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DISASTRO FERROVIARIO

Dopo il contratto, i licenziamenti, lo sciopero dell'11 marzo, costruire l'azione


Ad un mese di distanza riprendiamo il discorso sulle ferrovie e quanto sta succedendo intorno ad esse. Se nello scorso numero lo scopo del discorso era mettere al corrente i lettori sugli aspetti “innovativi” di un contratto di lavoro lo spirito di questa seconda puntata è diverso e più articolato. Si tratta di tre punti fondamentali: la vicenda contrattuale e post-contrattuale (i licenziamenti, il referendum dei confederali, lo sciopero dell’11 marzo); le prospettive della vertenza ferrovia e le possibili forme di azione che il movimento antagonista può sviluppare sul fronte dei servizi. A questo si dovrebbe aggiungere il fare un punto serio sulle vicende “legali” della ferrovia e sugli sviluppi della politica di societarizzazione, ma il discorso renderebbe questo articolo estremamente pesante. Così su questo ultimo argomento dobbiamo dire che le ipotesi che si accavallano in questi giorni (l’arrivo delle ferrovie olandesi come vettore alternativo, la collaborazione con le ferrovie svizzere sul piano del trasporto merci, la rinazionalizzazione della TAV e il parallelo avviarsi della TAV2-ITF) sono per una consistente aliquota puro e semplice fumo negli occhi. La realtà è che l’introduzione “della concorrenza” nel settore del trasporto su rotaia pone problemi del tutto differenti da quelli, per esempio, della telefonia. E le scelte politiche che sottendono a questa “liberalizzazione” sono ben lungi dall’essere compiute o anche impostate. Quello a cui assistiamo pare piuttosto il preliminare gioco di ipotesi che sottende ad un altro tipo di affare, quello delle contribuzioni: un atto decisamente e “semplicemente” speculativo. Argomento che finisce molto più spesso sul tavolo delle procure penali piuttosto che su quello dell’economia reale.
Ma vediamo di affrontare i temi che ci siamo prefissi iniziando dall’attualità e tenendo presente il solito discorso per il quale un mensile ha il difetto di arrivare quasi inevitabilmente in ritardo sul terreno della cronaca, per cui quando il giornale sarà “in edicola” alcune cose potrebbero essere cambiate, soprattutto potrebbe essere arrivata a conclusione la procedura arbitrale sui licenziamenti.

