art722
ANDIAMO AL CINEMA
LA RISCOPERTA DEL CORTOMETRAGGIO
In un contesto sociale in cui l’immagine costituisce uno dei linguaggi prevalenti e viene recepito nelle sue differenti forme in modo sempre più acritico, passivo, come prodotto già confezionato e difficilmente decodificabile dalla maggioranza, volta ad influenzare i soggetti in modo sempre più subliminare, si pone la necessità di una riappropriazione attiva dei messaggi audiovisivi a cui siamo sottoposti e di una pratica del video come forma creativa del futuro.
Negli ultimi cinque anni vi è stata una riscoperta, anche grazie alla tecnica elettronica, della pratica del corto sia in forma documentaristica, sia narrativa come primo apprendistato per fare cinema.
Queste sono state esperienze a basso costo ed hanno risposto ad una necessità del momento ed all’inventismo estemporaneo, ma soprattutto al bisogno di dare sfogo alla propria creatività, senza forme di censura o ricatti ecaonomici, in una parola sono state autoproduzioni indipendenti.
Purtroppo non si è riusciti a smuovere le istituzioni che, intralciate da una legislazione assurda che considera cortometraggio un’opera filmica fino a 74 minuti, non hanno approntato uno straccio di decreto che stanziasse gli aiuti finanziari previsti. Quindi per la produzione, per un trange o per alcuni mezzi di base si è costretti a rivolgersi ai produttori e inesorabilmente ci si imbatte nella prima censura, nel primo ricatto e privazione della nostra creatività, il ricatto della sceneggiatura. Ancora più ricattabile è chi vuole produrre lavori dai contenuti alternativi o di denuncia sociale; 30 anni fa Pasolini scriveva: “non si potrebbe mai dire produrre un libro; si dice fare un libro. Io faccio un libro senza bisogno di produttori; me lo faccio da me in casa mia, con la mia penna, sulla mia carta, come un vecchio artigiano… Non posso fare allo stesso modo un film, per fare un film ho bisogno di un produttore che lo finanzi lo organizzi. Una volta fatto un libro, esso c’è è una realtà. Un film, invece, per esistere, per essere una realtà artistica e sociale ha bisogno del finanziamento di un produttore; almeno oggi, nel mondo borghese in cui viviamo”.
Anche oggi a distanza di tanti anni si ripropone il dilemma. Ma la scappatoia c’è. Oggi infatti con il sistema VHS con le handycam, con pochi soldi si può fare un video. Il problema che si pone appena realizzato è comunque riuscire a farlo vedere. Le volte che ci riusciamo poi ci si trova di fronte alla reazione di un pubblico che non apprezza il video solo per il fatto che non è confezionato come i prodotti che ci hanno propinato i media borghesi.
E’ qui il punto: sia i video hacker sia il pubblico dovrebbe cercare di superare questo complesso di inferiorità. Cristiano Bortone nel saggio, che consigliamo di leggere, Girare un corto, dice: “Molto spesso i giovani autori sono intimiditi dal mezzo puramente tecnico o organizzatore del fare un cinema. In realtà quella è la prima cosa che va demistificata per confrontarsi al più presto con la sfida vera, quella artistica. Io ho sempre detto prendi il tuo VHS, anche se non è un mezzo professionale, alla radice ha lo stesso meccanismo di una costosissima troupé in 35 mm. Registra delle immagini e dei suoni e con quelle immagini tu puoi raccontare la tua storia. Tutto sta a sforzarsi di utilizzarlo come se fosse un equipaggiamento professionale massimizzando le piccole risorse che si hanno.”
Demistificare, dunque, è la parola d’ordine. Già Godard con Lotte in Italia, del 1970, aveva fatto questa demistificazione. Attori presi dalla strada, titoli fatti su cartoncini, montaggio tecnico a basso costo. Su questa linea si muoveva l’avanguardia, prima che il filo venisse spezzato. A questo filo bisogna riagganciarsi e ripartire senza lasciarsi scoraggiare, perché la creatività si incrementa con l’autocritica.
Buone autoproduzioni a tutti.