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LA STORIA DI ETEROTOPIA
L' "ESPERIENZA"
Inizia nell'ottobre 1992 quando un gruppo di giovani lavoratori
occupa un ex-fabbrica abbandonata in un quartiere di S. Giuliano Milanese,
cittadina della periferia milanese dove il 66 % delle famiglie ha uno stato sociale basso,
essa vive "al pieno" il suo ruolo di cittadina appendice del sud-milano e anche se vi è stato
uno sviluppo economico legato alla grande città, la desolazione dei quartieri dormitorio,
la disoccupazione e scelte scorrette sul piano culturale e sociale delle amministrazioni di "Sinistra"
degli anni 70-80 non lasciano alcuno spazio alle nuove generazioni.
Il 70 % dei giovani passa il proprio tempo libero a S. Giuliano formando "Compagnie"
ristrette e molte volte coinvolte nelle dinamiche dell'eroina, queste compagnie sono scollegate
dalla realtà. I giovani che le frequentano sono incoscienti della loro condizione di
sfruttati (o dal padrone o dalla mafia), essi sviluppano un concetto di
territorialità molto simile a quello nei giovani delle grandi città del nord
America, concetti che da un punto di vista culturale lasciano ampio spazio
alle logiche della NUOVA DESTRA e al fenomeno dei naziskins.
Da pochi anni , dopo una lunga assenza nel nostro territorio di momenti
di socialità spontanei come il ritrovarsi per strada, assistiamo ad una
massiccia presenza di giovani nei giardini pubblici e nei parcheggi.
La scomparsa per anni di interi gruppi di giovani dalle strade di S. Giuliano
è stata la parte più visibile di un fenomeno devastante
per le generazioni immediatamente precedenti alla nostra
in termini di sfruttamento, emarginazione e repressione (morti di eroina, di lavoro; carcere e comunità).
E' importante recuperare la memoria di un esperienza "simile" alla nostra
(per i bisogni e le aspirazioni espresse) e neanche tanto lontana nel tempo.
A partire nuovamente dalla presenza di giovani nelle piazze di S. Giuliano
nasce l'occupazione della "Carraro" (una ex-fabbrica abbandonata da più di
otto anni).
Venti giorni di occupazioni durante i quali diverse realtà si sono incontrate,
conosciute , confrontate e hanno collettivamente deciso di trasformare
l'ex-fabbrica in un centro sociale.
Una decisione scaturita da una serie di discussioni che in sintesi prendevano
in considerazione: - la condizione che viviamo quotidianamente a S.Giuliano in rapporto alle
forme di Socializzazione esistenti e conseguentemente la scelta di occupare;
- la trasformazione di quella struttura fatiscente in uno spazio sociale
capace di mettere in discussione, oltre il fatto che bisogna pagare ogni
volta che si vuole "chiacchierare al caldo", i modelli culturali e di vita
che tanta responsabilità hanno tuttora nel determinare l'invivibilità del
nostro territorio non solo per ciò che riguarda la socialità.
Un periodo relativamente breve durante il quale è stato possibile iniziare ad
individuare oltre che le responsabilità e i processi che hanno determinato la
diffusa condizione di isolamento e/o emarginazione, anche soluzioni
praticabili, attraverso la partecipazione degli occupanti e non limitandosi
ad essi, per il superamento di tale condizione.
Un centro sociale contro la noia e la mercificazione della socialità dentro
le piazze come fuori, nei bar, nelle discoteche, nelle innumerevoli serate a
vegetare davanti alla TV; per rifiutare di essere confinati nelle piazze come in
fantomatici spazi comunali o privati cheripropongono logiche e pratiche finalizzate
alla speculazione della nostra vita, e quindi rivendicare l'autodeterminazione delle forme
e dei momenti di socializzazione.
La ricerca di una socialità non asservita a criteri di guadagno e a logiche
che riproducono alienazione e cultura della rassegnazione e dell'autodistruzione,
ha caratterizzato l'esperienza dell'occupazione della "Carraro".
CENTRI COMUNALI O CENTRI ASOCIALI
Definiamo questi centri come asociali, sia perchè non permettono reali
momenti di socializzazione e di crescita collettiva, sia perché in realtà
non rappresentano momenti in cui affrontare direttamente le contraddizioni
sociali presenti nei nostri territori e vengono spacciati come risposte
concrete al cosiddetto disagio giovanile.
Solitamente sono il prodotto di una politica di facciata, propagandistica;
a volte diventano anche fruttuosi investimenti visto il costo per partecipare
alle attività.
Noi abbiamo di fronte il C.S. di S. Donato Milanese e analizzandolo possiamo
sicuramente trarre una lezione "su come non vorremmo un centro sociale".
Gestisce il centro l'assessorato al tempo libero del comune di
S. Donato MIl. e un equipe di operatori comunali a volte affiancati da
obbiettori di coscienza. Non è prevista nessuna forma di partecipazione da
parte degli utenti frequentatori, alla gestione, alla programmazione delle
attività, alla definizione di regolamenti interni (tempi e utilizzo degli
spazi). Non è prevista nessuna possibilità propositiva in merito a nuovi
contenuti e forme di attività. Anzi spesso si perpetua la censura o la
"dissuasione" nei confronti di chi cerca di utilizzare le strutture per
autorganizzare attività diverse. Come scusante a tale comportamento viene
paventato il pericolo dell'incontrollabilità e addirittura della
politicizzazione; Quando poi per politica s'intendono forme di contro
informazione (riviste, documenti, video), e la possibilità di affrontare
insieme problemi di attualità o del proprio territorio, mai discussi a scuola o in altri posti.
Le attività. Sono strutturate in corsi, individuali o a gruppi, sono
ovviamente a pagamento con costi francamente non accessibili a tutti.
Si va dai classici corsi di musica, alla fotografia, alla danza fino agli
scacchi e al bridge.
Di fondo è la mentalità dell'hobby, del passatempo
individuale, con la regolarità e ripetitività del corso-lezione.
Il risultato lampante è che pochi giovani della zona frequentano il centro.
La critica che facciamo non si ferma solo ai
contenuti delle attività oggettivamente poco stimolanti, ma soprattutto è diretta alla
logica che domina tali contenuti.
CRONOLOGIA DI UNA STORIA DI LOTTA
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