1. Cosa è successo dopo il contratto?
Non crei fastidio il cominciare sempre dall’aspetto economico della vicenda contrattuale delle FS: nella strategia di attacco ai lavoratori che la comunicazione di massa attua sistematicamente una parte importante la detiene la leggenda degli stipendi d’oro e dei privilegi feudali dei ferrovieri: ci sta particolarmente a cuore demolire queste panzane! Allora: i sindacati confederali hanno inondato i luoghi di lavoro di una “informazione” (ripresa al volo dalla stampa) che quantificava in 5.100 mila lire i benefici contrattuali, argomento “forte” che consentiva di sorvolare gli aspetti normativi (orario e diritti, garanzie rispetto ai servizi, modificazione sostanziale del TFR); su questa base definivano le condizioni contrattuali “il contributo necessario al risanamento aziendale”.
Delle tabelle che sono arrivate negli impianti non una e non una parola chiariva che questi “benefici economici” sono per in larga misura le competenze congelate nella “vacanza contrattuale”: soprattutto una voce è particolarmente importante da sottolineare. Da tre anni il cosiddetto “integrativo bis” del contratto era stato congelato: l’accordo firmato dai confederali con Necci era che questo venisse pagato in azioni della ferrovia SPA. e, se alla scadenza contrattuale l’azienda non fosse stata “risanata” e quotata in borsa, sarebbe stata corrisposta in denaro. Quei soldi, quindi, fanno parte del vecchio contratto, salario sottratto per anni e di cui non viene neppure corrisposto l’interesse di legge. Nessun benefici contrattuale, quindi, se non 1 milione lordo l’anno, in cambio delle pesanti decurtazioni alla tredicesima e al TFR di cui abbiamo scritto nel numero precedente.
Non ostante questo le condizioni normative sono state forse l’argomento che più a scatenato la reazione dei lavoratori: a questo rifiuto la direzione ha risposto con la nota vicenda dei licenziamenti (non è casuale che siano stati presi di mira i macchinisti proprio perché il CoMU non ha firmato il contratto!) e i sindacati con la sceneggiata del referendum. Perché la posta in gioco di questo scontro è una prova sulla licenziabilità dei lavoratori pubblici (o ex tali): “Sole 24 ore” riporta un Cipolletta che forse con troppa enfasi paragona i licenziamenti FS con quelli dell’81 alla FIAT, i sindacati vanno all’attacco con lo slogan “Contratto sì, licenziamenti no” del potere che si è ricavata negli anni e che gli istituti “paritetici” del contratto sembrano garantire. Il referendum sul contratto è un pasticcio congegnato male, fin dall’inizio i confederali “ne chiariscono” il significato “soltanto consultivo”… ma una certa importanza ce l’ha e per questo riportiamo un po’ di dati.
Non è per far “colore” ma rimandiamo agli articoli di stampa (fuori da ogni sospetto, Repubblica che non ama certo i ferrovieri, è stata esemplare nella accusa di broglio) sul clima che si è vissuto nei giorni del referendum. Noi diamo alcuni numeri perché facciano capire le dimensioni della cosa:
Il commento a queste cifre (di fonte sindacale, perché non ne esistono altre – di fonti), al di là di tutte le considerazioni su come si è votato (in alcuni seggi è stata addirittura chiamata la Polfer per far rispettare la decenza minima) è politico: metà dei votanti circa ha detto no e il 40% dei ferrovieri non si è preso neppure la briga di andare a votare…
Chiunque dovesse fare un governo con queste cifre preparerebbe nuove elezioni: Cofferati parla di vittoria!
Fra le altre cose possiamo notare che il contratto è stato bocciato in compartimenti significativi come la Toscana, l’Emilia, il Piemonte, la Campania. Compartimenti che sono “roccaforti” sindacali. Nel Lazio stesso, non ostante il Ministero, è “passato” per 100 voti, in Veneto soltanto di 5 (cinque)!
