligatorie e, soprattutto, lasciano inalterate tutte le preoccupazioni possibili sulla gestione di questo Fondo soprattutto perché non si fa una minima parola di chi avrà la gestione materiale di questa massa di denaro. Si parla insistentemente del Sindacato confederale: la preoccupazione diventa un obbligo.
Ma a proposito di nuovi balzelli come non concludere con l’istituzione del fondo sanitario integrativo, anche qui definito volontario e paritetico fra lavoratore e azienda, di importo previsto – a regime – di 140 mila lire annue… un’altra breccia nel muro del “pagheremo tutto”!
Attualmente non sono in circolazione gli allegati al contratto, solitamente in questi protocolli ci sono cose molto importanti: vedremo e casomai aggiorneremo la situazione.
Concludendo, gli aspetti fondamentali del contratto sono l’introduzione delle norme sulla flessibilità d’orario, sulla mobilità territoriale e il deciso ”alleggerimento” del costo del lavoro attraverso gli interventi sul salario differito. Ora, a parte le disinformazioni giornalistiche sulla situazione di lavoro, il salario e le condizioni di lavoro dei ferrovieri sarà bene ricordare che in questi anni la stessa – e in realtà maggiore – produzione in ferrovia è stata possibile con una riduzione del personale che in alcuni settori sfiora il 50% e una innovazione tecnologica prossima allo zero. Se questo è stato possibile è stato perché in molti settori lo sfondamento della prestazione di 36 ore settimanali non è episodico ma sistematico: questo incide sulle prestazioni dei servizi e il futuro che le norme contrattuali costruiscono non risolverà ma aggraverà questa situazione.
Anche sulla legenda degli stipendi dei ferrovieri una parola chiara: escludendo i dirigenti (Cimoli si può permettere di “ridursi” lo stipendio del 20%, da 1.000.000.000 - si legge un miliardo - a 800 milioni) il contratto non recupera neppure l’inflazione programmata. Della vacanza contrattuale l’una tantum copre il 66% del dovuto e viene corrisposta al 60% (cioè in tasca arriva il 40% del dovuto); le classi di stipendio sono fermi ai valori del 1987 e vengono ridotte, l’indennità di turno anche. Si lavora la domenica per 21mila lire, si maneggiano milioni con una indennità di cassa di 2200 lire e la responsabilità personale dell’incasso.
E certe volte si rischia la pelle.