art715
PROCESSI E REPRESSIONE
Firenze - Parola di sbirro sentenza di magistrato
Lo scorso 17 aprile cadeva di venerdì, una coincidenza che accade al massimo un paio di volte in un anno. Quel giorno però si è ripetuto un rituale che accade molto più spesso, la repressione generalizzata degli antagonisti e dei non garantiti.
Stiamo parlando della sentenza di condanna a 5 compagni universitari denunciati per oltraggio e danneggiamento il 5 dicembre 1995, nel corso di una manifestazione studentesca.
Poco importa della reale dinamica dei fatti, ai quali peraltro gli imputati sono estranei, ma è invece rilevante la condotta istruttoria di polizia e magistratura.
Da molti anni ormai processi di questo tipo vedono in attività pubblici ministeri che evitano accuratamente di espletare le loro funzioni d’ufficio. Infatti, invece di tentare di investigare sui fatti, cercare prove, trovare testimoni o convocare gli imputati per un interrogatorio, anche in questo caso, si sono limitati a leggere e confermare i verbali della questura.
Ma la polizia non è imparziale quando si parla di compagni e, infatti, quando l’agente DIGOS Polverini, sotto le insistenze della difesa, è chiamato a rispondere alla domanda “sono stati loro?” risponde “per me si!” con un’insopportabile faccia tosta.
L’incredibile tesi dell’accusa era quindi di questo tipo: “questi studenti erano al corteo, sono stati compiuti dei reati, quindi sono stati loro in quanto noti a questo ufficio come “autonomi”.
Queste ed altre faziosità nei riguardi degli imputati non sono riuscite ad insinuare nessun dubbio nelle pure coscienze del PM e del Pretore Imposimato. Non si possono mettere in discussione le testimonianze dei poliziotti (probabilmente in quanto appartenenti ad un’altra categoria umana esente da errori), e perché i poteri dominanti devono sempre scambiarsi favori e mai scontrarsi.
Il pretore quindi, soddisfatto delle prove acquisite (?), si è ritirato in camera di consiglio ed ha partorito condanne per tutti gli imputati indicati dai “digossini”: 17 giorni per l’oltraggio, 300 mila lire di multa per il danneggiamento ed il pagamento in solido di 2.600.000 lire di risarcimento alla parte civile danneggiata, l’Università.
Per quanto riguarda l’Università è necessario spendere ancora due parole, perché come se non bastasse, dato che il danneggiamento (scritte con vernice spray) era riferito all’“intonso” muro di Lettere in Piazza Brunelleschi, al processo si è presentata, in tutta la sua lucidità, la preside della facoltà Prof. Martinelli che, autoelettasi rappresentante della parte civile, non vedeva l’ora di additare alla pubblica accusa i responsabili dell’ancestrale degrado del “suo” muro.
Invece non c’entrava nulla visto che l’Università è rappresentata dal rettore/faccendiere Paolo Blasi e non dai suoi fedeli scudieri, i presidi delle varie facoltà.
Giustizia non è ancora fatta!