Ancora: nella Toscana è stato bocciato alle Officine del Romito (no al 64.92%), a Firenze SMN (no 55.40%), a Prato/Pistoia (68.49%) a Empoli (67.10%), a Pisa stazione (82.35% di no!) e Officina (84.09%), a Lucca con il 78.28% di no… Per essere precisi e corretti è “passato” negli Uffici (dove però è sintomatico che le percentuali di voto siano ancora più basse della media, come all’ex Compartimento dove ha votato il 53.57% rispetto alla media del 64.69) e alla stazione di Firenze Campo Marte (dove sono stati aggregati gli uffici della ex Unità speciale, quella della TAV)… a Siena, alle officine di Porta al Prato (che dalla creazione del polo tecnologico “prevista” dagli accordi TAV vedono dipendere il loro futuro, Osmannoro o Bologna)… allora, contratto colpito e affondato!
Nemmeno un po’!
Il disastro di FirenzeE la lotta comincia ora: innanzi tutto sia chiaro a chi legge che la “sospensione” dei licenziamenti è un atto per prassi comunemente accettato pendente un procedimento di arbitrato e, quindi il fatto “vittorioso” a cui gridano i confederali per giustificare la revoca dello sciopero del 13 marzo, non è altro che fumo. E, più ancora, il risultato di un grave imbarazzo –lotta di potere- fra il vertice confederale (che lo sciopero non l’aveva mai voluto) e direzione sindacale di categoria (soprattutto la FILT CGIL) che non poteva lasciarsi scavalcare su un argomento del genere pena la completa perdita di credibilità. E riecco il significato vero del referendum, al di là dell’aspetto dei brogli: i confederali vantano in ferrovia 71000 iscritti (32mila la CGIL, 28mila la CISL e 11mila la UIL) a cui si devono aggiungere i diversi sindacati autonomi (SMA, macchinisti, FISAFS e Unionquadri) per un altro 6/7mila tessere: neppure tutti gli iscritti dei sindacati firmatari sono andati a votare. Un dato politico che porta già le prime opportunistiche reazioni da parte di chi prevede malcontento e cerca di prepararsi a cavalcare la tigre (settori UIL in cerca di ruolo dopo lo sfasciamento del referente politico, sinistre sindacali in cerca di autore ecc.).
Si arriva allo sciopero dell’11 marzo che, al di là dei soliti balletti di cifre, vede un’adesione massiccia nel personale di macchina e la partecipazione minoritaria ma significativa di ferrovieri di tutti i settori. Questo non vuole dire che le prospettive di radicamento di una forma auto organizzata dei lavoratori in ferrovia sia ormai una strada in discesa, tutt’altro. Ma ci sono sicuramente segni di una situazione che si rimette in movimento.
Lo sciopero dell’11 marzo ’98 è stato un dato che dobbiamo anche considerare sotto un altro aspetto: per garantire la minima circolazione che in effetti c’è stata l’azienda è ricorsa massicciamente al Genio Ferrovieri. Bisogna essere molto chiari su questo punto: non solo un’azienda ricorre alle minacce verso i lavoratori, non solo il nemico di classe si costruisce le leggi appropriate e interpreta in maniera unilaterale quelle esistenti ma il governo usa l’esercito in funzione antisciopero.
Non ostante tutto lo sciopero è stato un successo del CoMU, che ha dato prova di reggere uno scontro “solo contro tutti” come si affrettava a definirlo il Manifesto (il “quotidiano comunista” alla prova dei fatti rende conto ad un pacchetto azionario di tutto rispetto in mano a settori sindacali, e “paga il dovuto”). Quanto si è mosso assieme al CoMU può essere un dato di partenza per le successive azioni di lotta, come lo sciopero proclamato per il 1 aprile (non per scherzo!): se questo sarà un passo avanti il processo di ricomposizione può avere una speranza di successo non ostante tutte le contraddizioni che lo hanno fino adesso reso difficile.
E interessante è sicuramente la nascita del Coordinamento Nazionale Unitario Trasporti (CNU Trasporti) che raccoglie alcune importanti organizzazioni del settore (nel trasporto aereo il SULTA, nel trasporto locale gli autoferrotranvieri romani ecc.) e che sta lavorando all’ipotesi di uno sciopero nazionale del settore.
Per quanto riguarda l’antagonismo riteniamo comunque arrivato il momento di fare un discorso chiaro sulla necessità di affrontare il trasporto anche dal punto di vista sociale. Su questo terreno si deve muovere l’azione di chi vede nella strategia neo liberista di attacco al trasporto pubblico non solo un attacco ai lavoratori del settore.

2. Le prospettive e le strategie dell’antagonismo.
Oggi – scriviamo alla metà di marzo – il problema è di dare un piano strategico che interloquisca con la rabbia legittima dei lavoratori e, allo stesso tempo, costruisca un fronte in grado di rimettere in discussione le scelte della politica dei trasporti. Nel rispetto delle reciproche attribuzioni l’ipotesi di uno sciopero generale dei trasporti non deve vedere assente una, seppur embrionale, organizzazione sociale dell’utenza del trasporto.
Proprio sul fronte dell’organizzazione dell’utenza l’antagonismo sociale può giocare un ruolo importante ed ha in mano carte importanti come la presenza sui territori. Esiste e deve essere perseguita con convinzione non episodica, la possibilità di una organizzazione dei lavoratori e dell’utenza su una serie di obbiettivi concreti e comuni: la politica tariffaria e di contrazione dell’offerta è l’altra faccia della politica di dismissione delle linee e dei servizi, del taglio occupazionale e dell’aumento dei carichi di lavoro. Allo stesso modo sicurezza, pulizia, assistenza…
Non si tratta di alleanze spurie fra spinte corporative dei lavoratori e particolarismi dell’utenza, sia essa pendolare o “di qualità”. E’ la stessa politica di privatizzazione che riduce il personale, comprime le condizioni di lavoro, attua una politica che non è scorretto definire “di rapina” attraverso una politica di riclassificazione dei servizi (da espresso a Intercity, da intercity a Eurostar, inserimento del supplemento rapido per il servizio interno degli espressi internazionali ecc.) che maschera soltanto aumenti tariffari. Eurostar che non sono una scelta ma l’unica possibilità di viaggiare, tratte decurtate ad ogni cambio d’orario, orari che sembrano progettati con il solo scopo di far perdere le coincidenze o costringere ad attese pesanti… Le ferrovie straparlano di “qualità” ma ben lo sanno non solo i pendolari ma anche gli utenti dei servizi di qualità, anche quelli dei “servizi VIP” preclusi alla comune utenza…
Una politica tariffaria sul servizio locale che va chiarita e considerata un potenziale terreno di scontro nella prospettiva di una ulteriore regionalizzazione del servizio: per essere chiari neppure i prezzi sono tutti uguali. Un abbonamento regionale di 40km, ad esempio, costa 66mila in Friuli, 75mila in Toscana, 87mila in Puglia… migliore il servizio pugliese? Ne dubitiamo legittimamente!
Ribadiamo che questi argomenti non possono essere lasciati ad “associazioni di consumatori” come il Movimento Federativo Democratico che vedono soltanto la precettazione dei lavoratori o alla stampa che cerca soltanto il titolo a sensazione che giustifica e glorifica lo sfruttamento del lavoro dipendente come soluzione di qualsiasi male.
La verità è che la propaganda neo liberista contro i servizi pubblici gioca pesantemente e pesantemente la carta dei “diritti dell’utenza” per perseguire la più remunerativa politica della distruzione dei diritti sociali. Rompere questa spirale di contrapposizione con la propaganda e l’organizzazione è interesse di classe e interesse sociale.
Questo si è visto in queste ultime settimane, quando il quotidiano bollettino di guerra dei mass media ha definito “disastro ferroviario” anche il pur tragico incidente del suicida al passaggio a livello.
Invece il vero “disastro” è mandare in linea i pendolini ben sapendo che per un difetto di progettazione i pantografi tranciano le linee aeree! Lo scandalo è che questo accade perché la necessità di aumentare i prezzi del Firenze Roma di 10mila lire necessitava di buttare sul piatto qualcosa, qualsiasi cosa ma subito!
Lo scandalo dell’incidente del 2 agosto a Roma Casilina è l’incredibile insipienza nel gestire un incidente, che la mancanza del personale e la disorganizzazione creata da una dirigenza inetta lasci migliaia di persone senza neppure l’informazione di quanto accade.
Perché è sulla qualità del servizio interpretata non come supersfruttamento dei lavoratori ma come definizione degli standard di sicurezza e di conforto che si può giocare una battaglia di ricomposizione, di resistenza che si trasforma direttamente in rivendicazione di allargamento dei servizi stessi.
In questo periodo, all’approssimarsi del nuovo orario estivo (mancano meno di due mesi), servirebbe che gli utenti si organizzino e si siedano un po’ più spesso sui binari e che i ferrovieri avanzino più rivendicazioni per l’ampliamento dei servizi prestati.

E che entrambi costruiscano gli strumenti comuni che perseguano questo scopo comune.

Risultati votazioni sul contratto FS



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